Roland Barthes, ‘Frammenti di un discorso amoroso’ è un classico capace di interrogarci sempre

Uno degli aspetti costanti del nostro vivere riguarda il tema dell’amore e in quest’opera Barthes scrive molto a riguardo, per cercare di render conto di cosa esso sia attraverso l’analisi del lessico amoroso. 


Nella sua recensione al prestigioso saggio di Roland Barthes del 1977, Frammenti di un discorso amoroso, scrive Pier Vittorio Tondelli: «Non si tratta di un manuale: non vi dirà come comportarvi nè che cosa fare per togliervi dall’affanno e dall’ingombro di un abbandono… Roland Barthes vi darà comunque uno specchio bellissimo per riflettere, pensare, decidere, paragonare la vostra storia a quella di Werther o a un haiku giapponese; vi darà un respiro più ampio in cui emettere il vostro rantolo e, improvvisamente, la coscienza del vostro amore si rafforzerà».

Uno degli aspetti costanti del nostro vivere riguarda il tema dell’amore e in quest’opera Barthes scrive molto a riguardo, trattando di questo in chiave filosofica, descrivendo l’amore come una malattia, il desiderio e l’attrazione come una febbre alta che fa male, e l’innamorato come un bambino eccitato, come il giovane dio Eros. Sviscerando però tantissimi temi nei temi, cercando di descrivere ad esempio il dolore di chi viene lasciato quando l’unione finisce.

Quest’opera in particolare è concepita come un dizionario, una semantica enciclopedica sull’amore, con una serie di istantanee, di un discorso che un innamorato ha in testa quando ama. Una sorta di monologo ritagliato in piccole sequenze, senza un ordine preciso, una successione disordinata in cui l’autore ha dato un nome a questi frammenti – circa 80 – dove, in ciascuno di essi ha cercato di cogliere ‘il mini discorso’ che l’innamorato tiene a se stesso, senza nessun ordine del resto, attraverso tutta l’avventura amorosa. 

Esemplare è ad esempio la riflessione sul classico “mi rovino”: Barthes ha semplicemente voluto annotare quelle sensazioni di perdita dell’identità o di coscienza che prova il soggetto innamorato in certi momenti della sua esperienza e che troviamo frequentemente nella letteratura romantica e soprattutto nel romanticismo tedesco

In questa successione di frammenti sul lessico amoroso si comincia con «abbraccio», poi con «cuore», «dedica», «gelosia», «incontro», «notte», «piangere», «voler prendere», componendo un mini-glossario che affonda le proprie radici nella cultura occidentale, raccogliendo tanti riferimenti letterari e psicoanalitici. 

Il fascino di questo libro sta infatti nella grandissima bravura dell’autore, uno degli intellettuali più importanti del ‘900 non a caso, nel non cadere mai nella banalizzazione. Si veda ad esempio l’analisi che fa Barthes su l’«attesa»: l’innamorato/a è molto spesso colui/lei che attende, che passa il tempo ad attendere gli appuntamenti, le telefonate, che è in uno stato di attesa permanente del partner. L’autore ha voluto analizzare cosa accade a livello del discorso, non esattamente a livello psicologico, ma piuttosto a livello del discorso che il soggetto innamorato fa tra sé e sé, quando attende. 

Come ammetterà invece lui stesso più avanti, la figura più problematica è invece quella del «io ti amo», nonostante sia la figura centrale di questo saggio, ma ovviamente ha comportato delle difficoltà, dove l’autore ha cercato di mostrare che sono parole che non comportano un messaggio da riferire al partner, ma che si tratta in realtà di una formula magica, che viene fuori solitamente come una sorta di grido che sale alle labbra quando si ama. 

frammenti barthes

Com’è fatto il libro di Barthes

Com’è fatto questo libro lo scrive lo stesso autore nella sua introduzione, scrivendo che: «Tutto è partito da questo principio: che non bisognava ridurre l’innamorato a un puro e semplice soggetto sintomatologico, ma piuttosto dar voce a ciò che in lui vi è d’inattuale, vale a dire d’intrattabile. Di qui la scelta di un metodo “drammatico”, che rinuncia agli esempi e si basa unicamente sull’azione di un linguaggio immediato (niente metalinguaggio). La descrizione del discorso amoroso è stata perciò sostituita dalla sua simulazione, e a questo discorso è stata restituita la sua persona fondamentale, che è l’io, in modo da mettere in scena non già un’analisi, ma un’enunciazione. Quello che viene proposto è, se si vuole, un ritratto; ma questo ritratto non è psicologico, bensì strutturale: esso presenta una collocazione della parola: la collocazione di qualcuno che parla dentro di sè, amorosamente, di fronte all’altro (l’oggetto amato), il quale invece non parla».

