Il potere dei social fa ritirare la campagna pubblicitaria di Zara, “The Jacket”

Può una pubblicità danneggiare l’immagine del marchio, costringendo quest’ultimo a scusarsi ritirando la campagna pubblicitaria, anche se apparentemente le intenzioni sono assai distanti dal contenzioso scaturito dai social? Questo è ciò che è accaduto al noto marchio spagnolo Zara.


Quei manichini equivoci

Martedì scorso Zara, il noto marchio di fast fashion più famoso al mondo gestito dalla multinazionale spagnola Inditex, ha deciso di cancellare le foto di una sua campagna pubblicitaria dai social network, dal sito e dalla app e si è scusata definendo tutta la questione un «equivoco». La campagna in discussione sarebbe stata ritenuta irrispettosa per la delicata questione umanitaria che interessa il conflitto Israele – Hamas, soprattutto nei riguardi delle innumerevoli vittime palestinesi. Il motivo sarebbe una inquietante similitudine tra un manichino chiuso in un lenzuolo e una foto scattata da Mohammed Salem pubblicata in un servizio di Reuters, che mostra una donna che abbraccia il cadavere del nipote di 5 anni, avvolto in un lenzuolo.

La campagna “The Jacket”

Il servizio pubblicitario diretto dal famoso fotografo di moda britannico Tim Walker (che tra le altre cose lavora per Vogue) è ambientata sostanzialmente in un atelier d’artista: oltre ai modelli si vedono macchinari per il sollevamento di materiali pesanti, piedistalli, macerie, pezzi di statue e sculture intere avvolte nella plastica, tutto sui toni del bianco. Il capo al centro della campagna è una giacca nera con le borchie indossata dalla modella Kristen McMenamy.

Lo scatto specifico che ha fatto infuriare il web è quello della modella che porta in spalla un manichino avvolto in un lenzuolo e questa immagine rievoca proprio quella drammatica della donna con il nipote morto tra le braccia. 

Nel comunicato pubblicato da Zara su Instagram si legge: «sfortunatamente alcuni clienti si sono sentiti offesi da queste immagini, che ora sono state rimosse, e ci hanno visto qualcosa di diverso dall’intenzione di chi le ha realizzate». A onor del vero, la campagna The Jacket ha natali antecedenti allo scoppio del conflitto che ricordiamo è avvenuto il 7 ottobre di quest’anno. Precisamente il progetto per la campagna risale a luglio e la sua realizzazione a settembre.

Boicottaggio social

Molte persone indignate dalle immagini diffuse sui social (le foto della campagna erano state pensate solo per la diffusione online sui social, sul sito e sulla app) hanno portato avanti delle manovre di boicottaggio, facendo nascere l’hashtag #BoycottZara e dare anche vita a delle piccole proteste. Davanti a un negozio di Tunisi alcune persone hanno manifestato sventolando la bandiera palestinese e imbrattando le vetrine, mentre ad Aquisgrana, in Germania, un piccolo gruppo ha inscenato una protesta facendosi riprendere con lo scotch sulla bocca insieme a manichini avvolti in panni bianchi.

Nel giro di pochi giorni però Zara ha ritirato tutte le immagini dello spot. Non è raro che negli ultimi anni aziende e celebrità finiscano al centro di contestazioni online per dichiarazioni, prodotti o operazioni di marketing. Dunque, l’approccio raccomandato per gestire queste crisi è quello di assecondare le critiche o quantomeno scusarsi.

Campagne nel mirino delle critiche

Sempre più strane e creative, le campagne pubblicitarie spesso vengono lette oltre il loro messaggio pubblicitario, soprattutto se il materiale grafico tende ad essere equivoco. Ne è un esempio lo scandalo suscitato dalla campagna Balenciaga scattata da Gabriele Galimberti e accusata di gravi reati. Stiamo parlando della sua serie Toy Stories, in cui il fotografo immortala dei bambini circondati dai propri giocattoli. Gli stessi orsacchiotti inclusi nelle fotografie erano apparsi per la prima volta lo scorso ottobre in passerella per la sfilata primavera/estate di Balenciaga e in quell’occasione venivano portati come borse da modelle e non accanto a minori. 

Proprio a dicembre 2022, Demna e la sua casa di moda erano finite al centro delle polemiche a causa del setting dell’adv natalizia della Maison, dove alcuni bambini posavano insieme a peluche che ricordavano pratiche fetish.

Anche uno scatto dalle vibrazioni gender fluid di Pierpaolo Piccioli per Valentino del 2021, con suo modello vestito solo da una borsa (la bag Roman Stud, protagonista della pubblicità), è finito al centro della polemica: «Dopo aver pubblicato la foto molte persone hanno reagito con commenti pieni di odio e di aggressività» aveva commentato su Instagram all’epoca. «Il mio lavoro è fornire la mia visione della bellezza in base ai tempi che stiamo vivendo, e cosa consideriamo bello è un riflesso dei nostri valori».

Per non dimenticarci anche della campagna Lamborghini con la collaborazione di Letizia Battaglia, le cui bimbe immortalate non sono proprio piaciute ai molti. Le foto di Letizia Battaglia hanno fatto “saltare dalla sedia” il pubblico per la presenza di ragazzine minorenni ammiccanti, in posa in primo piano, e sullo sfondo la vettura gialla sfavillante. 

Il potere dominante dei social

Se i social gridano allo scandalo, le aziende rispondono abbassando il capo. Che però le polemiche esplodano in periodi ben precisi possono far pensare ad un dirottamento delle coscienze per scagliarsi contro determinati brand. Di certo le campagne pubblicitarie sempre più pensate scollate dal prodotto e la facilità di commento senza ragionamento che fa parte del meccanismo social, creano di continuo queste polemiche che finiscono ben presto nel solito “oblio” mediatico.


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