Andy Warhol: quando debuttò il genio della pop art

A 59 anni dal suo debutto celebriamo Andy Warhol ripercorrendo i tratti più salienti della sua carriera, capace di rivoluzionare la concezione sociale dell’arte.


«Nel futuro, tutti saranno famosi nel mondo per 15 minuti»: questa una delle frasi più celebri dell’artista Andy Warhol che, è proprio il caso di dirlo, lo è rimasto per molto di più che soli quindici minuti. Il 9 luglio 1962 Andy Warhol debutta con la sua prima mostra personale dove espose la sua opera iconografica: la serie serigrafica di 32 Campbell’s Soup Cans divenute emblema della pop art. La mostra tenutasi alla Ferus Gallery di Los Angeles ebbe fin da subito un successo inaspettato e decretò l’inizio del filone artistico pop, ma soprattutto fece di Warhol un vero e proprio marchio di fabbrica.

Se un tempo gli artisti rappresentavano soggetti divini, imperatori e paesaggi di campagna, negli anni ‘50 invece esplode l’arte incentrata sui fumetti, sugli attori e sulla merce da supermercato. Qualcosa stava cambiando, in pieno boom economico americano gli idoli divennero i prodotti della nuova società consumistica. 

Dal bianco e nero si passa ai colori sgargianti, il mondo del benessere viene subito reso protagonista dell’arte, non per esaltarlo ma per svuotarlo e mostrarlo senza anima. Cambiano repentinamente valori, prospettive e società. Warhol insieme a Roy Lichtenstein e ad altri artisti pop hanno creato un’arte provocatoria mediante lo stesso business del consumismo da loro stessi criticato. C’è chi vede nella pop art una messa in cornice del consumismo: l’intenzione invece che sta alla base della pop art è proprio quella di metterlo a nudo e svuotarlo di ogni significato per mostrare la sua sterilità.

Un nuovo modo di interpretare l’arte

L’arte di Andy Warhol trae ispirazione da immagini della comunicazione di massa e dalla pubblicità e gli attribuisce una nuova connotazione artistica. Galeotta fu la chiacchierata con l’amico Muriel Latow, un giovane gallerista che aveva affermato fosse necessario introdurre nell’arte «qualcosa che chiunque potesse riconoscere».

«Non è forse la vita una serie d’immagini, che cambiano solo nel modo di ripetersi?» rispose Warhol; e fu così che pensò a cosa vedeva ogni giorno accumularsi sulla sua scrivania: zuppa. L’antesignana della serigrafia, scoperta dall’artista nel corso della sua esperienza come grafico per riviste di moda come Glamour e Vanity Fair, è la tecnica di molti suoi lavori. La grafica pubblicitaria rivestirà un ruolo fondamentale nella sua estetica, poiché consentirà a Warhol di conoscere e fare sua la tecnica della cosiddetta blotted line, tecnica che anticipa la serigrafia. 

Warhol inizia a riprodurre copie identiche del soggetto scelto svuotandolo così di significato; riesce a realizzare un’opera di sintesi tra contenuto banale e concettualizzazione astratta dei prodotti di massa del consumismo americano dando un nuovo volto artistico all’American way of life.

L’opera iniziale vede una riproduzione seriale dei barattoli di zuppa Campbell, presentati frontalmente, su sfondo monocromatico; tutti identici, con la sola differenza dettata dall’etichetta del gusto. Nell’opera non c’è prospettiva tridimensionale perché l’oggetto non è importante: ciò che conta è come appare. I barattoli sono disposti in file di otto quadri ciascuna, emulando la posizione sugli scaffali. Lo spettatore così può essere catapultato nel mondo commerciale e gli oggetti possono trovare la loro vera natura.

La ripetitività delle azioni quotidiane affascinava Warhol, che riguardo alla scelta del soggetto affermò: «Le mangiavo. A pranzo ho mangiato la stessa cosa, per vent’anni, direi, sempre la stessa cosa». Così decise di iniziare proprio dalla zuppa, oltre per il fatto che, come dicono in molti, lui l’amava davvero. 

L’arte divenne con Warhol un modo per esprimere tramite soggetti accessibili a tutti l’uguaglianza sociale. Dalla zuppa passò alla Coca Cola: stessa lattina, stessa qualità per tutti, dal più ricco al più povero. La lattina rossa divenne un simbolo di uguaglianza e inaugurò un nuovo concetto artistico: l’arte, come una lattina, va “consumata”.

