Il simbolismo politico dietro il Signore degli Anelli: realtà o libera interpretazione?

La tradizione italiana che lega “Il Signore degli Anelli” al neofascismo non trova eguali nella sua unicità. Ma cosa c’è dietro questa idea?


Chiunque abbia avuto a che fare con il genere letterario del fantasy sarà a conoscenza dell’operato di John Ronald Reuel Tolkien, autore dell’universo de Il Signore degli Anelli, la trilogia che segnerà il futuro del genere in una forma o nell’altra. Non tutti, però, sono a conoscenza della tradizione tutta italiana (e solo in minima parte internazionale) di sfruttare il simbolismo dell’opera a scopo politico, usando i simboli presenti e proiettandoli, non senza qualche forzatura, come punti di riferimento della destra politica italiana.

Fin dagli anni settanta del ‘900, infatti, il lavoro di Tolkien era diventato un serbatoio di simboli e significati ai quali i giovani del Movimento Sociale Italiano, o MSI, facevano riferimento, anche grazie all’introduzione scritta dall’intellettuale italiano Elémire Zolla, esperto di storia delle religioni e di esoterismo. 

Zolla, nella sua prefazione alla traduzione dell’opera effettuata nel 1970, diede una chiave di interpretazione focalizzata per intero sul simbolismo della trilogia, e sul fatto che Tolkien aveva inteso tutta la storia come una metafora dell’antitesi tra mondo moderno e mondo antico.

La traslazione di significato, in effetti, appariva perfetta per il momento storico che la politica di destra radicale stava attraversando; la fatica a riaffermarsi sul territorio, tanto in Germania quanto in Italia, dovuta all’assenza di nuove idee alle quali aggrapparsi, si stava facendo sentire. 

I Campi Hobbit di Fronte della Gioventù 

Ma, grazie a questa rilettura della trilogia avvenuta in quel momento storico, si era trovato un nuovo punto di riferimento sul quale convergere. Basti pensare ai cosiddetti  “Campi Hobbit”, nome derivato dal minuto popolo protagonista dell’opera, utilizzato al fine di creare aggregazione e portare nuove leve al Movimento Sociale Italiano, potenzialmente attratte dal nome. Il Fronte della Gioventù, ramo giovanile del Movimento Sociale Italiano, organizzò il primo di questi raduni nel 1977 vicino Benevento; tra i partecipanti militavano anche un giovane Gianni Alemanno, futuro sindaco di Roma, e Gianfranco Fini, membro del direttivo dell’ora defunta Alleanza Nazionale, erede de facto del MSI. 

Il campo aveva il compito di perorare la causa delle destre estreme, con dibattiti su varie tematiche – come la condizione della donna – e con un sottofondo musicale a cura della Compagnia dell’Anello, gruppo musicale che non aveva alcun riferimeno a Tolkien se non nel nome, e che suonava ballate folk dal netto contenuto politico come Storia di una SS e La ballata del nero, titoli abbastanza indicativi delle preferenze politiche che si volevano esprimere.

L’interpretazione di Tolkien da parte della destra 

In realtà, l’operato di Tolkien è stato abbastanza mistificato dalla destra. Paolo Pecere, scrittore e storico della filosofia, nel suo libro sulla questione intitolato L’anello che non tiene. Tolkien fra letteratura e mistificazione, evidenzia in modo netto che un’opera letteraria neutra, come quella del professore di Oxford, può assumere qualsiasi significato le si vuole attribuire. Tolkien stesso, peraltro, era un cristiano conservatore e aperto critico di Hitler, paragonato spesso a Sauron, il grande antagonista dell’opera.

Questo, tuttavia, non servì a frenare il connubio ideale tra la famosa trilogia e i gruppi di estrema destra italiana. Anzi, tra i tanti esempi di lettura mediata da filtro deformante si può prendere una delle frasi ancora oggi citate in molti manifesti: «le radici profonde non gelano», citata specialmente in occasioni celebrative, spesso corredata di croci celtiche e spadoni, usata, anche negli anni passati, per mettere in guardia dai rischi dell’invasione degli immigrati. E anche nella politica più recente, non possiamo non pensare a Giorgia Meloni, fan conclamata dell’opera di Tolkien, che viene presentata a un comizio dall’attore Pino Insegno attraverso una celebre citazione della trilogia.

Indicativa è anche l’idea di donna che veniva presa direttamente dalla trilogia: una rivista fondata dal MSI proprio in quel periodo, per la precisione nel 1976, prese il nome direttamente da Eowyn, un personaggio femminile “minore” ma determinante nel suo operato all’interno della saga. Questo personaggio viene visto come nuovo ideale di donna, “bella e fredda” ma pronta a combattere contro il male, contro quel Sauron e i suoi Nazgul, che dalla destra estrema venivano additati come rappresentazione di un ipercapitalismo sfrenato.

La terra di mezzo come dimensione dei ribelli 

Non mancano, tuttavia, le contraddizioni a questo simbolismo: qualche anno prima, anche i contestatori americani delle rivolte sessantottine avevano eretto a simbolo l’opera di Tolkien, anche in questo caso con una forzatura dell’interpretazione. L’opera così vista venne accolta nella prima edizione italiana tascabile del 1977 come “la bibbia degli hippies”.

La definizione bipartisan che riesce a dare Marco Tarchi, politologo e accademico italiano, sembra offrire una possibile conclusione a questo dibattito, definendo l’opera come «il breviario dei ribelli, dei disperati, degli emarginati, che in esso ritrovano una “altra dimensione” dell’esperienza intellettuale, capace di fondere l’elemento mitico e i richiami dell’attualità. Delusi dalle contraddizioni del progresso, giovani di destra e di sinistra, anarchici d’ogni segno, contestatori, vi trovano una profonda aspirazione ideale al cambiamento, alla costruzione di un mondo diverso».


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