Egli postula il fatto che il linguaggio di coloro che amano sia costituito da una serie di immagini, venendosi a creare immediatamente una endiade; ciò che si articola in ciò che è espresso per convenzione attraverso il dire deve avere necessariamente un corrispettivo da un punto di vista dell’immagine. Il motore di ciò che noi diciamo non è la volontà di una particolare affermazione che viene resa spontanea dalla comprensione di qualcosa ma è data dal fatto che l’immaginario muove l’insieme di immagini che determinano il nostro linguaggio, sia verso l’interno che verso l’esterno.

Dunque un logos che non dice soltanto dell’uomo, ma è anche un logos che dice l’uomo stesso, in un movimento circolare in cui Barthes perviene alla tesi secondo cui “i discorsi abbandonano altri discorsi”, un tratto che è anche la creazione di un’epoca. Come scrive lui stesso nell’incipit, non c’è psicologia ma azione, quella della parola, ovvero un’enunciazione. Bisogna però fare altre precisazioni, ovvero cosa intende Barthes per inattuale e cosa intende con “ritratto strutturale” in cui, secondo Barthes vi è un soggetto amoroso che parla e l’oggetto amato invece no.

Linattuale, termine che ricorre spesso nell’opera, è inteso nietzschianamente come garanzia di incontrare un chè di autentico nella nostra vita: non incontriamo qualcosa di autentico nella nostra vita se ci indaffariamo nel nostro quotidiano, ma riusciamo ad avere una prospettiva completamente differente proprio nel momento in cui evacuiamo dall’attualità, in cui in questo negativo inattuale poniamo una posizione affermativa, svincolandosi dai funzionalismi che rendono il nostro quotidiano appunto attuale.

Con “relazione strutturale” Barthes intende un discorso amoroso privo di dialettica, in cui vi è un soggetto che parla e un oggetto amato che non parla, quando l’io amante proferisce verso l’oggetto amato non ha bisogno che l’oggetto risponda. 

Noi molto spesso ci fissiamo sul significato di certe cose che ci vengono dette, quello che però scopre Barthes è che conta di più la costruzione sintattica della frase: potrei dire qualunque cosa, ma se la dico con una specifica articolazione il risultato è quello. 

Significa che nel momento in cui noi usiamo una specifica articolazione già siamo in quella significazione, ci proiettiamo. Un aspetto fondamentale sia per quanto concerne le nostre relazioni che per le nostre forme logiche del pensare. Il linguaggio ordinario non è in grado di riflettere fedelmente il significato di ciò che si prova quando si ama. Per questo occorre dare più peso, più che al significato in sè, all’articolazione che si intende esprimere.

Perché quando si pensa un certo calcolo, un certo discorso o pensiero, la formulazione di quel pensiero in quanto formulazione è già di per sé un senso. Noi diventiamo quello che esprimiamo.

La storia d’amore

Scrive Barthes che la storia d’amore è il prezzo che l’innamorato paga al mondo per riconciliarsi con il mondo. Significa che il mondo esige una storia ed esige relazione, quindi un’esistenza, ma l’Eros no, non guarda il mondo che gli sta intorno, non c’è nulla che gli possa interessare oltre che l’oggetto amato. C’è dunque una incompatibilità tra eros ed esistenza. Dunque Barthes non condivide il pensiero che hanno molti dell’amore, secondo cui  per essere pienamente realizzato sia un’amore manifesti la sua continuità, la sua relazione con il mondo, parenti ecc., con il progetto esistenziale futuro. 

Quello che scrive invece Barthes è che per ritornare a vivere in modo normale devo raccontare la mia storia, che come storia ha un inizio e una fine; ma che in realtà sono immerso in quella cosa quando ero pienamente in sintonia con quel presente, senza pormi il problema di quale dovesse essere la mia relazione con il mondo o di che storia dovessi raccontare agli altri o di quale dovesse essere la mia condizione intersoggettiva. Mi interessa nel momento in cui quello che sta accadendo svanisce. 

Io,  amante, chiedo al partner di sposarti solo se io devo pagare un prezzo con il mondo e ne sono consapevole, se così non fosse una persona sana di mente non lo fa, impedisce che il sole bruci l’oggetto amato.


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