violenza contro le donne, femminicidio

Violenza sulle donne: antica come il mondo, dolorosa come la realtà

L’Istituto dell’ Enciclopedia Italiana Treccani ha scelto come parola del 2023 “femminicidio, «per stimolare la riflessione e promuovere un dibattito costruttivo intorno a un tema che è prima di tutto culturale», la violenza di genere.


Femminicidio è un neologismo, comparso nella lingua italiana per la prima volta nel 2001. Fino a qualche decennio fa la parola in questione nel nostro Paese non era contemplata; con la parola “omicidio” si comprendeva tutto senza necessità di un distinguo. C’era una sorta di resistenza delle forze politiche e dei mezzi di comunicazione a usare una parola apposita per la morte di donne uccise al culmine di relazioni tossiche; resistenza giustificata dal fatto che, nominare diversamente il fenomeno, significava dover creare leggi apposite e linguaggi appositi per identificarlo e fronteggiarlo.

Ci sono voluti decenni di donne morte per mano di mariti, ex fidanzati, padri e fratelli per capire che il fenomeno andava inquadrato come un dato autonomo che richiedesse un approccio mirato. Ed è un bene che una parola apposita ed evocativa venga scelta per far capire che c’è una strada diversa da percorrere per riuscire a sradicare la cultura stessa che l’ha generata.

Le sue radici all’inizio della storia

A voler ricercare le cause, scopriamo come la violenza sulle donne abbia delle radici strutturali e primitive. Da sempre l’uomo ha fatto leva sulle differenze fisiche e biologiche per affermare la sua superiorità. Da sempre questa presunta superiorità ha avuto un riscontro reale sulla società e sul ruolo sociale che alla donna è stato attribuito.

Un ruolo di sottomissione, all’interno della famiglia, in una società che nel corso dei secoli è stata gerarchicamente ordinata dove il marito era “il capo famiglia” a cui tutto era concesso. Ed è stata questa gerarchizzazione a giustificare nei secoli qualsiasi tipo di violenza e abuso domestico, a garantire l’impunità degli uomini violenti; un’impalcatura giuridica ben costruita che ha quasi legittimato la violenza domestica considerandola indispensabile per mantenere l’ordine familiare e sociale.

E questo retaggio culturale risuona nel tempo arrivando fino ai giorni nostri attraverso un’eco di violenze, sangue e abusi. Il femminicidio, infatti, si compie quando la partner viene considerata colpevole di aver trasgredito ad un ruolo docile e remissivo in cui è l’uomo a dover decidere per entrambi.

E bisogna far attenzione ad estromettere la violenza di genere dalla processualità storica perché ciò significherebbe ridurre il fenomeno alla dimensione del biologico, negare ogni sua implicazione sociale e culturale, prescindere dai rapporti di potere eliminando così ogni principio di responsabilità umana. Il fenomeno va inquadrato come un dato trasversale capace di toccare tutti i contesti sociali, tutte le culture e tutte le professioni.

Violenza sulle donne

La situazione in Italia

L’Italia, per tutto il 2023, è stata segnata da eventi di cronaca di femminicidio. I dati fotografano una situazione drammatica: secondo il ministero dell’Interno sono 118 le donne uccise dall’inizio dell’anno (di queste, 96 in ambito familiare o affettivo), e già a pochi giorni dall’inizio del 2024 la situazione continua ad essere critica con diversi femminicidi che dominano i fatti di cronaca. Nomi e storie di donne che sono rimaste intrappolate in relazioni possessive andando incontro ad un destino terribile.

Alcuni casi sono eclatanti, suscitano scalpore, scuotono l’intera opinione pubblica e fanno rumore mediatico come il recente caso della giovane Giulia Cecchettin; altri rimangono nell’ombra. Donne uccise per desiderio di possesso, incapacità dei partner di accettare la separazione, estrema gelosia, brama di affermazione e superiorità dell’uomo; questi solo alcuni dei principali motivi per cui le donne perdono la loro vita per mano di uomini che spesso arrivano al gesto estremo solo dopo lunghe convivenze tortuose.

