L’assorbimento della CO2 salverà il pianeta?

Un sistema di assorbimento della CO2 potrebbe facilitare la lotta al cambiamento climatico o essere un modo per allungare la vita dei combustibili fossili. In entrambi i casi sembra l’unica strada percorribile al momento.


L’obiettivo della neutralità carbonica europea entro il 2050, imposto dal Green Deal dell’UE nel Gennaio 2020, non è impossibile da raggiungere. Il problema è che questo obiettivo, per quanto ambizioso e dispendioso, potrebbe semplicemente non essere abbastanza. Tagliare le emissioni, infatti, potrebbe non essere sufficiente a salvare il clima. 

Gli Accordi di Parigi del 2015 miravano a contenere il surriscaldamento globale entro i 2 gradi centigradi, ma la riduzione dei gas serra rilasciati nell’atmosfera non può bastare per raggiungere l’obiettivo. Tra le problematiche, non ultima, l’incapacità che stanno dimostrando molti paesi di perseguire il target per il quale si erano impegnati sei anni fa.

Se la riduzione delle emissioni sta risultando così difficile, la scienza risponde con la carbon capture, una soluzione che sembra ormai essenziale affiancare agli sforzi per tagliare le emissioni di carbonio. Questo processo consiste nella separazione del biossido di carbonio dagli scarichi prodotti dagli impianti industriali, alla quale seguono il trasporto verso un deposito e lo stoccaggio adeguato per evitare dispersioni nell’atmosfera.

Perché questo sistema abbia un impatto sulla lotta al cambiamento climatico è necessario un investimento significativo da parte dei governi. Ryan Hanna, ricercatore dell’UC San Diego, afferma che questo tipo di tecnologie «sono sicuramente più onerose di molti altri sistemi di mitigazione del clima, ma i costi potrebbero calare man mano che le aziende acquisiscono esperienza tecnologica». 

Secondo David G. Victor, professore di innovazione industriale dell’università californiana, gli attuali impegni per ridurre le emissioni, ci potrebbero portare, nella migliore delle ipotesi, al raggiungimento dei 3 gradi di aumento delle temperature. Con questo possiamo comprendere quanto siano urgenti interventi politici per azioni dall’impatto immediato come  l’intrappolamento della CO2.

assorbimento della co2

L’obiettivo di queste tecnologie è più che ambizioso. Si tratta di rimuovere dalla nostra atmosfera mille miliardi di tonnellate di anidride carbonica. Quest’ultima, una volta rimossa dall’atmosfera, dovrà andare a finire da qualche parte: le alternative sono il riutilizzo e lo stoccaggio. C’è già chi sta trasformando questa necessità ambientale in un’opportunità di business. Soprattutto in Canada e negli Stati Uniti, con poche eccezioni nel nostro continente, molte aziende si stanno dedicando a questo settore ancora embrionale.

«Queste tecnologie rappresentano una opportunità soprattutto per paesi ricchi di combustibili fossili o che hanno centrali a carbone per sostenere il loro fabbisogno energetico. E così si spiega l’interesse di aziende nordamericane, ma anche della Norvegia, ricca di petrolio e che ha il più grande impianto europeo di cattura del carbonio», dice Massimo Tavoni, direttore dello European Institute on the Economics and the Environment.

«Chi estrae petrolio ha interesse a ridurre l’impatto ambientale assorbendo CO2 dall’atmosfera, ma ha anche un luogo dove stoccarla sotto terra e cioè i giacimenti petroliferi ormai esauriti. Chi ha tante centrali a carbone può tagliare le emissioni installando sulle ciminiere trappole per la CO2. Ci sono Paesi come la Cina che hanno centrali a carbone giovani e che saranno operative ancora per 30 anni: con la cattura del carbonio potrebbero prolungarne la vita anziché chiuderle», conclude Tavani.

Uno dei problemi principali della lotta al cambiamento climatico è proprio questo: siamo talmente dipendenti dai combustibili fossili che una riconversione alle risorse rinnovabili sembra impensabile nel breve periodo. 

Ed è proprio questo a far sorgere un dubbio: la soluzione di cattura e dello stoccaggio della CO2 non rischia di rallentare questa conversione, già così difficile, all’energia rinnovabile? Per quanto possiamo essere ottimisti, la paura che questo palliativo di breve periodo possa essere preferito a riconversioni industriali ecosostenibili a lungo termine rappresenta un rischio concreto.


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