Live at Pompeii, a 50 anni dal concerto dei Pink Floyd

Cinquant’anni fa i Pink Floyd accettarono di suonare tra le rovine di Pompei, dando vita a un concerto rimasto nella storia del rock. Eppure non fu un concerto e solo tre brani vennero suonati nell’antico tempio campano. La storia di uno dei primi docu-film perseguitato dalla sfortuna.


Tra il 4 e il 7 ottobre di cinquant’anni fa i Pink Floyd realizzarono nell’Anfiteatro della città distrutta dal Vesuvio il film-concerto passato alla storia come uno dei concerti più famosi nella storia della musica

Qualcuno negli anni non ha particolarmente apprezzato l’uso del termine “concerto”, ed effettivamente non aveva tutti i torti. La platea innanzitutto era completamente vuota e nessuno era al corrente del fatto che quel giorno all’interno delle rovine di Pompei si stava suonando. Inoltre i brani eseguiti dal vivo furono appena tre, neanche eseguiti di fila, bensì prima suonati e subito dopo meticolosamente controllati dalla band con le cuffie: se non erano perfetti, andavano ripetuti. 

Eppure Live At Pompeii dei Pink Floyd, è uno degli eventi più famosi nella storia della musica, una pietra miliare del periodo floydiano post-Barrett e pre-Dark side of the Moon. Il film-concerto uscì nel 1974, ma fu registrato tre anni prima, nel 1971.

L’inizio del mito e le innumerevoli vicissitudini

L’idea nacque dal regista Adrian Maben – che ben presto sentiremo nuovamente nominare – che provò inizialmente a convincere David Gilmour a scrivere musiche che interagissero con immagini pittoresche. Gilmour non mostrò grande interesse, anzi, rifiutò immediatamente. Mesi dopo, nell’estate del 1971, Maben, in vacanza a Napoli, fu colpito dall’immagine dell’Anfiteatro romano di Pompei al crepuscolo. Era tornato lì al tramonto perché credeva di aver smarrito il passaporto qualche giorno prima. Fu lì che ebbe l’idea di far suonare i Pink Floyd, proprio in quella location. Ma senza pubblico.

Grazie all’amicizia con un professore dell’Università di Napoli, Maben ottenne ben presto l’autorizzazione dalla soprintendenza. Ma non fu tutto semplice. I Pink Floyd infatti si impuntarono su due aspetti: i brani andavano eseguiti rigorosamente live e, di conseguenza, ciò significava l’organizzazione del trasporto via camion di tutta la strumentazione necessaria, per garantire una qualità sonora equiparabile ai lavori in studio. Ma arrivata a Pompei – ecco il primo intoppo – la troupe di Maben si rese conto che non c’era corrente sufficiente e si decise quindi di prenderla direttamente dal Municipio tramite un lunghissimo cavo che percorse tutte le strade di Pompei, dal Municipio all’Anfiteatro.

Se furono Gilmour e Waters ad avere voce in capitolo nella registrazione, anche Maben, dal canto suo, volle delle garanzie e riuscì a strappare alla band due importanti tasselli: i quattro Floyd, in primis, dovettero arrampicarsi tra i vapori delle solfatare di Pozzuoli e solo tre brani dovevano essere eseguiti dal vivo, peraltro neanche in versione integrale: Echoes; One Of These Days; e A Saucerful of secrets ed Echoes II, di cui a Pompei venne eseguita la prima metà e il finale. Niente parte centrale. 

Il girato di Maben, per quanto qualitativamente alto, non fu sufficiente a confezionare un film; in più il regista terminò il budget, piccola avversità che lo costrinse infatti a ultimare il montaggio della prima versione a casa sua. Ben presto però un’altra sventura era pronta ad abbattersi su Maben. Poco dopo molte bobine andarono distrutte e fu anche per questo che in One Of These Days le immagini non staccano quasi mai da Nick Mason – unica delle poche sequenze del brano a non andare fortunatamente perduta.

