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Il futuro della NATO tra espansione e nuove strategie

Negli ultimi trent’anni la NATO ha attraversato un processo di innovazione che ha portato al miglioramento dei suoi strumenti militari e della sua posizione strategica. L’aggressione russa ha condotto a una rinnovata attenzione alla difesa collettiva, insieme a una revisione della NATO’s open-door policy.


Dalla caduta del muro di Berlino ad oggi il numero di Stati che hanno aderito all’Alleanza Atlantica è passato da 16 a 30, segno di un grande investimento dei processi di apertura e inclusione che hanno ampliato in maniera significativa l’orizzonte strategico della NATO.

Da quando, a partire dal 1991, i Paesi baltici hanno ottenuto l’indipendenza dalla Russia – ponendosi come obiettivo ulteriore quello di entrare a far parte della NATO –  nuove tensioni si sono sviluppate tra Russia e NATO. Mentre da un lato la Russia teme l’espansione ed il rafforzamento dell’alleanza atlantica verso est, dall’altro la NATO si scaglia contro la politica aggressiva di Mosca, specie a seguito dell’illegittima annessione della Crimea nel 2014.

In quella fase, il conflitto in Ucraina costituisce un ostacolo per la NATO, che tenta di espandersi sin da dopo la guerra fredda in Europa Orientale, specie nelle ex Repubbliche sovietiche. Estonia, Lituania e Lettonia sono gli unici territori ex sovietici che dal 2004 fanno parte dell’Alleanza Atlantica insieme a Bulgaria, Romania, Slovacchia e Slovenia. 

All’indomani dell’invasione russa in Ucraina, i Paesi Baltici – Estonia, Lituania e Lettonia – e la Polonia hanno fatto appello all’art. 4 del Trattato Atlantico secondo cui «le parti si consulteranno ogni volta che, nell’opinione di una di esse, l’integrità territoriale, l’indipendenza politica o la sicurezza di una delle parti fosse minacciata».

E se il Cremlino voleva tenere la NATO lontana dai suoi confini, con le sue operazioni militari ha ottenuto l’effetto contrario, ponendo fine alla neutralità di Svezia e Finlandia, che hanno avanzato la richiesta di essere annesse all’Alleanza Atlantica. 

La loro inclusione potenzierebbe militarmente la NATO, trattandosi di due Stati dotati di capacità notevoli, anche nel settore dell’aviazione e della marina, che hanno già effettuato esercitazioni congiunte nel mar del Nord. Il segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, ha affermato più volte che il processo di ammissione per entrambi i Paesi richiederebbe relativamente poco tempo, dal momento che collaborano con la NATO sin dal 2014, in particolare nelle operazioni di difesa aerea e di interoperabilità, insieme a esercitazioni militari come la recente Operazione Aurora. 

Dato che la Russia staziona parte delle sue capacità nucleari strategiche critiche di secondo attacco nella penisola di Kola, è molto probabile che i due Paesi nordici si astengano dal consentire l’istituzione di basi NATO sui loro territori, insieme al potenziale stazionamento di capacità nucleari, proprio come Danimarca e Norvegia hanno dichiarato al momento della loro adesione.

Sia la Finlandia che la Svezia hanno esplorato valide alternative come la clausola di mutua difesa dell’UE (articolo 42.7 TUE) ma alla fine hanno concluso che l’adesione alla NATO rappresenta la migliore scommessa possibile per garantire la loro integrità territoriale e sicurezza. 

La loro inclusione si profila essere una grande opportunità per la NATO poiché rappresenta una direzione di espansione differente rispetto alle altre dal punto di vista geopolitico. Si tratta di un’espansione verso il cosiddetto “High North” che ha una posizione più periferica rispetto all’Europa dell’est ma di cruciale importanza per la regione dell’Artico. Si presume che il tempo stimato per la loro adesione a tutti gli effetti sia il 2023.

In che modo la NATO può garantire la sicurezza dei paesi baltici?

L’invasione dell’Ucraina preoccupa i Paesi baltici per l’eventualità che anche loro possano essere attaccati. Tuttavia, questi Paesi si trovano in una posizione diversa che li mette al sicuro dall’aggressione russa, considerando la loro appartenenza a organizzazioni internazionali come l’Unione Europea e la stessa NATO. Tali preoccupazioni sulla loro sicurezza hanno origine dall’osservazione delle azioni russe con l’annessione della Crimea nel 2014, la guerra di secessione nella regione del Donbass, il riconoscimento dell’indipendenza di Luhansk e Donetsk e l’invasione brutale del Paese. 

I timori sono da ricollegarsi anche alla storia che i tre Stati baltici vissero a partire dal 1940, quando l’Unione Sovietica occupò e annesse illegalmente Estonia, Lettonia e Lituania mentre la comunità internazionale non intervenne. Essi furono soggetti al controllo politico economico e culturale di Mosca fino al 1991, anno del crollo dell’Unione Sovietica. 

