Accordo Italia-Albania, ennesimo attacco ai diritti umani

L’esternalizzazione delle frontiere rischia di silenziare la società civile sul rispetto dei diritti dei migranti


Il 6 novembre scorso, il governo Meloni ha sottoscritto un protocollo per la gestione dei migranti con il ministro albanese Edi Rama: un accordo di 9 pagine e 14 articoli in vigore per 5 anni.

In tale protocollo si dispone che l’Albania metta a disposizione dell’Italia due aree del proprio territorio per la realizzazione di centri per migranti. Le strutture verranno gestite dall’Italia, a proprie spese e sotto la propria giurisdizione. In tali centri non potranno essere accolte persone in situazioni di vulnerabilità (minori, donne incinte) che verranno fatte sbarcare in Italia. Tutte le altre, invece, saranno portate in Albania.

L’accordo però genera non pochi dubbi sia per la logistica delle operazioni che metterebbe probabilmente a rischio la salute (se non addirittura la vita) delle persone, sia per la probabile incostituzionalità delle disposizioni. Ma andiamo con ordine.

Albania porto sicuro per i migranti?

A ben guardare, le navi della Guardia Costiera che si occupano del soccorso in mare sarebbero costrette a lunghe traversate prima di raggiungere il porto “sicuro” di sbarco: si parla di 3-4 giorni di navigazione dai porti siciliani e le imbarcazioni in questione sono di medie dimensioni, del tutto inadatte a viaggi del genere.

Insomma, il porto di sbarco in Albania è molto lontano dal Mediterraneo centrale, e sarebbe difficile dimostrare che sia il porto sicuro più vicino e adatto per un’operazione del genere. 

E i diritti umani?

Secondo l’appendice 2.1.10 della Convenzione di Amburgo sul soccorso in mare, entrata in vigore nel 1979 e firmata dall’Italia, le persone in difficoltà in mare vanno soccorse e portate in un porto sicuro «senza tener conto della nazionalità o dello statuto di detta persona, né delle circostanze nelle quali è stata trovata».

È evidente che tale disposizione subirebbe una manifesta violazione dato che sarebbero fatte sbarcare nei porti italiani soltanto le persone in stato di vulnerabilità, trasportando in Albania tutti gli altri.

Recentemente tale questione è stata affrontata anche dal Tribunale di Catania che nel novembre del 2022 aveva ritenuto illegittima la decisione del governo di far sbarcare dalla nave Humanity 1 soltanto le persone in stato di fragilità, stabilendo che: fra gli obblighi internazionali assunti dal nostro Paese vi è quello di fornire assistenza ad ogni naufrago, senza possibilità di distinguere, come sancito dal decreto ministeriale applicato nella circostanza, in base alle condizioni di salute”.

Tale organizzazione sarebbe inoltre violativa di tantissime norme della CEDU ma soprattutto dell’art. 3 in quanto potrebbe rappresentare per i migranti un trattamento inumano e degradante. 

Ma tali norme si applicano in un Paese extra-UE?

In un parere preliminare della Commissione Europea, il diritto dell’Unione non si applica fuori dalla stessa. Tuttavia, nei centri albanesi (e in relazione a tutta l’operazione) secondo l’accordo sarebbe applicabile il diritto italiano che comunque deve rispettare anche quello comunitario.

Il protocollo, in sostanza, sarebbe soggetto in ogni caso al diritto dell’Unione, anche indirettamente, attraverso il diritto italiano che deve conformarsi alle norme comunitarie.

La decisione di far sbarcare solo alcune persone nei porti italiani, discriminandone altre che sarebbero sottoposte a trattamenti inumani e degradanti, è allora incostituzionale, dato che la Costituzione impegna l’Italia a rispettare sia il diritto internazionale che il diritto dell’Unione Europea.

L’accordo Italia–Albania è un accordo unico nel suo genere, mai sottoscritto prima da nessuno Stato: rappresenterebbe nella sua applicazione un precedente grave per la tutela dei diritti umani dei migranti. Ma nella consueta propaganda del governo, tale protocollo (reso noto soltanto a operazione conclusa) è stato presentato come un successo diplomatico, un accordo “storico” e “innovativo”. 

Tuttavia, secondo tali ultime riflessioni non dovrebbe trovare spazio di applicazione proprio per l’impossibilità di scindere il diritto italiano dal diritto dell’UE e dalla competenza territoriale sul quale questo insiste. 

L’associazione Asgi sottolinea che la mancata approvazione parlamentare di un accordo come questo non può ritenersi legittima: l’intesa prevede infatti disposizioni su alcune materie (finanziarie, scelte di politica estera, modifiche all’ordinamento giuridico) di cui dovrebbe necessariamente rispondere il Parlamento. Nel merito dei contenuti si è ampiamente espresso Fulvio Vassallo Paleologo, avvocato e attivista, il quale ha definito l’accordo «privo di basi legali».

Critiche sono arrivate anche da alcune organizzazioni non governative. Emergency ha descritto l’accordo come l’ennesimo attacco al diritto di asilo; Amnesty International ha condannato l’accordo come «illegale e impraticabile».

In conclusione è bene specificare che esternalizzare le frontiere ha uno scopo pratico molto preciso: allontanare la percezione della violazione dei diritti umani e prevenire azioni di denuncia e monitoraggio in tal senso. Silenziare, insomma, la società civile in relazione ai diritti violati. 

Denunciare l’impraticabilità e l’inattuabilità di accordi come questo potrebbe non bastare dato che per esperienza sappiamo che decreti contrari ai principi costituzionali e al diritto d’asilo sono stati attuati perfino nel nostro Paese. La denuncia e il muro parlamentare sull’accordo potrebbe rappresentare l’unica arma che abbiamo a disposizione ora.


Immagine in copertina di NATO

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