La disparità nei vaccini è un nuovo muro tra Israele e Palestina

Israele ha vaccinato con la prima dose più della metà della sua popolazione, mentre in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza i vaccini faticano ad arrivare.


Le mura che dividono Israele e Palestina non potrebbero essere più alte. Mentre in Israele si torna timidamente alla normalità, in Palestina e nella Striscia di Gaza le restrizioni soffocano la popolazione. Dopo due mesi di campagna vaccinale di massa, Israele conta 5 milioni di persone ad aver ricevuto almeno la prima dose, più della metà della popolazione totale. I risultati cominciano a vedersi: il numero dei contagi è in costante calo con un RT di 0,95. I ristoranti riaprono al 75 per cento della capienza e con una distanza di due metri fra i tavoli. Ai bar si può sostare al bancone, fatto salvo lasciare uno sgabello vuoto.

Dall’altra parte delle mura, la situazione è ben diversa. Al momento, la Cisgiordania e la Striscia di Gaza sono serrate fra le ben conosciute restrizioni imposte da Tel Aviv e quelle dovute alla necessità di bloccare il crescente numero di casi. Al collasso da ben prima che il COVID-19 apparisse in scena, il sistema sanitario palestinese non è in grado di fronteggiare il virus e dei vaccini non ce n’è che una pallida ombra: dall’inizio della campagna sono arrivate appena 30.000 dosi del vaccino russo Sputnik V e 2.000 del vaccino Moderna, inviate da Israele. Attraverso l’iniziativa COVAX dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, i palestinesi dovrebbero ricevere questo mese 37.440 dosi di Pfizer e 24.000 di AstraZeneca.

israele

Nella Striscia di Gaza – una delle aree con più densità abitativa al mondo, dove vivono stipate più di due milioni di persone – le chiusure dei luoghi pubblici e il coprifuoco riescono con grande sacrificio a contrastare la crescita dei contagi. A Gaza i vaccini hanno cominciato ad arrivare solo di recente, dopo un lungo altolà di Israele che ha riacceso le minacce di azioni militari dalla Striscia.

Al momento sono arrivate nella Striscia circa 22.000 dosi, ben lontane dall’essere sufficienti a coprire i 1,2 milioni residenti sopra i 18 anni che potrebbero riceverlo. «La priorità adesso è il personale medico – afferma Ashraf Al-Qudra a Al-Monitor, portavoce del Ministero della Salute di Gaza – che include le 16.000 persone che lavorano negli ospedali e gli istituti sanitari della Striscia di Gaza». E poi ci sono le 150.000 persone affette da malattie croniche.

Non aiuta l’esplosione di uno scandalo che ha di recente investito Ramallah: alcuni membri di Fatah – il partito alla guida dell’Autorità Palestinese – avrebbero ricevuto il vaccino per primi, scatenando l’ira della popolazione. «È emerso che il Ministero della Salute non è il principale attore nel gestire la distribuzione del vaccino» ha commentato al Middle East Eye Islam al-Tamimi, direttore del community advocacy department della Commissione indipendente palestinese per i Diritti Umani, sollecitando il Comitato Anti-corruzione a chiedere conto a «coloro che sono scoperti responsabili di aver deprivato i gruppi che davvero necessitano il vaccino».

Israele alza le mani. Le autorità sono lapidarie: sulla base degli Accordi di Oslo la salute della popolazione palestinese è nelle mani dell’autorità araba. Eccezion fatta per quanti sono utili all’economia: è partita ieri, 9 marzo, la vaccinazione dei palestinesi che lavorano in Israele e negli insediamenti in Cisgiordania. Si tratta di oltre 122.000 persone, per cui ora è prevista la distribuzione dei vaccini prodotti da Moderna.

«Stiamo dicendo sin dall’inizio della campagna vaccinale in Israele che qualsiasi distribuzione di vaccini, qualsiasi programma, dovrebbe includere anche i palestinesi» racconta a Eco Internazionale Ghada Majadli, direttrice dei Territori Occupati per Physicians for Human Rights – Israel. L’associazione è una delle 31 che a dicembre sottoscrisse una lettera chiedendo allo Stato israeliano di provvedere ai vaccini. «E questo non perché vogliamo avvalorare il controllo di Israele, o la sua continuazione, nei Territori Palestinesi, o sostenerne l’annessione affermando che Israele deve fornire dei servizi. Siamo consapevoli che Israele – in quanto potenza occupante – ha degli obblighi legali e umanitari verso i palestinesi, soprattutto considerando l’estensione del controllo che esercita sui territori».

«Israele controlla ordini, checkpoint, risorse naturali, il movimento delle persone, dei pazienti, dei beni, l’import e l’export – continua Majadli – Per questo è irrealistico aspettarsi che l’Autorità Palestinese sia in grado di assicurare i vaccini a tutta la popolazione palestinese. Abbiamo visto per tutta la durata della crisi l’Autorità Palestinese e Hamas chiedere continuamente assistenza alla comunità internazionale e ad altri Paesi per i beni basilari a combattere il Coronavirus. È naturale, quando parliamo di assicurarsi i vaccini, che non abbiano i mezzi o le possibilità di farlo in modo indipendente».

«La situazione dei casi di COVID-19 è andata deteriorandosi sin da gennaio, e febbraio è stato il mese con più contagi sin da novembre – questo significa che i vaccini servono immediatamente. Con le limitate capacità del sistema sanitario palestinese a trattare tutti i casi e la situazione economica, i palestinesi hanno davvero bisogno dei vaccini – non per tornare a una vita normale – ma almeno per alleggerire le restrizioni ai movimenti e nei posti di lavoro».


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