Se da un lato si teme che la storia si ripeta, dall’altro lato le preoccupazioni baltiche sono da ricercare anche sul piano dei valori democratici e della sovranità, in virtù della quale uno Stato indipendente può esercitare il diritto di mantenere la propria integrità territoriale e di gestire i propri affari interni ed esterni. La geografia gioca un ruolo fondamentale in questo scenario dato che i tre Paesi baltici confinano con la Russia e, in particolar modo, Lettonia e Lituania confinano con uno dei maggiori alleati russi nella guerra contro l’Ucraina: la Bielorussia. 

Non a caso Estonia, Lettonia e Lituania hanno condannato le azioni russe attuando una serie di misure per difendere la sovranità ucraina, sostenendo le sanzioni punitive contro Russia e Bielorussia, inviando aiuti militari e umanitari in Ucraina ed esortando la NATO ad adottare misure di sicurezza per i suoi Stati membri e in particolar modo per quelli confinanti con la Russia. Il ministro degli affari esteri lituano, Gabrielius Landsbergis, ha dichiarato che «la battaglia per l’Ucraina è una battaglia per l’Europa» e ha aggiunto che «se Putin non si ferma, andrà oltre». 

Il NATO 2022 Strategic Concept

Per far fronte alle minacce poste in atto dalla Russia, i leader dell’Alleanza Atlantica si sono incontrati a Madrid il 28, 29 e 30 giugno 2022 per le consultazioni transatlantiche e la cooperazione in materia di sicurezza e difesa. Il documento “NATO 2022 – Strategic Concept”  racchiude tutti gli obiettivi da raggiungere per far fronte alla nuova realtà ed è considerato come una tabella di marcia per l’Alleanza negli anni futuri. 

Il nuovo concetto strategico della NATO è quello di garantire la difesa collettiva a 360° definendo tre compiti principali dell’Alleanza: 
– deterrenza e difesa;
– prevenzione e gestione delle crisi;
– sicurezza cooperativa. 

Inoltre, nel documento i paesi NATO sottolineano «la necessità di rafforzare in modo significativo la nostra deterrenza e difesa come spina dorsale del nostro impegno, di cui all’art.5, di difenderci a vicenda», ribadendo quanto sia fondamentale garantire la resilienza nazionale e collettiva di tutti gli Stati membri al fine di svolgere i loro compiti e salvaguardare le singole identità nazionali. Il nuovo concetto strategico pone anche particolare attenzione agli investimenti che riguardano l’innovazione tecnologica e l’integrazione dei cambiamenti climatici, l’importanza per il mantenimento della pace e la sicurezza umana.

«Our vision is clear: we want to live in a world where sovereignty, territorial integrity, human rights and international law are respected and where each country can choose its own path, free from aggression, coercion or subversion. We work with all who share these goals. We stand together, as Allies, to defend our freedom and contribute to a more peaceful world».

Essere o non essere un membro NATO potrà davvero fare la differenza?

Negli anni 90’ si è affermato l’enlargement consensus, ovvero un consenso diffuso tra i Paesi membri sull’idea che nelle politiche di allargamento convergessero interessi da parte degli Stati membri e degli aspiranti tali. Per i Paesi membri tale consensus ha indicato il rilancio dell’alleanza dopo il crollo dell’URSS, la conferma del sostegno USA e la stabilizzazione della sicurezza in Europa. Invece per gli aspiranti candidati NATO si trattava di affidare la propria sicurezza alle istituzioni occidentali e allontanarsi dall’influenza della Federazione Russa. 

Negli anni 2000 la questione non era più se allargare l’Alleanza ma quando e perché. Nel 2008 Italia, Francia e Germania hanno manifestato la loro perplessità sull’ammissione di Georgia e Ucraina, posta in agenda durante il Summit di Bucarest, ma il criterio di allargamento come politica inclusiva non ha risentito di alcuna modifica.

Come sostiene Andrea Carati, Associate Research Fellow per il Transatlantic Relations Programme presso ISPI, l’inclusione di nuovi membri all’interno dell’organizzazione internazionale non logora le politiche di inclusione e il tema dell’allargamento. La “NATO Open Door Policy” adottata negli anni 90’ include non soltanto processi per l’ammissione ma anche una serie di partnership individuali o regionali, programmi di cooperazione e progetti di collaborazione e sostegno nel settore di sicurezza tra chi sta dentro e chi sta fuori l’alleanza, come ai tempi della guerra fredda. 

Inoltre, negli ultimi trent’anni la NATO ha inaugurato una serie di collaborazioni con i Paesi non NATO come per esempio Partnership for Peace 1994, Euro-Atlantic Partnership Council (che coinvolge Paesi non NATO dell’area euro-atlantica) e Istanbul Cooperation Initiative che ha aperto un canale di dialogo con i paesi del Golfo persico.

La crisi in Ucraina è, oltre che una minaccia, un’opportunità per la NATO per affermare il suo ruolo, la sua efficacia e la sua indispensabilità. Ma se è vero che le minacce sono un’opportunità per la coesione di un’alleanza, la gravità che le caratterizza e le tensioni che generano rischiano di mettere in crisi l’alleanza stessa.

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