Le fusioni societarie e il loro ruolo nel sistema bancario

Cosa si intende per “fusioni societarie”? Queste operazioni straordinarie possono essere cruciali per il rilancio del settore bancario?


Con il termine “Mergers and Acquisitions” (M&A) si identifica, semplificando al massimo, la combinazione di due (o più) società che, al fine di creare un maggior valore rispetto a quello che ottengono operando separatamente, procedono a una fusione (merge) – mediante la costituzione di una nuova società, o mediante l’incorporazione in una società di una o più altre – o a una acquisizione (acquisition) – scenario in cui una società (acquirente) rileva al meno il 50 per cento del patrimonio netto della società che deve essere acquistata (target) per ottenerne il controllo. Tali interventi rientrano nelle c.d. operazioni straordinarie.

Con specifico riferimento alle fusioni tra società italiane, queste sono giuridicamente disciplinate dalla Sezione II del Libro V del Codice civile dall’art. 2501 all’art. 2504 quater. Questa procedura non incontra particolari limitazioni nei precetti normativi previsti dal legislatore. Infatti, al riguardo, l’art. 2501 (2) c.c. prevede esclusivamente che “la partecipazione alla fusione non è consentita alle società in liquidazione che abbiano iniziato la distribuzione dell’attivo”, riconoscendo quindi a tutte le società la possibilità di procedere a fusione, anche a quelle in stato di liquidazione, purché non abbiano ancora iniziato la distribuzione dell’attivo.

Una procedura di fusione – ripercorrendo la già richiamata Sezione II del Libro V del Codice civile – può essere distinta in quattro fasi:

– redazione del progetto di fusione (Art. 2501 ter c.c. e ss.): in questa fase l’organo amministrativo delle società partecipanti alla procedura redige un progetto di fusione, dal quale devono in ogni caso emergere tutti i tratti salienti dell’operazione tra cui, per citarne solo alcuni, l’individuazione e descrizione delle parti coinvolte, il rapporto di cambio delle azioni (o quote), nonché l’eventuale conguaglio in denaro e la data a decorrere dalla quale le operazioni delle società partecipanti alla fusione sono imputate al bilancio della società che risulta dalla fusione o di quella incorporante. In questa fase, un ruolo cruciale va riconosciuto alla relazione dell’organo amministrativo (Art. 2501 quinquies c.c.), alla relazione degli esperti (Art. 2501 sexies c.c.), nonché alla redazione della situazione patrimoniale delle società coinvolte nell’operazione (Art. 2501 quater c.c.);

– decisione dei soci in merito al progetto di fusione (Art. 2502 c.c. e ss.): fase in cui ciascuna delle società che partecipano all’operazione di fusione, mediante approvazione o meno del relativo progetto, si pronunciano sul progetto di fusione. Se l’atto costitutivo o lo statuto non dispongono diversamente, tale approvazione avviene, nelle società di persone, con il consenso della maggioranza dei soci determinata secondo la parte di utili attribuita a ciascuno, salva la facoltà di recesso per il socio che non abbia consentito alla fusione e, nelle società di capitali, secondo le norme previste per la modificazione dell’atto costitutivo o statuto. In questa fase, un ruolo cruciale va riconosciuto al deposito e all’iscrizione della decisione di fusione (Art. 2502 bis c.c.) e alle eventuali opposizione dei creditori (Art. 2503 c.c.) o dei possessori di obbligazioni delle società partecipanti alla fusione (Art. 2503 bis c.c.);

– redazione dell’atto di fusione (Art. 2504 c.c. e ss.): l’operazione deve risultare da atto pubblico e deve essere depositato per l’iscrizione, a cura del notaio o dei soggetti cui compete l’amministrazione della società risultante dalla fusione o di quella incorporante, entro trenta giorni, nell’ufficio del registro delle imprese dei luoghi ove è posta la sede delle società partecipanti alla fusione, di quella che ne risulta o della società incorporante. In questa fase, un ruolo cruciale va riconosciuto agli effetti prodotti dalla fusione (Art. 2504 bis c.c.) e al divieto di assegnazione di azioni e quote in sostituzione di quelle delle società partecipanti alla fusione possedute (Art. 2504 ter c.c.);

– iscrizione al Registro delle imprese dell’atto di fusione (Art. 2505 ter c.c.): gli effetti della pubblicità consistono principalmente nell’opponibilità ai terzi degli atti o fatti pubblicati. La pubblicazione determina una presunzione di conoscenza che per i primi quindici giorni è iuris tantum, ossia una presunzione c.d. “relativa”, ovvero che consente che l’interessato provi il contrario di quanto si presume; poi, è iuris et de iure, ossia una presunzione c.d. “assoluta”, che non ammette alcuna prova contraria.

Il procedimento di fusione appena definito viene notevolmente snellito, prevedendo delle deroghe alla disciplina ordinaria, quando vi partecipino esclusivamente società il cui capitale non è rappresentato da azioni (Art. 2505 quater c.c.). Meritevole d’accenno è la procedura di fusione che coinvolga una (o più) società italiana e una (o più) società di altro Stato comunitario, la quale è attualmente disciplinata dal d.lgs. 30 maggio 2008, n. 108, che dà attuazione della Direttiva 2005/56/CE, relativa alle fusioni transfrontaliere delle società di capitali.

