Polonia-Bielorussia: viaggio al confine dell’umanità

Tra indifferenze e giochi politici disumani, il confine tra Polonia e Bielorussia è una terra di nessuno dove i migranti continuano a rischiare la vita.


Quando, alla fine dello scorso mese di agosto, il governo polacco schierava oltre duemila militari lungo il confine che separa la Polonia dalla Bielorussia per evitare il passaggio dei migranti in fuga verso l’Unione Europea, sapevamo di trovarci di fronte solamente alla prima delle numerose situazioni di crisi che si sarebbero create da lì in poi.  

Situazioni di crisi che, è bene ricordarlo, riguardano non solo equilibri geopolitici ma anche e soprattutto persone, tra le quali centinaia di minori.

Va ricordato anche che Varsavia sta iniziando la costruzione dell’ennesimo muro anti-migranti presente all’interno dell’Europa Unita, del quale abbiamo trattato in questo articolo del 15 settembre scorso.

Come si è evoluta la situazione dopo “lo strappo” polacco nei confronti di Minsk?

Nei tre chilometri di terra di nessuno – al quale è vietato l’accesso a tutti i giornalisti internazionali presenti, le ONG e i deputati europei – creatosi in seguito allo speciale stato di emergenza applicato da Varsavia, sono letteralmente intrappolate centinaia di persone che non riescono a oltrepassare il confine – ormai fatto per lo più da filo spinato e protetto dalla foresta – a causa dei continui respingimenti effettuati dalle autorità militari e di polizia polacca. 

Come riportato dal quotidiano Il Manifesto in un articolo del 4 dicembre scorso, tre giovani ragazzi provenienti dalla Siria sono stati respinti fino a cinque volte consecutive per poi essere riportati nella linea interna alla barriera che divide i due Paesi, diventando il «simbolo del dramma che da mesi ormai centinaia di migranti stanno vivendo lungo il confine».

Il rischio più grande, per chi tenta di attraversare il confine illegalmente è quello di essere arrestati dalle autorità polacche e rinchiusi nei centri di detenzione, o venire nuovamente respinti in Bielorussia, al di fuori dunque, di quello che è ormai stato rinominato come il confine del confine

Tornare in Bielorussia sembra essere la paura più grande per la maggior parte delle giovani e dei giovani migranti, in attesa di sapere cosa riserverà loro il futuro. «Laggiù la gente sta morendo. Se ci rimandassero indietro, dubito che stavolta ce la potremmo fare»; queste le parole di uno di loro, riportate dai giornalisti de Il Manifesto che hanno raccolto le testimonianze di alcuni migranti.

Nel frattempo in quella parte di Europa, da ormai troppo tempo soggetta a dinamiche governative nazionaliste, antieuropeiste e contrarie all’accoglienza di chi ha avuto la sola colpa di essere nato nella parte sbagliata del mondo, si aggiunge un altro consueto grande problema: l’arrivo del freddo che caratterizza i gelidi inverni dell’Europa centro-orientale. 

Le basse temperature sono un enorme problema, che non deve essere sottovalutato, proprio come non doveva essere sottovalutato l’inverno scorso. Le condizioni dei campi profughi sono nella maggior parte dei casi terribili, o comunque non in linea con gli standard minimi di rispetto della dignità di ogni essere umano. Oltre a delle condizioni igienico-sanitarie pessime e pochissime risorse per proteggersi dalle intemperie. 

I migranti provenienti dalla Siria raccontano che due di loro hanno raggiunto la Bielorussia dall’Iran attraverso un viaggio costosissimo – i trafficanti chiedono molti soldi – e molto pericoloso; il terzo è arrivato a Minsk in aereo con il visto ottenuto in Siria.

I tre ragazzi riferiscono che una volta arrivati in Bielorussia, i militari li hanno abbandonati lungo il confine il 12 novembre, e lasciati in condizioni disperate. I soldati bielorussi in una occasione, dopo che i migranti erano stati costretti a guadare un fiume con l’acqua fino al collo, li hanno derubati dei loro vestiti e degli smartphone, lasciandoli senza GPS e persi nella foresta bielorussa. Vittime insomma di una serie di comportamenti degradanti e disumani, in totale violazione dei diritti fondamentali, e del totale abbandono da parte delle autorità che in teoria avrebbero dovuto accoglierli e dare loro una vita migliore.

La Bielorussia del dittatore Lukashenko concede i visti e, consapevolmente, si rende protagonista di ciò di cui è accusata: utilizzare vite umane allo scopo di mettere in difficoltà e destabilizzare i vicini Paesi dell’area. Attraverso chat WhatsApp e gruppi Facebook, il governo bielorusso pubblicizza dei pacchetti all-inclusive che riescono a far evitare ai migranti la tanto temuta rotta balcanica e consentono l’arrivo all’interno di un Paese alle porte dell’Unione Europea.

Da mesi l’UE si è mossa in favore dei tanti migranti presenti lungo il confine stanziando oltre 700 mila euro per cibo, coperte, kit di primo soccorso e beni di prima necessità, evidenziando allo stesso tempo le enormi responsabilità del governo bielorusso ed esortando Minsk a fermare l’adescamento di vite umane. Appello UE che chiaramente non è stato accolto dal regime bielorusso.

Lo scorso novembre il Consiglio UE ha approvato il quinto pacchetto di sanzioni nei confronti della Bielorussia, e attraverso le parole dell’Alto rappresentante degli Affari Esteri Josep Borrell ha dichiarato: «questa decisione riflette la determinazione dell’Unione Europea a resistere alla strumentalizzazione dei migranti a fini politici. Stiamo respingendo questa pratica disumana e illegale».

Continuano anche i tentativi di mediazione. L’ultimo in ordine di tempo è stato quello tentato il mese scorso dall’ormai ex-cancelliere tedesco Angela Merkel, in un colloquio telefonico con Lukashenko, nel quale è stato concordato con il presidente bielorusso di portare la questione a livello UE-Bielorussia. Minsk dal canto suo si è resa disponibile a ospitare i migranti in un centro logistico vicino al valico di frontiera di Bruzgi, fin quando la questione non verrà risolta.

Quali saranno le effettive conseguenze di questa situazione di grande instabilità sarà solo il tempo a potercelo dire. Ciò di cui ad oggi possiamo tristemente e per l’ennesima volta  prendere atto, è come una determinata classe politica continui indiscriminata a utilizzare vite umane per i propri giochi di potere geopolitici, non curante delle enormi sofferenze che vengono costantemente causate; il tutto alle porte e nel cuore di quella che viene definita l’Europa unita, umana e democratica.


Immagine in copertina di Kancelaria Premiera

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