Quando Niccolò Paganini divenne il violinista del Diavolo

Il Paganini “violinista dannato” faceva strage di donne, si drogava e alimentava le storie oscure sul suo conto: una superstar destinata a bruciare in fretta e, contemporaneamente, a rimanere immortale.


Letteralmente sommerso di leggende che, apparentemente, oscurano il suo immenso genio, Niccolò Paganini seppe lasciare al mondo la verità più importante di tutte: il violinista genovese fu uno dei più grandi di tutti i tempi. Senza rivali, per virtuosismo, innovazione e, per ultimo ma non meno importante, per potenza scenica. Paganini, un uomo in fin dei conti fragile e malato, visse tra la fine del Settecento e la metà dell’Ottocento, in un periodo dove la medicina non lo avrebbe aiutato – anzi, lo danneggerà ulteriormente – e dove la stravaganza sarebbe stata la sua maledizione e la sua fortuna. 

Un’autentica rockstar

Il suo aspetto prima di tutto. Questo gli consentì di imprimere da subito un’immagine di sé tra l’inquietante e il diabolico. Paganini aveva i capelli lunghi e scompigliati, gli mancavano dei denti, il suo grande naso aquilino spiccava su di un viso estremamente pallido e vestiva sempre scuro. Era magrissimo e i contemporanei lo descrivevano come cupo, tenebroso, quasi orgoglioso di quell’alone di mistero che lo accompagnava. Alcuni lo hanno definito il precursore del “divismo”, un cultore della personalità, un’autentica rockstar, come diremmo oggi.

Il suo debutto alla Scala di Milano nel 1813, quando Paganini aveva appena 31 anni, fu trionfale. Da lì furono fiumi di inchiostro per recensioni entusiastiche, clamore e sensazionalismo, per anni e anni, che portarono il suo nome in tutta l’Europa. Gli uomini cominciarono ad acconciare i propri capelli alla Paganini, i pasticceri preparavano nuove creazioni in suo nome e a Vienna la banconota da 5 fiorini – una bella cifra – veniva talvolta chiamata «Paganinerl». Paganini era già un’icona.

Il suo talento da compositore e da performer lo fecero diventare un personaggio mitico. E come per tutti i miti, la vita narrata di Paganini lasciò ai posteri storie curiose, episodi bizzarri e, addirittura, un accordo con il Maligno.

Perché tanta oscurità concentrata nelle mani di un solo uomo? 

Le sue incredibili capacità artistiche erano quasi certamente dovute a una notevole estensione delle articolazioni. Pare soffrisse della sindrome di Marfan – come è stato ipotizzato da ricerche più recenti – condizione che gli consentiva di avere delle braccia lunghissime, delle dita affusolate (secondo alcuni racconti, al punto da riuscire ad avvolgere agevolmente il mignolo con il pollice). Paganini, col suo aspetto esile, “danzava” con il suo violino, «il cannone» lo chiamò, suonando melodie e strappando dalle corde suoni del tutto nuovi per l’epoca.

E le strappava davvero quelle note. Un mito che riguarda le corde del violino di Niccolò Paganini racconta che le sue violente esibizioni arrivavano a romperle tutte, ma tranne quella del sol. 

È probabile che lo stesso Paganini incidesse le corde prima di ogni concerto, in modo da realizzare una vera e propria performance a effetto in cui il violino “scoppiava” tra le sue mani. Alla maniera del fumo sotto le corde della chitarra elettrica in certe esibizioni esagerate di alcune band metal (150 anni dopo). Una potenza evocativa accentuata dall’uso del tritono, l’intervallo di quarta aumentata o di quinta diminuita, il «diabolus in musica», capace di richiamare sensazioni tra l’orrorifico e il criptico.

