Gaza, “un cimitero di bambini”

Dall’inizio del conflitto, che ieri ha compiuto il suo primo mese, ci sono tanti punti di domanda, molte accuse e poche certezze, prima su tutte: questa è la guerra dei bambini.


Quante volte al giorno pensiamo a Gaza? Se esistesse una risposta esatta a questa domanda, da quel maledetto 7 ottobre, questa dovrebbe essere centododici. 

Se la morte di un bambino, se un futuro spezzato, meritasse nella nostra giornata anche un solo pensiero, allora dovremmo pensare a Gaza centododici volte al giorno. 

Centododici è la media dei bambini che ogni giorno hanno perso la vita nella Striscia dall’inizio del conflitto. Siamo intorno ai 3500 cuccioli di uomo, esseri inermi e innocenti, rei di essere nati nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Tremilacinquecento significa che, in un mese, i bambini palestinesi uccisi sono stati più di quelli che ogni anno perdono la vita nei conflitti armati in tutto il mondo. Tremilacinquecento è un numero al ribasso se si pensa che sono circa mille i minori dispersi sotto le macerie.

Ai bambini che hanno già perso la vita si devono sommare quelli che sono stati feriti e rischiano di non farcela per la mancanza di cure. Sarebbero almeno 6.360 i bambini feriti a Gaza, e il rischio che muoiano per le ferite è altissimo.

Le Nazioni Unite hanno comunicato che ad oggi un terzo degli ospedali della Striscia di Gaza non può più operare a causa dei tagli all’elettricità e/o dell’assedio totale da parte del governo Israeliano che blocca l’accesso a beni di prima necessità quali carburante e medicine.

Una sconvolgente testimonianza di Medici Senza Frontiere, racconta di amputazioni a carne viva su minori a causa della mancanza di anestesia.

«Quasi il 70% delle persone uccise sono bambini e donne. Questo non può essere un “danno collaterale”», ha dichiarato Philippe Lazzarini, Commissario generale dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e il lavoro per i rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente (UNRWA): «Chiese, moschee, ospedali e strutture dell’UNRWA, comprese quelle che ospitano gli sfollati, non sono state risparmiate. Troppe persone sono state uccise e ferite mentre cercavano sicurezza in luoghi protetti dal diritto umanitario internazionale. L’attuale assedio imposto a Gaza è una punizione collettiva».

Una punizione collettiva. Una definizione agghiacciante per quanto reale che non dovrebbe lasciare spazio ad altre violenze. L’assedio di Gaza è un racconto quotidiano di violazione dei diritti umani, del diritto internazionale e di ogni regola di guerra. 

La Striscia si è trasformata in un mese in un cimitero di bambini e sta scivolando inesorabilmente verso qualcosa di ancora peggio. Tra insensati riferimenti all’uso dell’atomica e minacce alla sicurezza di Paesi non belligeranti, questo scontro rischia di diventare teatro del primo genocidio di questo millennio.

«La nostra empatia dovrebbe applicarsi a tutti. Palestinesi, israeliani, ebrei, cristiani e musulmani. Le regole della guerra devono essere rispettate da tutte le parti, in ogni momento e in ogni luogo. I civili devono essere protetti, gli ostaggi rilasciati e deve essere agevolata un’autentica risposta umanitaria. Un cessate il fuoco umanitario immediato è diventato una questione di vita o di morte per milioni di persone. Il presente e il futuro dei palestinesi e degli israeliani dipendono da questo. Esorto tutti gli Stati membri a cambiare la traiettoria di questa crisi e a lavorare per una vera soluzione politica. Prima che sia troppo tardi» ha concluso Philippe Lazzarini. 

Prima che Gaza diventi il nostro unico pensiero, molto più di centododici volte al giorno, aggiungiamo noi.


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