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Patto di Stabilità e Crescita, un dibattito ancora aperto

L’annoso dibattito sulla riforma del Patto di Stabilità e Crescita diventa sempre più sentito nell’ambito dell’Unione Europea. Quali rischi per il futuro?


L’emergenza pandemica dettata dal COVID-19 ha comportato, nel quadro dell’Unione Europea (UE), la sospensione del Patto di Stabilità e Crescita (PSC), con relativa attivazione della clausola di salvaguardia generale (general escape clause) nell’ambito della strategia adottata al fine di prevedere una risposta rapida, decisa e coordinata alla crisi sanitaria.

Il 20 marzo 2020, infatti, la Commissione europea approvava la suddetta sospensione, consentendo una deviazione temporanea coordinata e ordinata dai requisiti previsti per tutti gli Stati membri dal Patto di Stabilità e Crescita, stante la situazione di shock generalizzata causata da una grave recessione economica l’Eurozona e dell’UE nel suo insieme; una tappa, questa, dalle implicazioni significative e mai verificatasi in precedenza. 

Cos’è il Patto di Stabilità e Crescita?

Il Patto di Stabilità e Crescita, approvato dal Consiglio europeo di Amsterdam del 16 e 17 giugno 1997, rappresenta il principale corpus normativo che disciplina la governance economica europea. Tale strumento legislativo – la cui disciplina venne definita dai Regolamenti (CE) n. 1466 e n. 1467 del 1997, successivamente modificata nel 2005 con i Regolamenti (CE) n. 1055 e n. 1056, nonché nel 2011 con il Six Pack per far fronte alla Grande Recessione e alla crisi dei debiti sovrani – presenta una struttura bifronte, imperniata su regole volte a governare il coordinamento delle politiche fiscali dei Paesi dell’UE, con l’obiettivo di salvaguardare una finanza pubblica solida.

Nel dettaglio, il PSC si compone di un c.d. braccio preventivo, che supporta gli Stati membri nel perseguimento di politiche fiscali sane e virtuose, attraverso la previsione di un obiettivo di bilancio che tenga conto delle evoluzioni del ciclo economico; nonché di un c.d. braccio correttivo, tramite il quale vengono stabilite le azioni che i Paesi devono intraprendere nel caso in cui il loro debito pubblico o disavanzo di bilancio venga considerato eccessivo.

A tal riguardo, l’art. 126(2) del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) rimanda al Protocollo (N. 12) sulla procedura per i disavanzi eccessivi per la determinazione dei valori di riferimento la cui violazione determina l’attuazione del braccio correttivo del PSC: il 3% per il rapporto tra disavanzo pubblico, previsto o effettivo, e il prodotto interno lordo ai prezzi di mercato (rapporto deficit/Pil); il 60% per il rapporto fra il debito pubblico e il prodotto interno lordo ai prezzi di mercato (rapporto debito pubblico/Pil).

Le proposte di modifica del Patto di Stabilità e Crescita

L’inadeguatezza del PSC – emersa in occasione delle precedenti crisi finanziarie e dell’emergenza pandemica – hanno condotto la Commissione europea, il 9 novembre 2022, ad adottare una Comunicazione, in cui ha delineato gli orientamenti per una riforma del quadro di governance economica dell’UE, con l’obiettivo di rafforzare la sostenibilità del debito e promuovere una crescita sostenibile e inclusiva attraverso investimenti e riforme.

L’esecutivo comunitario ha suggerito il passaggio a un quadro di sorveglianza dell’UE trasparente e basato sul rischio, che operi una distinzione tra gli Stati membri tenendo conto delle rispettive situazioni concrete in materia di debito pubblico; strategia, questa, con cui l’Istituzione dell’Unione intende dare attuazione ad un processo più coerente, equo e semplificato rispetto a quanto accadeva in passato, dove vi era una stringente applicazione – priva di flessibilità alcuna – dei valori di riferimento contenuti all’interno del Protocollo (n. 12) sopra richiamato.