Al riguardo, va segnalato che la Direttiva 2005/56/CE è stata abrogata dalla Direttiva (UE) 2017/1132 relativa ad alcuni aspetti di diritto societario e da ultimo aggiornata dalla Direttiva (UE) 2019/2121 avente per oggetto le trasformazioni, le fusioni e le scissioni transfrontaliere. Pertanto, sul tema, il legislatore italiano dovrà intervenire entro le scadenze previste (entro il primo agosto 2021, con possibile proroga di un anno per gli Stati membri con particolari difficoltà nel recepimento della Direttiva) al fine di recepire i nuovi precetti comunitari.

Quale ruolo giocano le procedure di fusione all’interno del settore bancario?

Il settore bancario italiano è ormai da tempo alle prese con l’esigenza di un consolidamento utile a far fronte, da un lato, alla limitata redditività di un modello di business ormai superato – ad oggi, per la maggior parte delle realtà italiane, la redditività ruota esclusivamente attorno all’attività di lending (prestiti) e sono presenti costi sempre più elevati – dall’altro, alle importanti sfide contro i colossi del Fintech.

Tale esigenza sarà senz’altro acuita sia dagli effetti della pandemia, sia dalla possibile prossima ondata di nuove sofferenze bancarie, che inevitabilmente avranno importantissimi riflessi sui bilanci bancari.

Il quadro fin qui delineato trova conferma in quanto sostenuto dal Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, nel suo intervento dello scorso 6 luglio all’assemblea annuale dell’Associazione Bancaria Italiana (ABI): «le difficoltà indotte dalla pandemia acuiscono le pressioni sul settore bancario, spinto, in Italia come altrove, a rivedere i modelli di attività per renderli più sostenibili e adeguati ai profondi cambiamenti in atto. […] A queste sfide gli intermediari stanno rispondendo anche attraverso piani di ristrutturazione e possibili operazioni di aggregazione».

Si fa quindi sempre più pressante la necessità di rivoluzionare il modello di business di riferimento, muovendosi verso banche più grandi, affidabili e solide che saranno in grado, tramite procedure di fusione, di creare sinergie ed economie di scala che porteranno all’integrazione di una pluralità di servizi (assicurativi, di consulenza e d’investimento) all’interno di un’unica entità. I vantaggi, nel percorrere un tale sentiero, sono molteplici.

Primo fra tutti, senz’altro, la capacità degli attori partecipanti alla fusione non solo di portare a fattore comune le proprie risorse, ma anche di aumentare la propria quota di mercato. Al contempo, si può assistere anche a una razionalizzazione dei costi operativi e, in molti casi, ad alcuni vantaggi fiscali connessi a una fusione bancaria.

Con specifico riguardo a quest’ultimo aspetto, l’art. 1 della Legge 30 dicembre 2020, n. 178, ai commi da 233 a 243 prevede, in caso di operazioni straordinarie (tra cui la fusione), la possibilità di trasformare in credito d’imposta le imposte anticipate (Deferred Tax Assets o DTA), che si riferiscono a:
– perdite fiscali maturate fino al periodo d’imposta precedente a quello in corso alla data di efficacia giuridica dell’operazione straordinaria;
– eccedenze relative all’Aiuto alla Crescita Economica (ACE) maturate fino al periodo d’imposta precedente a quelle in corso alla data di efficacia giuridica dell’operazione straordinaria

Per accedere a tali agevolazioni, alla data della fusione, gli attori coinvolti devono operare da almeno due anni e nei due anni precedenti:
– non devono aver fatto parte dello stesso gruppo societario;
– non devono in ogni caso essere stati legati da un rapporto di partecipazione maggiore del 20 per cento o controllate, anche in via indiretta, dallo stesso soggetto.

Sono, infine, escluse le società per le quali sia stato accertato lo stato o il rischio di dissesto o lo stato di insolvenza. Il credito d’imposta massimo ottenibile è pari alla misura del 2 per cento della somma delle attività dei soggetti partecipanti all’operazione. Il tema dei vantaggi fiscali derivanti dalle procedure di fusione è stato tra i più caldi che ha caratterizzato il settore bancario nel periodo aprile-maggio 2021 in quanto, da una prima bozza del Decreto Legge 25 maggio 2021, n. 73 (c.d. “Decreto Sostegni bis”) circolata a fine aprile, era emerso che sarebbe stato introdotto un aumento della soglia massima di tale dote fiscale dal 2 al 3 per cento.

Attesa da gran parte degli addetti ai lavori come un importante incentivo a una nuova stagione di fusioni tra banche con un ammontare di DTA significativo (come ad esempio Unicredit, MPS e Carige), tale innalzamento non ha trovato riscontro nella versione definitiva del Decreto Sostegni bis entrato in vigore il 26 maggio 2021. Tuttavia, è parere di chi scrive che non sia da escludere che il Governo, in un futuro più o meno prossimo, decida di intervenire con provvedimenti ad hoc al fine di agevolare il processo di consolidamento del settore bancario.


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