Per rendere quindi tutto credibile e perfetto, Maben convinse il gruppo a girare altre immagini in uno studio cinematografico francese, l’Europasonor di Parigi. Dal 13 al 20 dicembre del 1971 si cercò di ricostruire l’ambientazione di Pompei usando immagini di repertorio della soprintendenza, oltre alle sequenze di Pozzuoli proiettate alle spalle della band, così i Pink Floyd suonarono Set the Controls for the Heart of the Sun, Careful with That Axe, Eugene e la sezione centrale di Echoes. Dopo il montaggio casalingo, Maben si rese conto di avere appena un’ora di film (ancora un po’ poco). La sua sfortuna ovviamente non l’abbandonò, anzi, continuò a tormentarlo. La prima del film, infatti, prevista per il 25 novembre 1972 al Rainbow Theatre di Londra, saltò per “motivi burocratici”. 

Nel frattempo, era arrivato il 1973 e i Pink Floyd stavano ultimando Dark Side Of The Moon negli studi di Abbey Road. Maben a quel punto pensò bene di arricchire Live At Pompeii con un mini-documentario ad Abbey Road. Ma anche stavolta i tempi furono lunghi. L’album, ancora a gennaio, non fu terminato. Così i quattro musicisti decisero di “recitare” per Maben, suonando le loro parti su delle basi non ancora definitive. Fu così che la versione definitiva salì a 80 minuti e ad agosto 1974, esce finalmente Live at Pompeii.

Le iniziative per i 50 anni 

A cinquant’anni da quello straordinario concerto filmato, Magister Art ha realizzato Reliving at Pompeii, un docu-film inedito diretto da Luca Mazzieri che in cinque brevi episodi ripercorre, con l’aiuto di Adrian Maben e dei suoi ricordi, i momenti più belli e intensi della ideazione e della realizzazione del film. 

Il concerto a porte chiuse del 1971 segnò un momento cruciale per i Pink Floyd, il momento di passaggio dalla loro realtà di band d’avanguardia a una nuova maturità artistica, tra un album come Meddle e un capolavoro come The Dark Side Of The Moon. Ma fu un evento importante anche per il sito di Pompei e l’anfiteatro, dove si realizzò un connubio fra arte, musica, storia, archeologia e futuro. Il tutto in un film che ha avuto un clamoroso successo negli anni diventando un vero e proprio “cult movie” amato da generazioni di fan dei Pink Floyd (e non solo).

La serata del 10 aprile 2022 all’Auditorium Parco della Musica è servita non solo a ripercorrere le tappe della realizzazione del film, ma anche a riproporre, in modo speciale, una Lezione di Rock –  alla riscoperta per esempio della famosa quadrifonica di The Dark Side Of The Moon – un’arte dei Pink Floyd, che resta sempre unica, attuale ed emozionante. 

L’arte della quadrifonica, infatti, portava una particolarità all’interno dell’album: fu realizzato per l’appunto per l’ascolto in quadrifonia, tecnologia che prevedeva di riprodurre il suono attraverso quattro flussi sonori (da qui il nome) riprodotti ognuno da un diverso diffusore; uno sulla sinistra e uno sulla destra rispetto all’ascoltatore e due diffusori (sempre uno a sinistra e uno a destra) alle spalle dell’ascoltatore. Tutto ciò creava nello stesso tempo un coinvolgimento particolare per colui che ascoltava, che veniva letteralmente “avvolto” dal suono della band. Fu un esperimento estremamente innovativo per l’epoca. Ad oggi la quadrifonia, che peraltro ha avuto una scarsa diffusione negli anni Settanta, non è più disponibile nelle case.

Il docu-film realizzato e trasmesso ad ottobre dello scorso anno in diretta streaming dall’Anfiteatro di Pompei sulla piattaforma di cultura del Ministero della Cultura ITs ART, è stato possibile grazie alla disponibilità del Parco archeologico di Pompei e del Gruppo TIM, partner tecnologico esclusivo e promotore dell’evento di valorizzazione svoltosi a Pompei. TIM e PAP hanno siglato nel 2021 un partenariato pubblico-privato che durerà per tutto il 2022. Qui di seguito un piccolo estratto dell’evento, che ha fatto la storia della musica internazionale di ieri e di oggi.


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