Per tale ragione, lo scorso 26 Aprile, la Commissione europea ha elaborato tre proposte legislative, volte rispettivamente a sostituire il Regolamento (CE) n. 1466/97 relativo al rafforzamento della sorveglianza delle posizioni di bilancio nonché della sorveglianza e del coordinamento delle politiche economiche; a modificare il Regolamento (CE) n. 1467/97 concernente l’accelerazione e il chiarimento delle modalità di attuazione della procedura per i disavanzi eccessivi; e, da ultimo, a emendare la Direttiva 2011/85/UE sui requisiti per i quadri di bilancio degli Stati membri.

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Un Patto più flessibile ed equo

Secondo le proposte della Commissione europea, il vecchio – e inadeguato – quadro giuridico fondato su regole e obiettivi uguali per tutti sarà sostituito da un sistema che prevede percorsi di riduzione del debito negoziati fra la Commissione e i Paesi UE, sulla base di alcuni obiettivi condivisi. Nel dettaglio, l’esecutivo comunitario avrà il compito di presentare percorsi di aggiustamento del bilancio quadriennali in relazione a ciascun Stato membro alle prese con problemi di debito significativi o di media entità, garantendo una roadmap discendente plausibile e il mantenimento del rapporto deficit/Pil al di sotto del valore di riferimento del 3%.

Sulla scorta di tali percorsi, i Paesi UE dovranno presentare piani strutturali nazionali di bilancio che illustrino le diverse tappe da raggiungere a medio termine e gli impegni prioritari in materia di riforme e investimenti pubblici. In tale ottica, tuttavia, gli Stati membri avranno la possibilità di prorogare il percorso di ulteriori 3 anni, purché tale richiesta sia supportata da un novero di riforme ed investimenti che favoriscano la sostenibilità del debito e rispondano alle priorità e agli obiettivi comuni dell’Unione.

I piani strutturali elaborati dai Paesi UE saranno valutati dalla Commissione europea e, in caso di parere positivo, verranno sottoposti all’approvazione del Consiglio dell’UE. Durante la vigenza dell’esecutività di tali piani, inoltre, l’esecutivo comunitario dovrà assicurare un monitoraggio continuo in merito alla loro attuazione, con gli Stati membri che saranno tenuti a presentare annualmente una relazione sui progressi ottenuti, così da facilitare la sorveglianza della Commissione europea e garantire, per ciò stesso, una maggiore trasparenza nell’espletamento della procedura di aggiustamento dei bilanci.

A che punto sono i negoziati sul PSC?

La trattativa sulla riforma del PSC, alla luce delle proposte formulate dalla Commissione europea, vede scontrarsi due orientamenti e posizioni politiche contrapposte: da un lato, i Paesi del Nord Europa, votati al rigore fiscale, che richiedono regole certe e quantificate concernenti la riduzione del debito, con sanzioni più efficaci in caso di violazione; dall’altro, vi sono gli Stati membri – prevalentemente del Sud e più interessati alla spesa – che auspicano l’adozione di un corpus normativo in grado di garantire quella flessibilità essenziale per finanziare investimenti utili per la crescita e politiche espansive.

Nonostante l’acceso dibattito, la necessità che si giunga ad un compromesso entro la fine dell’anno viene sottolineata all’interno delle Istituzioni comunitaria. In tal senso, il Commissario europeo all’Economia, Paolo Gentiloni, ha rimarcato l’indispensabilità di “un’Europa più competitiva“, tenuto conto che, in mancanza di un accordo sul PSC, ritorneranno in vigore le norme concernenti i valori di riferimento del Protocollo (n. 12) a partire da gennaio 2024.

Di medesimo avviso si è dimostrata la Banca Centrale Europea (BCE), con il proprio Parere sulla riforma del PSC, pubblicato lo scorso 18 agosto. Nel dettaglio, secondo l’Istituzione monetaria, “un rapido accordo [e] una rapida istituzione di un quadro di bilancio credibile, trasparente e prevedibile, potrebbe creare incertezza e ritardare indebitamente il necessario adeguamento fiscale e l’impeto per riforme e investimenti“, risultando cruciale “la necessità di una capacità di bilancio centrale permanente [in grado di svolgere] un ruolo nel rafforzamento della stabilizzazione e della convergenza macroeconomica nell’area dell’euro nel lungo periodo“.


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