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Watergate, 50 anni fa lo scandalo che sconvolse gli Stati Uniti

Il 17 giugno 1972 scoppia Watergate, lo scandalo politico più clamoroso di tutti. La Casa Bianca tremò, Nixon cadde, i repubblicani furono messi sotto accusa. La storia, dall’esplosione del caso alla morte di Barry Sussman, fautore dell’inchiesta.


Il 17 giugno 1972 la polizia di Washington arrestò cinque uomini dai profili piuttosto “oscuri” nel complesso di uffici del Watergate Hotel. La Camera 214 dell’hotel, oggi contrassegnata da un cartellino che recita “Scandal Room”, fu la stanza dove prese forma la madre di tutti gli scandali politici: lì aveva sede il quartier generale del Comitato nazionale democratico, la principale organizzazione per la raccolta fondi del Partito Democratico.

«Cinque uomini, uno dei quali afferma di essere un ex dipendente della CIA [Central Intelligence Agency], sono stati arrestati alle 2.30 di ieri, sabato mattina, quando hanno tentato di portare a termine quello che le autorità hanno descritto come un piano elaborato per spiare gli uffici del Comitato Nazionale del Partito Democratico a Washington». La notizia esce esattamente il 18 giugno del 1972 sul Washington Post. In pochi la notano, eccetto qualche giornalista più curioso e soprattutto la presidenza: per lo Studio Ovale si prevede l’inizio della fine.

The Watergate Hotel

Dettagli che non passano inosservati

Tra i cinque arrestati emerge il nome dell’ex-agente della CIA in pensione James W. McCord, dettaglio che non passa inosservato a due reporter del Washington Post, Bob Woodward e Carl Bernstein, convinti che dietro al tentato furto di informazioni si nasconda in realtà un’azione di sabotaggio e spionaggio politico.

Fin da subito Bob Woodward s’interessa al caso, non facendosi sfuggire il dettaglio che fra gli arrestati vi era James W. McCord, il consigliere per la sicurezza della CIA. La curiosità di Bob viene inoltre alimentata dal fatto che tutti gli indagati erano “anticomunisti” di professione e, cosa ancora più sospetta, McCord era anche il coordinatore della sicurezza del Comitato per la rielezione del Presidente nella campagna elettorale. A quel punto non c’erano dubbi: qualcosa si celava dietro quell’arresto.

Bob Woodward e Carl Bernstein iniziano insieme un’inchiesta giornalistica che li porta a scoprire diversi elementi di collegamento fra il detenuto McCord e persone della cerchia più stretta del presidente repubblicano degli Stati Uniti Richard Nixon. Collegamenti che porteranno alla fine della presidenza Nixon in un batter di ciglia.

Scoprirono una fitta cerchia di persone intorno al presidente, personaggi ai quali veniva affidata la risoluzione di questioni scomode. Erano i cosiddetti plumbers o, come sarebbero stati conosciuti in seguito, i President’s Men da cui prende il titolo il libro pubblicato nel 1974All the President’s Men – scritto da Woodward e Bernstein per raccontare le loro indagini.

Woodward e Bernstein, i giornalisti che fecero la storia

I due giornalisti si diedero da fare per portare avanti un’inchiesta intensa e approfondita che potesse supportare la loro ipotesi. Fu Barry Sussman che nel 1972, mentre guidava il dipartimento di cronaca del Washington Post nella capitale,  ebbe il coraggio – contro il parere di molti – di affidare ai due giovani cronisti l’esplosivo giallo politico. Sussman insistette a lasciare nelle mani di Woodward e di Bernstein il Watergate fino all’ultimo: «Li controllo io… Mi fido di loro e della loro etica investigativa e loro si fidano di me…», disse per decine di volte Sussman all’allora direttore del Washington Post Ben Bradlee.

I due giovani dai capelli lunghi non diedero motivo di ricredersi a Barry Sussman: infatti, pieni di grinta arrivarono presto alla verità creando una bomba giornalistica senza precedenti. Cruciali furono le rivelazioni di un informatore ben inserito nei corridoi della politica di Washington, l’uomo passato alla storia come “Gola profonda”. L’inchiesta rivelerà un reale collegamento di ben tre degli scassinatori – Howard Hunt, Gordon Liddy e James W. McCord – con il comitato per la rielezione di Nixon, presieduto dal Ministro della Giustizia John Mitchell.  

Richard Nixon negò fin da subito le proprie responsabilità per «quel particolare incidente» e si premurò di comprare il silenzio dei detenuti pagando ingenti somme di denaro. Il primo luglio dello stesso anno John Mitchell si dimise ma Carl Bernstein era già a lavoro sulla cosiddetta “Connessione Miami” tra i detenuti e le ingenti somme di denaro sequestrate dalla polizia. Le somme provenivano da donazioni private finalizzate a coprire le spese della rielezione del presidente repubblicano. Casualmente la ridistribuzione di tali somme era stata supervisionata proprio da Mitchell. Emergeva chiaramente che nulla poteva ritenersi essere una coincidenza.

Gli “idraulici” del Watergate

«Se ci hanno assunti per evitare perdite è perché siamo idraulici». I cinque detenuti, però, non erano semplici ladri che cercavano di compiere una rapina, ma agenti segreti al servizio del presidente. La loro missione? Posizionare dei microfoni per intercettare e spiare le conversazioni telefoniche dei loro rivali democratici. Si trattava di agenti speciali sotto copertura assunti da Howard Hunt e Gordon Liddy, due uomini legati al Comitato di rielezione del presidente. 