Death and disaster: l’arte che dà vita artistica alla morte 

Tra il 1962 e il 1963 un netto cambiamento di soggetti si ebbe con la morte di Marilyn Monroe; l’attenzione fu spostata dall’oggetto alla drammaticità umana, dando inizio così al periodo Death And Disaster in cui si inseriscono i celebri ritratti della Monroe e di Jacqueline Kennedy.

Andy svuota i personaggi dalla loro parte emotiva annullando la loro identità e rendendoli alla stregua della merce. Un grande risalto viene dato ai colori del trucco proprio per evidenziare quanto i personaggi famosi abbiano una maschera dietro la quale celare i loro veri sentimenti per garantire l’immagine collettiva che gli è stata attribuita. Semplici clichè artificiali; non raffigurazioni reali ma una sagoma umana che viene trattata come un prodotto privo di personalità.

Warhol fu sempre attratto dai divi di Hollywood ma soprattutto dall’ideale di bellezza e perfezione che gli si attribuiva e dal successo dettato dalla collettività. Dopo Jacqueline Kennedy nel ciclo Death And Disaster, l’artista continuò l’esplorazione del tema della morte, attraverso la rappresentazione di incidenti d’auto e d’aereo, rivolte razziali, suicidi, avvelenamenti, affrontando la politica americana partendo dai fatti di cronaca quotidiana, come un report giornalistico. 

La fotografia divenne parte integrante della sua arte: ciò è evidente nella sua opera più matura 129 Die In Jet, dove la centralità della fotografia raggiunge il massimo della sua produzione artistica. Si tratta della foto di un incidente aereo, apparsa sulla copertina del New York Mirror, il 4 giugno 1962. 

Andy Warhol
© 2011 The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts, Inc.

Da quest’opera la fotografia non lo ha più abbandonato, divenendo uno strumento capace di immortalare la realtà per come essa viene percepita dallo sguardo degli “spettatori”, in modo autentico e obiettivo. Distacco e freddezza sono i due ingredienti fondamentali caratterizzanti le opere di Warhol, che conferiscono uguaglianza all’esperienza umana: ogni essere umano è anonimo e risente solo della coscienza collettiva.

Warhol abbandona la produzione pittorica nel 1963 e inizia a lavorare come regista. Nel ‘63 inaugura la sua carriera nel cinema con alcuni lungometraggi sperimentali. Sleep è il più famoso: ritrae un uomo che dorme per 5 ore e 20 minuti e dà inizio a opere successivamente riprese anche da altri registi dove centrale è la riflessione sul riposo contrapposto alla meccanicità quotidiana. L’artista, ora regista, fonda negli stessi anni a New York la “Factory”, un punto di incontro tra famosi artisti eccentrici e avanguardisti, celebre anche per le feste trasgressive che ospitava.

I tre colpi di pistola che uccidono l’animo artistico di Andy Warhol

Nel 1968 l’artista Valerie Solanas tentò di uccidere Andy Warhol con tre colpi di pistola. Il suo corpo si salvò ma il suo spirito artistico morì quel giorno. Warhol non volle mai testimoniare al processo della Solanas. Gli amici raccontano che rimase  scioccato dall’episodio e non voleva se ne parlasse.

Andy Warhol dopo l’attentato, emotivamente, non fu mai più lo stesso ma la sua popolarità continuava a crescere tanto da essere tuttora un artista amato nel panorama contemporaneo. 

Figlio di immigrati rumeni, era un soggetto tenuto “sotto controllo”, preso di mira perché sospettato di essere un comunista e un destabilizzatore del sistema americano per le sue opere, ritenute attacchi subliminali al potere americano. Non è certo se le sue opere fossero volutamente il mezzo per ribellarsi alla società dello spettacolo, che ribalta i valori umani tradizionali. Forse ingenuamente, e in modo inconsapevole, la pop art ha dato una visione di ciò a cui stava andando incontro la massa.

La sua ultima opera Last Supper è del 1986 ed è ispirata all’Ultima Cena di Leonardo da Vinci. Un anno dopo morì in seguito a complicazioni insorte dopo un intervento chirurgico. L’artista eclettico pieno di creatività, descritto da tutti come schivo e introverso ma spettacolare, era nato per essere una celebrità. Inaugurò il suo stile con la sua parrucca platino e dettò le regole per un nuovo modo di vedere l’arte e l’artista. Vogliamo ricordarlo con le sue parole: «Se raccogliessero tutte le frasi che ho detto capirebbero che sono un idiota e la smetterebbero di farmi domande».

Foto in copertina di qthomasbower


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