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Diritto d’asilo: cinque eritrei arrivano in Italia dopo essere stati respinti

 

Il 30 agosto, cinque richiedenti asilo sono stati accolti a Fiumicino grazie alla sentenza emessa dal Tribunale civile di Roma che condanna il governo italiano, dichiarando illegittimo il respingimento operato nel 2009.


Il 30 agosto 2020, nonostante la scarsa risonanza mediatica, un nuovo, grande capitolo della storia dei movimenti migratori è stato scritto, concludendosi con un inaspettato lieto fine. I protagonisti sono cinque di 89 migranti, richiedenti asilo, rispediti illecitamente – e illegalmente – in Libia nel lontano 2009. I luoghi in cui è ambientata la storia sono diversi: Italia, Israele, e la stessa Libia.

I cinque cittadini eritrei sono arrivati all’aeroporto di Fiumicino domenica 30 agosto, accolti da una piccola delegazione di Amnesty International Italia, che con loro ha festeggiato il conseguimento di questa vittoria storica.

I fatti risalgono a undici anni fa. Nel 2009, la Marina Militare italiana aveva recuperato nel Mediterraneo un’imbarcazione di fortuna col motore in avaria, a bordo della quale si trovavano 89 migranti, prevalentemente di origine eritrea e somala che, una volta messi in salvo, vennero riconsegnati alla guardia costiera di Tripoli a loro insaputa.

Da questo momento inizia un calvario fatto di torture inenarrabili subite all’interno dei lager libici e tentativi di fuga via terra attraverso l’Egitto e il deserto del Sinai per raggiungere l’Europa. Per alcuni, tentare nuovamente la sorte in mare avrebbe comportato un rischio troppo alto. Altri sono morti durante i numerosi naufragi succedutisi nel vasto cimitero d’acqua che è diventato il Mediterraneo.

I cinque eritrei richiedenti asilo giunti in Italia facevano parte del gruppo di coloro che avevano deciso non più di sfidare il mare ma piuttosto la terraferma. Partiti in sedici, dopo aver attraversato il deserto del Sinai e aver perso alcuni dei compagni, una ridotta parte raggiunge il confine con Israele. Qui viene negato l’accesso e, conseguentemente, il diritto d’asilo dal governo.

È il 2014, quando Amnesty International e Asgi (Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione), riescono ad intercedere, promuovendo una causa contro il governo italiano, depositata presso il Tribunale civile di Roma. Asgi ha fornito assistenza legale, e Amnesty International supporto materiale, provando a riportare in Italia i 14 cittadini eritrei sopravvissuti a questo calvario, insieme alle famiglie che alcuni di loro hanno costruito sul territorio israeliano.

La sentenza arriva nel 2019: il governo italiano viene condannato al risarcimento dei danni materiali subiti a causa del respingimento, con la conseguente richiesta del rilascio di un visto di ingresso per accedere al territorio italiano e alla procedura di richiesta di asilo. Il principio che sta alla base di questa sentenza di portata storica – come è stata definita da Amnesty International – è quello del divieto di espulsione, respingimento e di rinvio al confine (non refoulement) sancito dall’articolo 33 della Convenzione di Ginevra, qualora una delle suddette azioni comporti una minaccia per la vita e la libertà del soggetto allontanato dal territorio nazionale.

Bisogna ricordare che il 2009 è stato l’anno in cui il pacchetto sicurezza è diventato ufficialmente legge dello Stato italiano, comportando una stretta di vite sulla condizione di migranti, rifugiati e richiedenti asilo per salvaguardare il benessere e la sicurezza del Paese. Inoltre, l’allora Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, gettava le basi per la costruzione dell’incessante collaborazione tra le forze militari italiane e libiche.

Rapporto che si traduce nello stanziamento di fondi per la Guardia costiera libica, con un aumento da 3,6 milioni di euro nel 2017 a 10 milioni di euro previsti per il 2020. Quale sia stato davvero l’obiettivo di spesa di questi fondi, rimane ancora oggi un mistero chiuso nei palazzi del potere di Roma e Tripoli.

Questa sentenza, in un anno come il 2020, è stata un duro colpo per il governo italiano ma un refolo d’aria fresca innanzitutto per i cinque cittadini eritrei accolti a Fiumicino, e per chiunque creda ancora nella giustizia e nell’importanza del diritto internazionale.

Non è la prima condanna per l’Italia che, a conclusione della causa Hirsi Jamaa risalente al 2009, era stata altresì condannata nel 2012 con sentenza definitiva dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo. In quel caso, l’imbarcazione a bordo della quale si trovavano 24 cittadini somali ed eritrei era stata intercettata nella zona SAR – sotto la giurisdizione maltese – e ricondotti a Tripoli da navi militari italiane, senza che venisse effettuata alcuna procedura di identificazione.

All’epilogo di questa vicenda, gli ultimi cittadini eritrei che si trovano sul territorio israeliano con le loro famiglie, assistiti dalle ONG Assaf (Aid Organization for Refugees and Asylum Seekers) e Amnesty International, aspettano di conoscere il proprio destino dopo questa decisione che pone una pietra miliare nella storia dei diritti dei richiedenti asilo.

«La portata storica della sentenza è evidente. Il dispositivo stabilisce che hanno titolo a chiedere asilo anche persone che non sono sul territorio italiano. Ciò comporta un’enorme espansione nel campo di applicazione della protezione internazionale» come ha chiarito ad Avvenire Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia.


 

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