Primi passi di una leggenda

È in giovane età, tra le prime esibizioni nelle chiese di Genova, che Paganini iniziò a sperimentare col violino suoni nuovi e curiose “imitazioni”: versi di animali, sussurri, trilli e caricature ad altri strumenti (il flauto, per citarne uno) interrompevano o arricchivano l’esecuzione di brani sacri.

Il ragazzo prodigio adottò un violino famosissimo, figlio di una lunga tradizione di liuteria italiana. Non il celeberrimo Stradivari, ma il Guarneri del Gesù, un endorsement che lo avrebbe accompagnato per tutta la sua carriera, fino alla morte. Fu con questo pregevole strumento che ai suoi concerti lasciava a bocca aperta la platea, tra improvvisazioni – motivo per cui «non ripete», altro mito – acrobazie sulla tastiera e con l’archetto.

Il violinista del diavolo 

Ben presto si diffusero dicerie su un presunto patto con il diavolo che favorisse il successo di questo ossuto musicista. Pettegolezzi che, di fatto, riuscirono solo ad accrescere la sua fama, nel bene e nel male. Un violinista diabolico, virtuoso grazie all’ombra del diavolo in persona che, accanto a lui, agitava l’archetto sulle corde. Un violinista che riuscì a ingannare un cieco il quale, sentendolo, udì “chiaramente” il suono di più violini nella musica eseguita dal solo (e unico) Paganini sul palco – accompagnato dal suo “compagno venuto dagli Inferi” appositamente per lui, ovvio.

Il suo talento fu romanzato anche da illustri contemporanei: «Paganini […] Quest’anima ardente non è giunta al suo sublime talento con otto anni di pazienza, e di conservatorio, ma per un errore dell’Amore che, si dice, lo fece gettare in carcere per lunghi anni. Solitario e abbandonato in una prigionia che poteva finire col patibolo, non gli restava, fra i ceppi, che il suo violino». Queste le parole di Stendhal nel 1824 che, documenti alla mano, non sono altro che una affascinante bufala d’altri tempi.

Le donne, le “cure” e la fine

Paganini aveva un potere perverso sulle donne, come si legge dalle parole di Mary Shelley, spettatrice a uno (o più) dei suoi concerti: «Mi ha gettato in crisi isteriche. Mi diletta di lui più di quanto possa esprimere la sua selvaggia eterea figura, lo sguardo rapito e i suoni che trae dal suo strumento sono tutti sovrumani». La vivace vita sessuale, però, gli costerà caro.

La leggenda italiana contrasse la tubercolosi e la sifilide e a partire dal 1834 arrivarono sintomi debilitanti che portarono il suo quadro clinico a un complessivo disastro. Inoltre, una patologia polmonare gli causava forti accessi di tosse e oltre all’assunzione di purghe in dosi massicce e l’applicazione sul suo corpo di sanguisughe, faceva uso di mercurio, con effetti talvolta psicotropi, ma allora ritenuto utile a curare la sifilide – prassi ampiamente smentita e, anzi, capovolta dalla successiva certezza scientifica degli effetti disastrosi dell’avvelenamento da mercurio. 

Il violinista dannato e consumato faceva strage di donne ovunque si recasse, si drogava e alimentava le storie oscure sul suo conto: il ritratto di una superstar destinata a bruciare in fretta e, contemporaneamente, a rimanere immortale.

Niccolò Paganini morì a Nizza il 27 maggio 1840, a 58 anni. Anche se dichiaratamente cristiano, gli vennero negati i funerali e la sepoltura in terra consacrata. Per questo motivo finì dapprima al Lazzaretto di Villefranche-sur-Mer, poi imbalsamato ed esibito a pagamento, trasferito tempo dopo a Gaione (frazione di Parma) e infine deposto in un tempietto neoclassico nel Cimitero della Villetta, a Parma. Sulla sua tomba “volteggia” incisa sul marmo un’aquila che stringe un violino con il becco. Il violinista del Diavolo, il Paganini, rimarrà un uomo spettacolare in tutto e per tutto.


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