HIV e salute sessuale: a che punto siamo in Italia?

Lo scorso dicembre è stato pubblicato lo studio di Arcigay sui servizi di prevenzione, cura e assistenza per la salute sessuale, che rileva diagnosi tardive e discriminazioni nell’accesso ai test dell’HIV e di altre malattie sessuali, soprattutto dopo la pandemia.


In occasione della Giornata mondiale della Lotta all’AIDS, lo scorso 1 dicembre Arcigay ha reso pubblici i risultati della mappatura dei servizi di prevenzione, cura e assistenza per la salute sessuale realizzata nell’ambito del progetto Healthy Peerer, nato per promuovere sul territorio il diritto alla salute e la cultura della salute sessuale.

Ilenia Pennini, responsabile Salute nella segreteria nazionale dell’Arcigay, ha definito «problematica» la situazione emersa dal monitoraggio. Pennini ha evidenziato come «alcuni servizi specifici, ad esempio in ambito PrEP o gli sportelli per la gestione del ChemSex problematico, sono poco istituzionalizzati o del tutto assenti. In qualche caso avversati o legati alla sensibilità e alla disponibilità di un singolo che permette, finché presente ed anche attraverso vie non formali, l’attivazione di servizi per la comunità LGBT+». Pennini aggiunge inoltre che «negli ultimi tre anni sono stati tracciati casi di discriminazione in 19 sui 31 territori della mappatura».

Lo studio sulla salute sessuale: discriminazioni nell’accesso ai test e diagnosi tardive

Il primo dato fornito dalla ricerca è del tutto inaspettato. Dal monitoraggio, infatti, emerge la non sussistenza del classico squilibrio sanitario tra Nord e Sud Italia. In ambito di salute sessuale non esistono città del Nord più “virtuose” rispetto al Sud. La gravità della situazione si estende democraticamente su tutto il territorio nazionale, senza distinzioni derivanti da differenti coordinate geografiche.

Il divario assistenziale ritorna nel confronto tra piccoli e grandi centri. In tutte le città mappate, fatta eccezione per Siena, è presente almeno un presidio/ambulatorio dedicato esclusivamente all’HIV, che è quasi sempre gratuito, anonimo e ad accesso diretto. Solo Roma e Milano, però, hanno più di quattro sportelli.

Le grandi città diventano quindi mete di pellegrinaggio, luoghi dove è possibile usufruire di servizi inesistenti altrove. «Ci sono persone che per accedere a un test devono fare chilometri. Come in Piemonte. Spesso, può capitare che i test siano disponibili soltanto a orari assurdi, dalle sei di mattina alle otto ad esempio», sottolinea Pennini. Ma non tutti hanno la possibilità di superare simili problemi logistici e questo determina inevitabilmente l’aumento di diagnosi tardive, arrivate quando i sintomi si sono già manifestati.

Le diagnosi tardive sono in costante aumento dal 2015 e la pandemia di Covid ha contribuito a peggiorare la situazione. «Oggi, spesso, le persone scoprono di avere l’infezione con un ritardo anche di dieci anni» ha spiegato Alessandra Bandera, direttrice del reparto Malattie infettive al Policlinico di Milano. 

Secondo i dati diffusi dall’Istituto Superiore di Sanità sull’andamento dell’infezione nel 2021, il 63,3% delle nuove diagnosi è arrivato in grave ritardo con conseguente aumento della probabilità di aver già manifestato l’AIDS. Infatti, la proporzione di persone con nuova diagnosi di AIDS che ha scoperto di essere positiva all’HIV nel semestre precedente la diagnosi è aumentata nel 2021.

C’è solo un modo per ridurre le diagnosi tardive: sottoporsi regolarmente ai test. Secondo Bandera iniziative sul territorio faciliterebbero maggiormente l’accesso ai test. Della stessa idea è Giupi Giupponi, Presidente nazionale della Lega Italiana per la Lotta contro l’AIDS (LILA), la quale pone l’accento sul ritardo accumulato dall’Italia nel contrasto al cosiddetto “sommerso”. «È urgente rendere molto più accessibile il test, anche con l’aiuto del Terzo Settore, implementare programmi di prevenzione verso tutti i target e rendere subito rimborsabile la PrEP», spiega Giupponi.

Proprio la PreP rappresenta l’ennesimo tasto dolente in materia di prevenzione. Ad oggi, in tutto il mondo la PreP (profilassi pre-esposizione consistente nell’assunzione di una combinazione di farmaci attivi contro l’HIV prima di un rapporto sessuale) sta contribuendo alla riduzione delle nuove diagnosi da HIV.

