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Il caso Erica Marsh, la rabbia come questione politica

Per mesi l’account Twitter di Erica Marsh ha animato un intenso dibattito politico tra democratici e repubblicani. C’è un fatto: l’influencer dietro questo profilo, in realtà, non è mai esistita.


Erica Marsh, attivista del Partito Democratico, la “democratica fiera” attiva sia nella campagna elettorale del presidente Biden sia per la Fondazione Obama, ha raccolto, dallo scorso settembre, più di 130.000 follower sul suo profilo Twitter, alimentando nei mesi un’animosa ondata di controversie per la natura estremamente polarizzante dei suoi tweet e raggiungendo altissimi tassi di engagement con oltre 27 milioni di visualizzazioni. 

Eppure, secondo un’analisi del Washington Post, Erica Marsh in realtà non è mai esistita. Per tutta risposta, Twitter – per ragioni formalmente sconosciute – ne ha sospeso il seguitissimo account.

La strategia comunicativa di Erica Marsh puntava sull’espressione di opinioni iper-liberali sui più ampi argomenti del dibattito politico americano attuale. In questo modo, si è resa particolarmente popolare tra i conservatori, i quali l’hanno eretta a vessillo di quella platealità ideologica che viene spesso criticata alla sinistra progressista americana. 

In questo modo, l’account ha guadagnato una media di 1000 follower al giorno nei primi mesi. 

Erica Marsh, secondo le analisi del Prof. John Scott-Railton, ricercatore senior nel campo spyware, phishing e disinformazione dell’Università di Toronto, «è come se fosse caduta dalla luna e fosse arrivata completamente formata con questa narrazione che fa sembrare i liberali degli idioti». 

Oltre a ciò, la donna non compare nei registri elettorali e la direzione della campagna presidenziale di Biden così come la Fondazione Obama non hanno traccia di lei quale attivista sul campo, come la stessa aveva dichiarato di essere stata.

erica marsh

Tramite la formula del micro-blogging, cioè la condivisione di messaggi multimediali in forma estremamente concisa, Erica diffondeva messaggi basati su una narrazione del progressismo di sinistra definita “cartoonish”, cioè ridicolizzata per la sua natura estrema e per l’illogicità delle idee propugnate.

In particolare, la comunicazione dell’account Erica Marsh si basava sul sempre più diffuso rage-baiting, cioè l’atto di pubblicare contenuti deliberatamente controversi con il solo fine di  accendere l’indignazione e scatenare ondate di interazioni esacerbate, in modo da tenere alto l’engagement – e gli incassi. 

Nel dibattito attuale, già da diversi anni, il rage-baiting scandisce il dibattito della politica statunitense in quanto strumento utile per modificare la percezione che il pubblico ha di un determinato partito. 

Il caso Erica Marsh è un emblema di questa tattica politica: gli avversari (in questo caso il Partito Repubblicano) vengono indotti tramite una specifica strategia di comunicazione a reagire in modo eccessivo ed indignato a una dichiarazione controversa, in modo da consolidare la propria base di difesa ideologica e palesare quanto l’avversario sia irragionevole e, pertanto, da escludere dal dialogo politico.

Il conflitto, a questo punto, esclude ogni possibilità di scambio concreto di idee e si connota come mera espressione di rabbia, unicamente finalizzata non più a persuadere l’avversario ma ad annientarlo.

Il rage-baiting non è però legato esclusivamente ai conservatori, sebbene questo strumento sia estremamente popolare tra gli attivisti della destra. Nel 2017, dei ricercatori del partito democratico hanno condotto un “esperimento” durante le elezioni del Senato in Alabama, chiamato Project Birmingham.

L’operazione prevedeva la creazione di una pagina Facebook, la “Alabama Conservative Politics”, e l’implementazione di una strategia comunicativa orientata verso i repubblicani di quello Stato. Secondo un documento interno ottenuto dal Washington Post nel 2018, l’obiettivo della pagina Facebook mirava a far credere che la campagna dei repubblicani fosse stata condotta da una rete di bot basati in Russia, in modo da far infuriare ed animare i democratici e, al contempo, scoraggiare i repubblicani. 

Sempre secondo il Washington Post, un ex dipendente del dipartimento Trust and Safety di Twitter, specializzato nelle indagini sui furti d’identità e autenticazione degli account, il quale ha lasciato la società all’inizio di quest’anno dopo l’acquisizione di Twitter da parte di Elon Musk, sostiene che il social network abbia constatato una consistente attività di account localizzati nella zona della Macedonia del nord intorno ad ottobre 2022, i quali si atteggiavano a influencer pro-Trump e adoperavano le stesse strategie comunicative legate al rage-baiting tramite contenuti sensazionalistici e fake news, mirando nello specifico agli elettori statunitensi, indipendentemente dalle loro inclinazioni politiche.

L’efficacia di queste tattiche politiche risiede nella scarsa accountability delle personalità di spicco del dibattito politico in relazione a questi contenuti: la politica o si distacca blandamente dai contenuti problematici o, più frequentemente, non li riconosce e li ignora, così da mantenere una pseudo distanza dalla controversia e così mantenere l’immagine incorrotta e, allo stesso tempo, beneficiare dei fruttuosi effetti in termini di interazioni generati dal rage-baiting

Va precisato che il lettore generalmente non possiede i giusti strumenti per poter discernere queste strategie di manipolazione; l’enfasi su una più efficace alfabetizzazione digitale diventa una conditio sine qua non per poter sopravvivere ideologicamente in un panorama culturale e sociale sempre più definito dagli effetti dell’intelligenza artificiale.


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