Taiwan panorama

Taiwan, uno sguardo d’insieme post elezioni

Nell’anno del maggior numero di elezioni della storia, archiviato l’esito delle urne con un risultato poco decisivo, si conferma l’importanza di tenere alta l’attenzione sulla democrazia di Taiwan.


Negli ultimi due decenni Taiwan è diventata una delle maggiori potenze economiche dell’Asia nonché tra le prime 20 economie mondiali, con un Pil che ha superato quello di Paesi come Svizzera, Svezia e Arabia Saudita. Proprio la sua posizione in forte ascesa, rende indispensabile tenere alta l’attenzione sull’andamento della sua democrazia, la quale rischia di perdere terreno in favore di “una sola Cina”.

Per quanto vi fossero puntati i fari sia di Pechino che di Washington, naturalmente con opposte aspettative, il risultato ibrido delle elezioni dello scorso 13 gennaio, dove si votava sia per il nuovo Presidente che per il Parlamento, per il momento non sembrerebbe aver alterato lo status quo, facendo tirare un sospiro di sollievo rispetto ai pericoli di una stretta cinese attorno alle libertà repubblicane.

Formalmente le elezioni presidenziali sono state vinte dal Partito Democratico Progressista (DPP) guidato da Lai Ching-te, fervente movimento filo indipendentista e con forte radicamento nel sud-ovest dell’Isola (prima volta che un partito ottiene tre mandati consecutivi). Nel complesso ha perso consensi nelle legislative e non rappresenta l’opinione pubblica maggioritaria, ed è stato battuto dal Kuomintang (KMT), che esprimeva il candidato Hou Yu-ih, della compagine più affermata nel nord dove sono concentrati i giganti dell’industria. Quest’ultimo è incline al dialogo con Pechino e che ha racimolato il 33% dei voti impostando la sua proposta elettorale con un occhio al mantenimento di una certa stabilità con la Cina.

Le attenzioni degli addetti ai lavori sono piuttosto concentrate sui movimenti di Ko Wen-je, terzo incomodo alle urne con il suo partito popolare (TPP). L’ex chirurgo ed ex sindaco di Taipei molto popolare tra i giovani, si è collocato con il 26% dei consensi in mezzo tra i due tradizionali schieramenti e viene ritenuto il vero e proprio ago della bilancia nei prossimi anni tra il fronte pro Taiwan e quello pro Repubblica popolare.

Proprio per la scelta-non scelta dei votanti, la tornata elettorale è stata anche apostrofata “noiosa” da alcune testate internazionali, contraddistinta dal pragmatismo dei taiwanesi che, non percependo allo stato attuale un reale pericolo di deriva filo-cinese e non assecondando più di tanto quella che dall’esterno veniva paventata come una scelta tra democrazia e autocrazia, hanno attenzionato più che altro le vicende interne quali i prezzi della case, il salario minimo e la pressoché totale dipendenza dall’estero riguardo l’energia. 

Taiwan, panorama

Il risultato di queste elezioni, tuttavia, non deve far perdere di vista la situazione di stabilità precaria di Taiwan, la quale è una delle democrazie più vivaci al mondo, una realtà giovane e culturalmente aperta, con un rinnovato senso identitario che secondo recenti sondaggi si traduce con un 67% della popolazione che si considera solo taiwanese, un 28% sia taiwanese che cinese e un 3% appena solo cinese.

È il primo luogo asiatico ad aver legalizzato il matrimonio tra persone dello stesso sesso nel 2019 e, per quanto annoveri anche elementi di contraddizione rispetto alla sua fresca anima progressista (vige la pena di morte), resta un Paese effervescente, un presidio strategico per il controllo delle rotte navali est-ovest – di vitale importanza per il traffico di energia e di materie prime – e una potenza economica dinamica.

Questa sua identità poliedrica, per l’appunto, non deve far perdere di vista la sua strategicità per la RPC, la quale continuerà ad anelare la riannessione, minando le libertà e i diritti che la giovane democrazia taiwanese ha nel tempo conquistato.

di Francesco Volterrani

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