Il femminicidio è spesso il punto estremo di un’escalation di violenza domestica o di una relazione tossica dalla quale la donna non riesce a liberarsi per una sorta di «dipendenza affettiva». Le violenze perpetrate sulle vittime sono spesso il risultato di relazioni in cui i partner cercano il controllo e tentano di limitare la libertà delle loro donne in un crescendo di maltrattamenti che arrivano poi all’aggressione fisica. Donne vulnerabili che spesso si chiudono in sé stesse e solo raramente trovano la forza di denunciare le violenze subite a volte per paura di ritorsioni, a volte per salvaguardare l’unione familiare, altre perché credono che la situazione possa col tempo migliorare.

Legge Codice Rosso

Rimanendo nel nostro Paese, a rafforzare la tutela delle vittime di reati di violenza domestica e di genere interviene la legge n. 69/2019 meglio conosciuta come legge Codice Rosso a voler sottolineare una sorta di «corsia preferenziale» per le denunce e le indagini che riguardano i casi di violenza domestica e di genere. La procedura prevista tenta di accorciare i tempi sia per tutelare le vittime sia per punire gli aggressori introducendo nuovi reati e al contempo inasprendo le pene previste. Tra le nuove fattispecie introdotte troviamo, ad esempio, il reato di sfregio al volto e quello di “Revenge Porn”.

Per rafforzare maggiormente la tutela delle vittime la legge sul Codice Rosso prevede altresì che il Pubblico Ministero debba, entro il termine di tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato, assumere le sommarie informazioni della persona offesa salvo che non sussistano imprescindibili esigenze (come la tutela dei minori o la riservatezza delle indagini). La finalità perseguita dal legislatore è quella di dettare tempi rapidi di intervento attraverso un lavoro di sinergia tra tutte le parti giudiziarie coinvolte. 

Violenza sulle donne

La situazione nel mondo

Questa normativa rientra in un più ampio quadro delineato nel 2011 dalla Convenzione di Istanbul che, attraverso l’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori, rappresenta il principale strumento internazionale giuridicamente vincolante per la lotta e la prevenzione della violenza di genere.

La Convenzione riconosce infatti la violenza sulle donne come una discriminazione e una violazione dei diritti umani. Infatti, volgendo uno sguardo fuori dall’Italia, notiamo che, come tutte le forme di violenza di genere contro le donne e le ragazze, il femminicidio è un problema universale che riguarda tutti i Paesi del mondo. Secondo il più recente rapporto dell’Osservatorio, nel 2022 l’Africa ha registrato il maggior numero assoluto con una stima di 20 mila vittime, seguita da 18.400 in Asia, 7.900 nelle Americhe, 2.300 in Europa e 200 in Oceania.

Sensibilizzare e riflettere sulla violenza di genere è essenziale. Numerose sono le associazioni che negli anni sono nate per combattere il fenomeno, per dare voce alle vittime e ai loro familiari; numerose sono le iniziative che ogni anno inondano il nostro Paese e il mondo intero per dire a basta una volta per tutte alla violenza, all’ignoranza e alla ferocia di tali gesti.

Ricordiamoci che il femminicidio prima di essere una morte è una «mortificazione». Una piaga difficile da sconfiggere nonostante tutti gli sforzi messi in atto nel corso degli anni. Per questo motivo occuparsi solo della violenza e non anche della discriminazione significa spesso arrivare troppo tardi. È per questo che si rende estremamente necessaria una sinergia di sforzi e di interventi non solo sul piano giuridico ma anche e soprattutto sul piano culturale e sociale.

Come ci insegna la compianta Michela Murgia, «La morte fisica è infatti possibile solo dove è già stata consentita la mortificazione sociale, ovvero tutta quella lista di negazioni della dignità al livello fisico, psichico e morale rivolte alle singole donne in quanto tali e alle donne tutte nella loro appartenenza di genere» (la Repubblica, 25 gennaio 2021).

di Saida Massoussi

vignetta di Giuseppe Castiglione
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