Aggressioni e malelingue: il silenzio della periferia

 

La settimana scorsa, intorno alle 20, un rider di Zangaloro è stato aggredito in Via Sandro Pertini, all’interno del quartiere San Filippo Neri (conosciuto anche come ZEN). Il giovane era atteso in Via dell’Olimpo, nei pressi del Country Club, ma essendosi perso aveva deciso di contattare il cliente. Tuttavia, mentre parlava al telefono, è stato sorpreso alle spalle da un uomo che, bloccandolo, gli ha intimato di consegnargli tutto il denaro che aveva, per poi dileguarsi.

La reazione del celebre ristoratore non si è fatta attendere ed ha scatenato una vera e propria ondata di polemiche. «COMUNICAZIONE IMPORTANTE – si legge sul profilo Facebook dell’azienda – A causa di un’aggressione ad uno dei nostri rider nel quartiere ZEN di Palermo, al fine di salvaguardare l’incolumità dei nostri collaboratori, siamo costretti a sospendere le consegne a domicilio presso il suddetto quartiere. Esprimiamo tutta la nostra solidarietà e vicinanza al ragazzo».

Il post ha fortemente scosso l’opinione pubblica palermitana. Mentre alcuni hanno ricondotto la vicenda alla difficile situazione economica di molte famiglie, aggravata, oggi, dal diffondersi del coronavirus, e dalla seguente chiusura delle attività commerciali, altri invece non hanno esitato a stigmatizzare l’intero quartiere e “le bestie” che vi abitano, applaudendo, così, alla decisione presa. «Sto scendendo ad aggredire un rider di Zangaloro meat factory nel quartiere Libertà di Palermo – commenta Mariangela Di Gangi, Presidente dell’Associazione Laboratorio ZEN Insieme – Immagino che subito dopo faranno un post col nome del quartiere e sospenderanno anche là le consegne. A tutti e tutte i commentatori/commentatrici che ne approfittano per vomitare odio su un intero quartiere, e non solo sulle persone che hanno sbagliato, auguro che non gli succeda mai di essere giudicati per categorie, perché è brutto».

Poche ore dopo è giunta anche la replica di Zangaloro: «In riferimento all’aggressione di ieri sera subita da uno dei nostri rider, ci teniamo a ringraziarvi per i tanti messaggi di solidarietà nei nostri confronti e soprattutto nei confronti del ragazzo. Ma vogliamo soprattutto scusarci con tutta la gente che popola il quartiere Zen, che è anche la casa di alcuni nostri dipendenti. Il momento di sconforto, causato anche dal susseguirsi di episodi criminali subiti nell’ultimo periodo, ci ha fatto scrivere un post di tutta fretta. A questo proposito, il nostro atteggiamento non deve essere visto come un atto di discriminazione sociale ma come un’azione di denuncia contro ogni forma di criminalità, sperando che sia da stimolo per tutti».

Sebbene le buone intenzioni dell’azienda siano evidenti, come ulteriormente dimostrato dalla ripresa delle consegne all’interno del quartiere, resta il fatto che, come opportunamente sottolineato dalla Di Gangi «serve una moratoria a livello cittadino, quantomeno da parte di chi, volente o nolente, si ritrova ad essere un opinion maker, dei quotidiani, delle aziende, della politica, della cultura, dell’associazionismo, sulla ripetizione di uno stigma che perpetuato viene costretto (in un circolo vizioso) a perpetuarsi».

Quando, a Palermo, si sente parlare di “periferia” il pensiero corre immediatamente a qualcosa di estremamente lontano da noi e questa distanza non è solo geografica ma anche e soprattutto sociale. Chiusi nelle nostre stanze, costretti in casa da un virus feroce, forse è arrivato finalmente il tempo per noi di aprire gli occhi su un’altra malattia che da tempo infetta la nostra città. Palermo, infatti, ci ha mentito. Ha finto di essere sana ed in costante evoluzione; si è vantata di essere la capitale della cultura e dell’accoglienza; si è illusa di poter ospitare Manifesta e qualsiasi altro evento di grande portata. Ma non era vero. La nostra città è sempre stata disseminata, se la si guarda con attenzione, di una moltitudine di “zone rosse” dove circolare non è facile se non addirittura impossibile. Adesso non possiamo uscire di casa ma se anche così non fosse, se nessuno ce lo vietasse, non andremmo comunque che nelle solite zone cui siamo sempre stati abituati.

San Filippo Neri (che tutti ci ostiniamo ancora a chiamare ZEN), Brancaccio, Borgo Nuovo, Danisinni, La Guadagna, Ballarò, sono tutti quartieri che fanno parte integrante di Palermo, ma che non si sentono “di Palermo” e, allo stesso tempo, non sono considerati dai più in quanto tali. Universi paralleli, ciascuno con le proprie leggi e la propria anima, ci dividono muri invisibili fatti per lo più di paure e pregiudizi che hanno trovato nell’assenza o carenza di adeguati servizi essenziali e nella disoccupazione un terreno fertile in cui attecchire.

Antonella Saverino, insegnante presso l’Istituto Comprensivo Statale “G. Falcone” nel quartiere San Filippo Neri, ci racconta la distanza invisibile quanto netta, da lei stessa quotidianamente percepita, tra i suoi studenti e il resto della città. Quando i ragazzi visitano una zona diversa dalla loro affermano frequentemente di “essere andati a Palermo” quasi come se si trattasse di un altro luogo a se stante. Ancora, pur avendo il posto in cui vivono cambiato da tempo nome in San Filippo Neri, loro stessi continuano a chiamarlo ZEN quasi che non avessero una piena consapevolezza nemmeno del proprio quartiere; quasi che fossero entrati in un ruolo che tutti noi continuiamo ad imporre loro giorno dopo giorno.

Se la tua casa è formata da una stanza di circa 40 metri quadri e fuori dalle tue quattro mura non ci sono negozi né spazi verdi; se la tua città non ti accoglie e tu non ti senti accolto le uniche isole di salvezza, gli unici vaccini da utilizzare per debellare questa pericolosa malattia, diventano necessariamente la scuola e le associazioni. Queste ultime costituiscono, infatti, il ponte tra le diverse zone rosse di Palermo e attraverso l’istruzione e la costante opposizione alle facili categorizzazioni lottano quotidianamente per la nostra futura, completa, guarigione. Ne è un esempio Ballarò, quartiere del centro storico palermitano che oggi può contare su una fitta rete di enti e volenterosi cittadini che sotto il nome di SOS Ballarò hanno concretamente contribuito e continuano a contribuire al reale cambiamento del luogo in cui vivono. «Oggi – ci spiega Claudio Arestivo, titolare del locale Moltivolti – a Ballarò si sta diffondendo il fenomeno degli edifici recuperati e trasformati in Bed and Breakfast. Da un lato è un ottimo segnale di crescita ma da un altro punto di vista occorre vigilare su tali mutamenti onde evitare che venga meno quella che è l’anima del quartiere».

Riprendendo le parole dell’architetto Renzo Piano «la periferia di una città è paragonabile ad una fabbrica di idee, dove l’energia umana si concentra in dosi elevate e si produce futuro. L’eredità dei nostri figli si nasconde proprio tra questi quartieri concepiti troppo spesso come “posti dove si va a dormire” e non invece come “luoghi di civiltà ed evoluzione”. Occorre dunque smettere di costruire e di incrementare il senso di solitudine e distanza dal resto delle nostre città e intervenire invece con una gigantesca opera di rammendo e valorizzazione dell’esistente».


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