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La posizione della Cina nel conflitto israelo-palestinese

La posizione neutrale della Cina nei confronti del conflitto israelo-palestinese gioca a favore o a sfavore della Terra del Dragone?


A seguito dello scoppio del conflitto tra Hamas e Israele, Stati Uniti ed Unione europea hanno condannato le azioni terroristiche di Hamas esprimendo il loro sostegno a Israele. Anche l’Oriente ha condannato tali attacchi dicendosi preoccupato per gli sviluppi futuri del conflitto. La Cina, seppur mantenendo una posizione neutrale sul conflitto, esplicita un sostegno per i palestinesi invitando al cessate il fuoco.

L’attenzione della Cina al Medio Oriente

Da tempo Pechino ha investito molto nei paesi del MENA region (Medio Oriente e Nord Africa), seguendo una strategia globale che si pone come obiettivi quelli di raggiungere risultati significativi sia in ambito economico che politico. Infatti, una serie di collaborazioni sono state realizzate in ambito petrolifero e nel 2004 nasce China-Arab States Cooperation Forum (Cascf), e nel  2010 Cina e Gulf Cooperation Council (Gcc). Tutti grandi passi verso la realizzazione di una strategia cinese estera che mira a ad ampliare il proprio raggio d’azione in politica estera, guadagnare l’accesso a risorse chiave e instaurare rapporti diplomatici basati su non-interferenza e cooperazione economica.  

Le relazioni tra Cina e MENA evolvono ancora di più con il progetto cinese della Belt and Road che molto spesso portano a partenariati strategici attraverso cui vengono realizzate cooperazioni in ambiti come economia digitale o economia verde.

Pechino e il rapporto con la Palestina

La Cina riconosce la Palestina nel 1988 ma le loro relazioni risalgono al 1965 quando l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp) aprì un ufficio in Cina che successivamente ne divenne l’ambasciata. Negli anni la Cina ha anche investito parecchio in Israele, specialmente per quanto riguarda il suo progetto della Belt and Road, nel settore tecnologico e delle telecomunicazioni, come l’accordo con Hawei, quello turistico e dell’istruzione.

Tuttavia, a seguito degli eventi in Medio Oriente, Pechino non sostiene una politica palestinese tanto ferma nei confronti di Israele. Anche se vi sono elementi “pro Palestina” come ad esempio, nel dicembre 2022, la visita di Mahmoud Abbas, primo ministro palestinese, a Pechino per l’istituzione di un partenariato strategico per la risoluzione della questione palestinese. In tale occasione, il presidente cinese Xi Jinping ha ricordato i legami storici con la Palestina proponendosi di collaborare per il suo sviluppo e la sua cooperazione con gli altri Stati arabi. Per Pechino il popolo palestinese sta lottando per i diritti nazionali e questo dovrebbe essere sostenuto fino alla fine. 

Cina, posizione all'Onu

L’intervento della Cina dopo lo scoppio del conflitto

La crisi umanitaria generata dalla “Operazione alluvione Al-Aqsa” ha provocato la reazione di molti Stati ponendo tutto sotto l’attenzione dell’ONU. A tal proposito la risoluzione ONU del 27 ottobre, approvata con 120 voti favorevoli e 14  contrari e 45 astenuti, condanna “tutti gli atti di violenza contro i civili palestinesi e israeliani, compresi tutti gli atti di terrore e gli attacchi indiscriminati, nonché tutti gli atti di provocazione, incitamento e distruzione” e richiede il rispetto del diritto internazionale da parte di tutti gli attori coinvolti. 

Il primo ministro cinese Wang Yi ha descritto il bombardamento israeliano dei civili a Gaza come delle “azioni oltre i limiti dell’autodifesa” anche se, al contempo, si astiene dal condannare le azioni di Hamas contro i civili. Sembra che ci sia un copia e incolla dell’atteggiamento cinese verso tale conflitto, che riprende le fila dell’atteggiamento avuto nella guerra in Ucraina. 