In Italia questo servizio è presente in sole 22 città su 31 e solo a Milano la somministrazione è gratuita grazie all’attivazione di una specifica sperimentazione.

Dunque, ben 9 delle 31 città monitorate non garantiscono, neppure a pagamento, la presenza di uno sportello PreP. Conseguentemente, l’unico modo per poter accedere a tale servizio è recarsi in altre città creando, anche in questo caso, una forte discriminazione all’accesso alle cure, tra chi può e chi non può permettersi determinati spostamenti. L’accesso gratuito o a prezzi ridotti alla PrEP determinerebbe un’enorme riduzione delle nuove diagnosi da HIV anche in Italia.

Non solo HIV

In tutte le città analizzate sono previsti presidi sanitari che prendono in carico persone con HIV. Meno attenzione è riservata alle altre infezioni sessualmente trasmissibili. Solo in 6 città (Aosta, Milano, Modena, Padova, Torino, Verona) sono presenti servizi di screening gratuito per tutte le infezioni tracciate. A Frosinone sono disponibili tutti gli screening (escluso il vaiolo delle scimmie) mentre nelle restanti città è possibile sottoporsi a screening solo per due o più infezioni.

In 11 città (Barletta, Belluno, Catania, Lecce, Palermo, Reggio Calabria, Rieti, Siena, Venezia, Viterbo) non sono presenti screening gratuiti per clamidia, gonorrea, sifilide, condilomi anogenitali e herpes genitale nonostante la loro incidenza continui a crescere soprattutto nella fascia 15-24 anni e tra le donne.

Salute sessuale e salute mentale: il counseling inesistente

Dal monitoraggio emerge l’assenza, in quasi la metà delle città analizzate, di servizi di supporto psicologico. Raramente, infatti, ai servizi di screening è associato l’altrettanto importante servizio di counseling psicologico pre e post test, ossia di un supporto tecnico informativo in grado di trasmettere le nozioni specifiche in materia di prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili e di sostegno in caso di esito positivo del test in un contesto privo di pregiudizio e paura. 

L’impatto psicologico che una diagnosi positiva può comportare è molto forte a causa dell’ancora tristemente attuale stigma sociale legato all’HIV, che non facilita il processo di accettazione dell’infezione.

Le attività di counseling svolte nelle associazioni costituiscono un punto di riferimento, in particolar modo per le persone della comunità LGBTQIA+, le quali prediligono questi luoghi “protetti” rispetto alle strutture sanitarie. Ma la distribuzione sul territorio delle associazioni resta disomogenea e quasi sempre l’attività è a loro carico.

Il silenzio delle istituzioni

In Italia si registra un assordante vuoto istituzionale in materia di salute sessuale. Nonostante la sua centralità, la salute sessuale nel nostro Paese resta un argomento tabù, di quelli di cui si deve parlare sottovoce, con vergogna e pregiudizio.

Emblematico il fatto che l’Italia sia uno dei sei Stati dell’Unione Europea (insieme a Bulgaria, Cipro, Lituania, Polonia, Romania) a non prevedere l’educazione sessuale nelle scuole. Nel corso degli anni si sono susseguite diverse proposte di legge volte a introdurre l’educazione sessuale all’interno degli istituti scolastici, ma nessuna di esse si è mai realmente concretizzata.

Contrariamente a quanto certo bigottismo propaganda, è dimostrato come la scuola rappresenti il luogo ideale per promuovere atteggiamenti positivi nei confronti del sesso e della salute sessuale, mediante l’autodeterminazione e la responsabilità personale e collettiva, riducendo così i rischi per la salute sessuale derivanti da infezioni sessualmente trasmesse, dipendenze  comportamentali e da sostanze.

L’inserimento nei programmi scolastici dell’educazione sessuale permetterebbe quindi di fornire ai più giovani, in particolar modo a coloro che vivono in condizioni di vulnerabilità, degli strumenti in grado di riconoscere potenziali situazioni di abuso e di difendere coscientemente quelli che sono i propri diritti.

La lotta contro l’HIV e le altre malattie sessualmente trasmissibili è legata all’educazione sessuale che verrà fornita alle generazioni future e al superamento del secolare tabù in materia di salute sessuale. Una verità che lo Stato italiano deve quanto prima accettare.


Immagine in copertina di Marco Verch Professional Photographer

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