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Riforma Cartabia: lesioni aggravate dal metodo mafioso e sequestro di persona

La Riforma Cartabia pone una serie di interrogativi, soprattutto rispetto ad alcune fattispecie di reato in cui ricorre l’aggravante del metodo mafioso.


La Riforma Cartabia ha perseguito principalmente uno scopo, ossia quello di rendere i procedimenti penali più veloci. Tutto ciò è in linea con quanto concordato nel PNRR, prevedendo una riduzione del 25 per cento dei tempi medi del processo penale entro il 2026.

La riforma in oggetto, realizzata con il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, ha disposto una significativa estensione del regime di procedibilità a querela, in rapporto a centrali figure di reato contro la persona e contro il patrimonio.

La modifica del regime di procedibilità del reato, da procedibile d’ufficio a procedibile a querela, conserva l’astratta rilevanza penale di quanto accaduto e opera in termini di concretezza. Il fatto che l’illecito rimanga o meno nell’alveo del processo penale dipende soltanto da una manifestazione di volontà della persona offesa. Dovrà essere quest’ultima a mostrarsi tempestivamente interessata all’accertamento di fatti e responsabilità da parte dell’autorità giudiziaria.

Quanto ai reati contro la persona divenuti procedibili a querela di parte si fa riferimento, in particolare, alla fattispecie di lesioni personali dolose (art. 582 c.p.) e al sequestro di persona semplice, e cioè non a scopo di estorsione (art. 605 c.p.).

La prassi applicativa della riforma ha posto un problema nel momento in cui alle suddette fattispecie di reato dovesse ricorrere l’aggravante del c.d. metodo mafioso (art. 416-bis.1 c.p.). Di qui, il pericolo della mancata presentazione della querela, per le pressioni e le intimidazioni mafiose, e il rischio della conseguente scarcerazione, nel periodo transitorio, di imputati in custodia cautelare in carcere per i medesimi reati.

L’aggravante in esame è riferibile, in via di principio, a qualsiasi delitto commesso avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416-bis c.p., cioè della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva, ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni di tipo mafioso.

Nella maggior parte dei casi essa viene per lo più contestata in relazione ai classici gravi reati che si riscontrano in contesti di criminalità organizzata o a essa attigui: si tratta di reati procedibili d’ufficio (come l’estorsione e l’usura). Però potrebbe succedere che a essere aggravati ai sensi dell’art. 416-bis.1 c.p. siano reati comuni, non di criminalità organizzata, più o meno gravi e procedibili a querela, come nel caso delle lesioni personali dolose, del sequestro di persona, della minaccia. Sono reati che, di per sé, possono non essere gravi, perché puniti, in assenza di aggravanti, addirittura con la sola pena pecuniaria (minaccia ex art. 612, co. 1 c.p.).

Detto ciò non è irragionevole che tali reati aggravati dal metodo mafioso siano perseguibili a querela, piuttosto tale condizione pone il fianco alla scelta politico-criminale di renderli procedibili d’ufficio qualora dovesse ricorrere l’aggravante stessa. Le condizioni che integrano il metodo mafioso, aggravando il reato di cui di volta in volta si tratta, possono infatti pregiudicare, verosimilmente, la libertà della persona offesa di presentare una querela. La forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo, la condizione di assoggettamento e di omertà, sono incompatibili con la logica della procedibilità a querela, che presuppone la possibilità di manifestare liberamente, senza pressioni, la volontà e l’interesse a procedere.

La questione ha fatto scalpore proprio perché in attuazione della riforma penale, Giuseppe Calvaruso, il reggente del mandamento mafioso del rione di Palermo Pagliarelli, e i boss Giovanni Caruso e Silvestre Maniscalco non verranno processati per i reati di lesioni aggravate dal metodo mafioso e sequestro di persona, dal momento che le vittime hanno rinunciato a proporre querela.

Bisogna osservare che è molto raro che, in situazioni di criminalità organizzata, vengano contestati reati procedibili a querela con l’aggravante del metodo mafioso che non siano in concorso con più gravi reati procedibili d’ufficio, a partire da quello di associazione mafiosa, ovvero dall’estorsione. Forse proprio per questo motivo non si era ancora posto il problema di possibili scarcerazioni o mancati arresti dipendenti da una querela non presentata. Nel caso summenzionato non ha avuto luogo nessuna scarcerazione proprio perché i soggetti sono attualmente detenuti per reati più gravi procedibili d’ufficio.

Alla luce di quanto chiarito, rimane il fatto che l’aggravante del metodo mafioso anche in relazione a fattispecie comuni di reato desta allarme sociale, e la risposta dello Stato non può essere silente.

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Si tratta, ad ogni modo, di un problema che preesiste alla riforma Cartabia e che, a ben vedere, la riforma stessa, in sede di decreto attuativo, non avrebbe potuto risolvere se non incorrendo in un eccesso di delega. Il Governo era infatti delegato a estendere il regime di procedibilità a querela a reati contro la persona e il patrimonio puniti con pena detentiva non superiore, nel minimo, a due anni di reclusione, facendo salve le sole ipotesi in cui il fatto sia commesso contro persone incapaci, per età o per infermità, non anche contro persone intimidite con metodo mafioso (art. 1, comma 15, lett. b) l. n. 134/2021).

Il Consiglio dei Ministri è stato convocato il 19 gennaio per porre in atto le opportune modifiche alla normativa.

L’auspicio è che, come ha dichiarato al Corriere della Sera il Vice Ministro Sisto, si tratti di un intervento chirurgico, limitato a risolvere il problema dell’aggravante mafiosa. Un problema che all’apparenza sembra di facile risoluzione, posto che bisognerebbe solo prevedere la procedibilità d’ufficio ogni volta che si riscontra l’aggravante di cui all’articolo 416-bis.1 c.p.


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