L’organo era composto da membri del Partito Repubblicano ed era stato creato da Richard Nixon, per aiutarlo ad essere riconfermato alle elezioni che si sarebbero svolte nel novembre del 1972.

Mark Felt, detto “Gola Profonda”

In tutta l’inchiesta il personaggio senza dubbio cruciale fu Mark Felt, passato alla storia con lo pseudonimo di “Gola Profonda” e mantenuto nell’anonimato per più di 35 anni. Direttore associato dell’FBI, mantenne il rapporto con Woodward il più riservato possibile. Non rivelò mai alcuna informazione, ma diede conferma a tutte le ipotesi e guidò il giovane reporter nelle indagini. 

I due usarono diversi tipi di segnali per incontrarsi, come ad esempio posizionare una bandiera rossa sul balcone della casa di Felt. I loro incontri si svolgevano all’alba in un anonimo parcheggio della città. Il suo contributo fu determinante per permettere al giornalista di scoprire la strategia della Casa Bianca per spiare i suoi rivali politici, i giornalisti e chiunque fosse ritenuto “scomodo” dal governo.

La conclusione arrivò il 21 settembre del 1972, quando Bernstein e Woodward affermarono che John Mitchell aveva controllato un fondo segreto per spiare i democratici. Il 10 ottobre 1972 il Washington Post riferì che l’indagine della polizia aveva concluso che l’irruzione negli uffici dell’edificio Watergate faceva parte di un piano di spionaggio e sabotaggio orchestrato per favorire la rielezione del presidente Nixon

Lo scandalo scoppiò ma Nixon riuscì comunque a vincere le elezioni presidenziali il 7 novembre dello stesso anno grazie a un’opinione pubblica ancora incredula. Il clima divenne piuttosto teso in quei mesi per gli sviluppi della guerra in Vietnam e la riconferma di Nixon alla Casa Bianca non placò le polemiche. La messa in onda delle udienze tenute dalla Commissione iniziò a influenzare l’opinione pubblica, inizialmente contraria alla teoria del complotto.

Un presidente rimasto solo

Ben presto il presidente si ritrovò solo, privo di ogni credibilità. Gli americani seguirono ogni giorno gli sviluppi dello scandalo ma ormai nessuno aveva dubbi sul fatto che si era di fronte a un sistema politico responsabile di atti illegali gravissimi.

Il punto più basso si ebbe con la scoperta della cancellazione di una parte cruciale di un nastro: 18 minuti di conversazione fondamentali ai fini dell’inchiesta spariti – così si vorrà far credere – per un errore della segretaria di Nixon.

I risultati dell’inchiesta e le successive ammissioni di colpa da parte dei collaboratori più stretti del presidente resero certamente più chiaro il quadro politico in cui si era sviluppato lo scandalo Watergate, comprovando agli occhi dell’opinione pubblica l’esistenza di una linea politica parallela e segreta dei Repubblicani, disposta a commettere gravi e ripetuti illeciti. 

Nel processo del gennaio 1974 diversi membri dello staff per la campagna elettorale di Nixon vennero condannati per aver depistato le indagini sul caso Watergate. Di lì a poco anche la posizione di Nixon inizia a vacillare e si avvia la procedura di impeachment con le pesantissime accuse di abuso di potere e ostacolo al Congresso, oltre a quella, naturalmente, di aver ostacolato le indagini relative al caso stesso.

I media e le dimissioni di Nixon

Richard Nixon, prima ancora che le accuse vengano formulate, comunica le proprie dimissioni in diretta tv nell’agosto del 1974. Le conseguenze dello scandalo continueranno a farsi sentire nelle successive campagne politiche repubblicane come una macchia indelebile e certamente influenzeranno la fiducia dei cittadini americani nei confronti del mondo politico e dei servizi di sicurezza nazionale.

Il mondo dei media invece ne esce trionfante, grazie a un giornalismo di inchiesta in grado di svelare i segreti più nascosti delle alte sfere politiche americane.

I due reporter del Washington Post, Bob Woodward e Carl Bernstein, vennero presto insigniti del prestigioso Premio Pulitzer e scriveranno immediatamente dopo, a quattro mani, il bestseller Tutti gli uomini del presidente portato poi sul grande schermo dal regista Alan J. Pakula con le magistrali interpretazioni di Robert Redford (Bob Woodward) e Dustin Hoffmann (Carl Bernstein).

Senza Barry Sussman sarebbe esistito Watergate?

Doveroso è un ringraziamento a Barry Sussman, senza il quale probabilmente tutto questo non sarebbe mai emerso. Giunto a 87 anni, qualche giorno fa ci ha lasciati, stroncato improvvisamente da un’emorragia intestinale. Un vero peccato non riuscire a celebrare il 50esimo anniversario del Watergate. Mentre i canali televisivi lo attendevano e ne tessevano le lodi, Barry Sussman ha lasciato soli i suoi due pupilli Bob Woodward e Carl Bernstein. 

Sussman “la roccia”, come lo chiamavano, era uno degli storici “uomini macchina” del Washington Post, promotore di due penne che hanno fatto la storia delle inchieste giornalistiche, creatore della cosiddetta “redazione Woodstein”, capace di unire una scrittura piena di dati tipica di Woodward e una sofisticata e fantasiosa, caratteristica di Bernstein. Oggi sia Woodward che Bernstein, entrambi alle soglie degli 80 anni, sono i primi ad affermare che «la sua lezione è sempre stata indispensabile».


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Simona Di Gregorio

Grazie allo sport ho scoperto che l’unione fa davvero la forza. Qual è la frase che mi rappresenta? "Insisti, resisti, raggiungi e conquisti" (Trilussa).