Turchia, quali scenari dopo la rielezione di Erdoğan

Dopo la rielezione di Erdoğan, la Turchia si trova a ridefinire la sua posizione, sia sul fronte interno che internazionale.


Nonostante le premesse fossero quelle di un risultato finale del tutto incerto, ad elezioni concluse la Turchia ha rivisto la conferma al potere del presidente Recep Tayyip Erdoğan

La sfida, almeno fino alla fine del primo turno, non si era infatti rivelata del tutto in discesa; anzi, le opposizioni al presidente turco, fino a un certo punto, erano riuscite a creare in molti la sensazione che il dominio continuo dal 2003 dell’attuale presidente fosse ormai finito.

Le premesse, in effetti, giocavano a loro favore; Kemal Kılıçdaroğlu, l’avversario diretto di Erdoğan, sembrava sul punto di riuscire a sfruttare il momento più debole della storia al governo del presidente turco, che si trovava e si trova tuttora a dover fronteggiare una crisi economica senza precedenti nonché le conseguenze catastrofiche del terremoto del 6 febbraio scorso, che ha causato migliaia di morti e la cui gestione non è stata delle migliori.

Il risultato del primo turno aveva tuttavia già abbassato molto le aspettative, con il partito di Erdoğan in netto vantaggio rispetto all’opposizione. Rimaneva però la possibilità di rimontare al ballottaggio: una situazione unica rispetto ai normali risultati elettorali del partito di governo, abituato alle vittorie al primo turno delle precedenti elezioni. 

Alla fine, però, il risultato è stato abbastanza chiaro e al ballottaggio il presidente uscente ha vinto con un 52% dei voti, rispetto al 47% dell’opposizione.

Kılıçdaroğlu, nel suo discorso dopo il risultato elettorale, ha affermato: «il voto ha dimostrato la volontà del popolo di superare il governo autoritario di Erdoğan e ritiene che il cambiamento arriverà presto». 

Sebbene non sia stato un candidato particolarmente carismatico, a Kılıçdaroğlu va comunque riconosciuto il merito di essere riuscito a unificare tutte le opposizioni in un unico gruppo, che comprendeva un range di posizioni politiche che andavano dal partito filo-curdo Hdp alla destra nazionalista, passando per partiti islamisti e partiti storici di centrosinistra.

La domanda che molti si pongono, ora che il premier turco ha giurato di fronte al parlamento e a numerosi ospiti illustri, tra cui il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, è cosa succederà in Turchia. 

L’opposizione, le minoranze etniche e la comunità LGBTQIA+ hanno paura di un nuovo giro di vite contro di loro, ora che il presidente è nuovamente legittimato dal risultato del voto, seppur abbastanza stretto e simbolo di una divisione netta della società civile turca. 

Il rischio è che gli alleati del presidente vogliano agire nuovamente contro le libertà civili ed eliminare varie leggi, come la legge 6284 che tutela le donne dalla violenza domestica e che protegge i minori dai matrimoni forzati, ultima garanzia rimasta nel Paese dopo l’uscita della Turchia dalla Convenzione di Istanbul.

Ancora più pressanti saranno i nuovi movimenti riguardo i dossier di politica interna più urgenti: il terremoto di febbraio, in primis, ma anche la grave crisi economica aggravata dalle politiche interne di Erdoğan. 

Il presidente Erdoğan nei luoghi del terremoto del febbraio 2023

Il presidente, infatti, ha attuato politiche molto aggressive per evitare il crollo della lira turca, che nonostante i suoi sforzi ha raggiunto il valore di 23 lire per un dollaro subito dopo la sua rielezione. Il controllo esercitato da Erdoğan sull’economia e sulla banca centrale prima del voto gli aveva permesso di aumentare i salari minimi e mantenere bassi i tassi di interesse. 

Questo, tuttavia, lo ha costretto a richiedere prestiti ai Paesi del golfo per alleviare la crisi. Il tutto ha portato a una svalutazione della moneta e a un esaurimento delle riserve della banca centrale turca, che dovrà affrontare debiti non indifferenti se vorrà recuperare la propria posizione economica anche nei confronti dei Paesi esteri.

Sul fronte della politica estera, in effetti, il rafforzamento della legittimità interna porterà probabilmente a un conseguente rinforzo della presenza internazionale; come primo obiettivo, la Turchia potrebbe avere intenzione di affrontare il tema dei rifugiati siriani, per il quale le soluzioni attuali non sono sufficienti.

Inoltre, la politica estera di Erdoğan mira anche al mantenimento di una posizione di spicco all’interno della NATO, cosa che gli è già riuscita molto bene grazie alla sua posizione da mediatore tra Ucraina e Russia anche per conto dell’Europa, che ha invece chiuso ogni posizione di dialogo con il Cremlino.

Grazie alla sua collocazione, la Turchia ha così potuto conquistare il favore dell’Ucraina come partner commerciale, ed è riuscita a diventare di vitale importanza per le sue posizioni di veto contro la Finlandia – ora entrata a far parte della NATO – e la Svezia, che invece non può ancora contare sull’appoggio dell’organizzazione, avendo la Turchia  subordinato il voto favorevole all’ingresso del Paese europeo nell’accordo del Nord Atlantico (l’adesione richiede l’approvazione unanime degli Stati Membri) all’estradizione di un membro dell’HDP, il partito filo-curdo considerato fuorilegge in Turchia, che ha richiesto asilo politico in Svezia.

Insomma, per ora la posizione del presidente turco sembra essere solida, ma gli svariati problemi interni potrebbero diventare un pesante fardello. E se la solidità del Tavolo dei Sei, cioè la coalizione dei partiti di opposizione e sua diretta concorrente interna, dovesse restare tale, allora potrebbe avere un valido avversario in grado di approfittare delle sue mancanze.


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