La posizione cinese è ambigua e alcuni la descrivono come una “neutralità anti-occidentale” poiché, cercando di vestire i panni del mediatore, vi sono elementi che evidenziano una propensione verso le sponde palestinesi. Tale definizione sta ad indicare che la Terra del Dragone cerca di differenziarsi dagli Stati Uniti il cui sostegno ad Israele è visto dai cinesi come destabilizzante nella regione.

Gli interessi in gioco sono tanti data l’importanza della potenza cinese nella regione orientale. Pechino, infatti, si pone come obiettivo quello di acclamare a sé molti paesi del Sud del mondo vicini alla Palestina. Questo influirebbe anche su altre questioni tanto care alla Cina, come per esempio la questione di Taiwan e dello Xinjiang, l’iniziativa dello sviluppo globale (GDI) e per la sicurezza globale. Dunque, sembrerebbe che dal punto di vista geopolitico la Cina stia cercando di conquistarsi la leadership del Global South. 

Ma la strategia cinese risulta tutt’altro che credibile e sostenibile. La sua neutralità ha generato delusioni da parte di Israele che ha considerato le azioni cinesi come un voltafaccia, sebbene negli ultimi anni le relazioni tra i due paesi fossero migliorate. Delusioni arrivano anche da parte dei palestinesi in quanto, dall’inizio del conflitto, Pechino ha donato soltanto 4 milioni di dollari per l’assistenza sanitaria. 

Dopo la crisi del Mar Rosso

Ma ciò che più teme Pechino è il potenziale allargamento del conflitto nell’intera regione. Infatti, tra il 2023 e il 2024, si è assistito ad una regionalizzazione del conflitto in Medio Oriente che ha visto da un lato americani a sostegno di Israele e dall’altro diversi gruppi appartenenti allo stato dell’Iran. Successivamente, il conflitto ha raggiunto anche il Mar Rosso dove a fianco degli Stati Uniti troviamo il Regno Unito. L’escalation preoccupa molto anche la Cina sia dal punto di vista economico, data l’importanza strategica del Mar Rosso, essendo una delle aree marittime più trafficate al mondo; sia a livello militare poiché a Gibuti si trova la sua unica base militare all’estero.

I timori di Pechino sono anche di natura politica. Data la sua crescente influenza nella regione del Medio Oriente, non può permettersi passi falsi. La Cina vuole proporsi come mediatore diplomatico e questo fa sì che, per intraprendere qualsiasi azione diplomatica, deve valutare se vi siano le possibilità di raggiungimento dei suoi scopi. 

Il 21 febbraio la Cina ha contestato il veto degli States ad una bozza di risoluzione del Consiglio di Sicurezza che prevedeva il ‘cessate il fuoco’ umanitario nella striscia di Gaza da parte della Cina. Secondo gli americani tale documento avrebbe messo a rischio i negoziati per una tregua che prevedeva il rilascio degli ostaggi.

Cina, posizione all'Onu

«Il veto statunitense è irresponsabile e invia a Israele il messaggio che può continuare a fare tutto quello che vuole», ha dichiarato l’ambasciatore palestinese Riyad Mansur. «Ancora una volta gli Stati Uniti hanno ignorato la volontà della comunità internazionale usando il loro potere di veto, una decisione che renderà la situazione nella Striscia di Gaza ancora più pericolosa», ha affermato Mao Ning, una portavoce del ministero degli esteri cinese, concludendo che «La Cina ha espresso a Washington il suo forte malcontento». 

Sembra, dunque, che la Cina si trovi in difficoltà poiché, da un lato, vorrebbe consolidare i suoi rapporti in Medio Oriente, avendo guadagnato terreno col passare del tempo in diversi campi, e non perdere questo prestigio importante per la realizzazione dei suoi interessi. Ma allo stesso tempo deve essere abile nel destreggiarsi tra i diversi attori e dare prova che la Cina possa essere considerata un credibile mediatore diplomatico a livello globale. Come si legge su ISPI, tale conflitto non sembra attualmente porre le basi utili alla Cina per tale obiettivo. Anzi, un eventuale allargamento del conflitto metterebbe seriamente a rischio il ruolo diplomatico di Pechino nella regione.

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