Libia, raggiunto accordo sul cessate il fuoco. Vera svolta o buco nell’acqua?

Siglato l’accordo per un cessate il fuoco permanente in Libia. I prossimi mesi saranno decisivi per capire l’evoluzione del conflitto e il rispetto dell’intesa raggiunta. 


È di qualche giorno fa la notizia del raggiungimento di quello che è stato definito dall’Onu un risultato storico nell’intricato scenario libico: l’accordo sul cessate il fuoco permanente valido per tutto il Paese con decorrenza immediata. 

L’accordo è stato firmato a Ginevra lo scorso 23 ottobre a seguito dei colloqui della Commissione Militare Congiunta 5+5 composta dai rappresentanti dei due fronti avversari, l’Esercito libico del Governo di Accordo Nazionale con sede a Tripoli (Gna) e l’Esercito nazionale libico del Comando generale di Bengasi (Lna), sotto l’egida della Missione di Sostegno delle Nazioni Unite (Unsmil) e sotto la supervisione di Stephanie Williams inviata speciale delle Nazioni Unite che ha preso il posto di Ghassan Salamé e che ha condotto i negoziati. Il Comitato militare congiunto è uno dei risultati della conferenza di Berlino, il meeting svoltosi il 19 gennaio scorso incentrato proprio sulla crisi libica

Uno dei punti principali dell’accordo riguarda il ritorno alle loro postazioni di tutte le unità di militari armati e l’uscita dal Paese di tutti i miliziani e combattenti stranieri.  Ma non solo, l’accordo prevede il ripristino dei collegamenti aerei e terrestri interni alla Libia. Dopo il primo volo in 18 mesi tra Tripoli e Bengasi decollato la settimana scorsa, dovrebbe essere stilato un regolare calendario di collegamenti tra le due città. È prevista, inoltre, la riapertura delle principali arterie stradali.  Il governo di Tripoli e le forze di Haftar hanno anche avviato le trattative sullo scambio di prigionieri.

«Le due fazioni hanno raggiunto un’intesa su diverse importanti questioni che hanno un impatto diretto sulle vite e il benessere del popolo libico», ha spiegato Williams, «sono abbastanza ottimista, c’è un’aria di serietà e impegno».

Il prossimo passo sarà il Libyan Political Dialogue Forum, previsto per l’8 novembre a Tunisi, durante il quale 75 rappresentanti libici si riuniranno per decidere i nuovi nomi del Consiglio presidenziale, per avviare la formazione di un governo unificato fra Est e Ovest e per lanciare le procedure costituzionali che porteranno a elezioni entro 18 mesi.

I partecipanti al Forum tunisino saranno selezionati sulla base dei “principi di inclusività e rappresentanza geografica, politica, tribale”: 13 saranno scelti dal Parlamento di Tobruk, la cui ala armata è il Libyan National Army di Haftar; 13 scelti dallo High State Council, il “senato” libico con sede a Tripoli guidato da Khaled Mishri. La maggior parte degli  altri quasi 50 membri saranno indicati dalle Nazioni Unite in rappresentanza dei numerosi clan tribali e fazioni presenti su tutto il territorio libico. 

Sulla carta questo sembra il primo passo dopo una guerra civile che prosegue dal 2011 e finalmente sembrano esserci le condizioni per un dialogo interno; quello che viene naturale chiedersi è se  ci sia davvero un contesto internazionale che favorisca una reale intesa che pacifichi il paese. Dubbi legittimi sorgono alla luce del fatto che il conflitto libico si è configurato negli anni sempre di più come una guerra per procura in cui altri attori internazionali hanno avuto delle ingerenze nelle dinamiche interne.

Tra tutte la Turchia di Erdogan che è stata decisiva a mantenere in equilibrio le sorti del conflitto sostenendo militarmente Al Sarraj. Non a caso le prime dichiarazioni di scetticismo da parte del leader turco non sono tardate ad arrivare ricordando che la pacificazione deve venire «dal basso» e non può essere imposta «dall’alto».

erdogan-libia
Il Presidente turco Recep Tayyip Erdogan

La Turchia sarà uno degli attori principali con cui anche l’Italia dovrà confrontarsi sulla questione migranti anche nel prossimo futuro, basti pensare al fatto che la guardia costiera libica, dall’Italia lautamente finanziata, è ormai sotto il controllo delle forze armate turche. 

Il sultano Erdogan ha un’arma in più per tenere sotto scacco l’Europa: i flussi migratori provenienti dalla Libia. Un ulteriore buon motivo per augurarsi che questo cessate il fuoco sia davvero un primo passo verso la conclusione di questo lungo conflitto civile.


 

1 commento

I commenti sono chiusi

... ...