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Eliminato il problema Prigozhin: attenti agli altri, o sotto a chi tocca

Ricorrere ad un uso brutale del potere per affermare il proprio ruolo di leader è una dinamica ormai consolidata delle politiche di Putin. E la morte di Prigozhin ha fatto pensare ad un ritorno a queste strategie, sebbene nulla prima d’ora aveva minato così tanto il suo potere e la sua immagine, sia in casa che all’estero.


Anche con il rischio di cadere in una banale ovvietà, è altamente improbabile che l’incidente aereo che avrebbe ucciso Prigozhin sia stato un incidente. Ciò che è certo è che un’ennesima minaccia al dominio russo in Europa Orientale è stata eliminata ma ciò che è ancora più chiaro è che Putin, come il suo ‘maestro’ Stalin, non lascia scampo a chi ostacola il suo percorso, soprattutto se ha osato sfidarlo pubblicamente.

Il dittatore sovietico, con l’omicidio di Sergei Kirov nel 1934, capo del Partito Comunista di Leningrado e intimo amico, sospettato di voler abbattere dall’interno il regime di Stalin, diede il via alle sue epurazioni. Forse, dopo quasi novant’anni, la morte di Prigozhin non darà il via alle ‘epurazioni putiniane’, ma sicuramente conferma che la mancanza di lealtà va punita.

C’è chi, con timore, non azzarderebbe mai un paragone tra Stalin e Putin solo perché si considerano i loro contesti storico-politici troppo diversi. Eppure, questi episodi così casuali, al pari delle purghe staliniane, generano mancanza di reazioni endogene al ‘ sistema’ e rappresentano un monito per chiunque volesse in futuro tentare di sovvertire lo status quo. Anzi, probabilmente l’élite russa è rimasta più stupita ed incredula di fronte all’iniziale benevolenza del governo russo nei confronti di Prigozhin dopo il suo tentativo di ribellione piuttosto che della sua stessa apparente morte.

Prigozhin, infatti, prima dell’ammutinamento, aveva già incolpato il ministro della Difesa Shoigu per i fallimenti in Ucraina e contestato le giustificazioni russe della guerra in Ucraina, per poi prepararsi all’azione. Mentre gli alti funzionari russi denunciavano il tradimento, il Cremlino era giunto ad un accordo con Prigozhin per frenare la sua marcia e garantirgli sicurezza in Bielorussia. Putin, d’un tratto, era diventato un pacifista. 

In realtà, Prigozhin ha vissuto così ‘a lungo’ (due mesi) dopo il fallito colpo di stato per una ragione ben più preziosa: salvaguardare gli interessi russi in Africa, dove la Wagner ha dispiegato un numero elevato di truppe. Prigozhin, in questi 2 mesi, ha incontrato i leader africani al vertice Russia-Africa a San Pietroburgo ed ha anche dichiarato il sostegno russo al colpo di stato in Niger. 

Sempre a conferma della sua innaturale benevolenza, Putin ha rimosso dalla carica di capo dell’aeronautica militare il comandante Sergei Surovikin, personalità legata a Prigozhin da rapporti di lunga data, tanto da suggerirgli la ritirata delle truppe nella sua marcia verso Mosca. Questo, tuttavia, non ha rappresentato un attenuante sufficiente ad esonerarlo da un’azione ritorsiva da parte di Putin. Per il Cremlino è stato sufficiente avere la conferma che Surovikin fosse solo a conoscenza delle intenzioni della Wagner.

Depennati Prigozhin e Surovikin, chi è al terzo posto della lista dei ‘walking dead’ al Cremlino? Un vecchio fedelissimo di Putin, un ex comandante che si è distinto in Crimea nel 2014, autore di diversi crimini in Donbass, nonché responsabile dell’abbattimento del volo MH17 della Malaysia Airlines: Igor Girkin. Le sue critiche alla politica del terrore di Putin e dell’esercito russo nella guerra in Ucraina gli sono costati una condanna e un arresto per estremismo.

Queste ‘pulizie fuori stagione’ al Cremlino portano, tuttavia, con sé la necessità, dopo aver sequestrato anche altri beni di proprietà della Wagner, di definire il destino e la riorganizzazione della stessa. Le potenziali opzioni sarebbero tre: il suo scioglimento, la sua nazionalizzazione da parte dello Stato russo o la nomina di un nuovo leader.

Una scelta va presa considerando soprattutto che il Gruppo Wagner ha ancora una presenza significativa in Bielorussia, Mali, Siria, Libia e Repubblica Centrafricana. Ad esempio, nel Sahel l’esercito russo ha ottenuto non solo forte sostegno dalle élite locali africane che vedono la Russia come un amico rispetto ad un Occidente antiterrorista, ma anche l’accesso a risorse naturali e porti strategici. 

L’Africa per Putin è vitale non solo per dimostrare all’Occidente di non essere isolato, ma soprattutto come parafulmine alle sanzioni occidentali. Pertanto, Putin e il ministro della Difesa Sergei Shoigu sembrano orientati verso la strategia di integrare il Gruppo Wagner all’interno delle forze russe sia per non rinunciare alle loro esperienze e ‘conquiste’, sia per poterli avere sotto un controllo diretto ed evitare sfide future. Ciò incontrerà non pochi ostacoli interni, dal Parlamento, alla Banca Centrale Russa fino ai Servizi di Sicurezza, a causa dei rischi di destabilizzazione nell’esercito e per gli investimenti necessari. 

Ad ogni modo, con il destino della Wagner nelle mani del Cremlino ed eliminato il suo comandante, una cosa è certa: Putin ha preferito rinunciare alle capacità tattiche (soprattutto in Africa) di un comandante come Prigozhin, piuttosto che tollerare uno sfregio alla propria reputazione. Di fatti, la morte di Prigozhin ha confermato da un lato che Putin non rinuncerà mai alla sua guerra e, dall’altro lato, che delle minacce al regime esistono, cosa che non era lontanamente immaginabile all’inizio del conflitto. 

E se un’opposizione vera si potrebbe animare all’interno stesso della Russia, il resto del mondo continuerà a fare da spettatore, in attesa che arrivi una notizia di un’altra offensiva russa o di un’altra vendetta di Putin mentre noi, da questo lato, staremo predisponendo una nuova sanzione economica.

Cristiana Ruocco


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