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Petro e Marquez, cambiamento o continuità in Colombia?

Lo scorso 19 giugno il candidato della sinistra progressista colombiana, Gustavo Francisco Petro Urrego, ha vinto il secondo turno delle elezioni presidenziali contro Rodolfo Hernández Suárez. Quali sono le aspettative politiche per il paese?


L’arrivo al potere in Colombia di una sinistra non tradizionale, progressista e storicamente vicina ai movimenti politici armati che presero forma nel Paese tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta, è a tutti gli effetti un evento storico in Sudamerica e una scossa politica a cui l’oligarchia politica tradizionale colombiana era preparata. 

In effetti, il neoeletto Presidente della Repubblica Gustavo Petro era arrivato secondo quattro anni prima, al primo turno delle elezioni presidenziali del 2018, con un punteggio di quasi 5 milioni di voti (pari al 25%) contro il candidato della destra Ivan Duque (39%). Al secondo turno Petro raggiunse lo storico punteggio di 8 milioni di voti (42%).  Era chiaro che la Colombia fosse politicamente divisa in due. 

In secondo luogo, la riforma fiscale del 2021 – nel bel mezzo di una crisi pandemica e finanziaria globale – portata avanti dall’allora ministro delle Finanze Alberto Carrasquilla Barrera, ha aumentato la sfiducia popolare nei confronti del regime politico al potere e dell’intero sistema politico tradizionale.

Infine, in una Colombia etnicamente e socialmente plurale, l’aggiunta alla candidatura di Gustavo Petro di Francia Elena Márquez Mina – attivista in difesa dell’ambiente, dei diritti umani e delle minoranze e vincitrice nel 2018 del Goldman Environmental Prize – ha indubbiamente contribuito a catalizzare tutte le istanze sociali, ecologiche e progressiste del Paese.

Gustavo Petro e Francia Màrquez, figure del cambiamento

Gustavo Petro, di origini italiane e cittadino italo-colombiano, ha militato in passato nel “Movimiento de 19 Abril”, un gruppo paramilitare diventato successivamente un partito politico chiamato “Alleanza Democratica M-19”, tra il 1990 e il 1997. 

Nel 1970, il Movimiento de 19 Abril irrompe sulla scena politica colombiana con lo scopo di contestare i risultati delle elezioni presidenziali del 1970. A quel tempo, il Paese è governato da un’alleanza politica nota come “frente nacional”, composta dai due partiti tradizionali – il “partido conservador colombiano” e il “partido liberal colombiano” – che si sarebbero alternati al potere dal 1958 al 1978. 

Il generale Gustavo Rojas Pinilla, vicino alle idee socialiste, ex putschista e Presidente della Repubblica dal 1953 al 1957, perde fraudolentemente le elezioni presidenziali del 1970 contro il candidato dell’alleanza “frente nacional” e del “partido conservador”, Misael Eduardo Pastrana Borrero (1970-1974). Un evento storico che fa precipitare la Colombia per alcuni anni in una grande instabilità politica.

La nuova vicepresidente della Repubblica colombiana Francia Elena Márquez Mina, di lontane origini congolesi e afro-discendenti (i quali rappresentano il 10% della popolazione colombiana), oltre ad essere la seconda donna vicepresidente della Colombia in più di 200 anni di vita repubblicana è anche la seconda donna di origini africane a ricoprire questa carica in Sud America dopo Epsy Alejandra Campbell Barr (vicepresidente del Costa Rica dal 2018 al 2022). 

Inoltre, Francia Marquez è diventata la prima leader sociale in Colombia ad aver raggiunto il più alto livello di responsabilità pubblica, quando è noto che nel Paese i leader sociali vengono troppo spesso assassinati per le loro idee. Infine, come Gustavo Petro, Francia Marquez non proviene dall’establishment politico colombiano.

La Colombia tra cambiamento e continuità

Sì può azzardare sicuramente una previsione, ovvero che il Paese non diventerà mai un secondo Venezuela, tantomeno durante il mandato di Petro e Marquez. La lunga tradizione repubblicana e democratica del Paese, il più antico del Sud America, rende improbabile un cambiamento radicale e repentino dal punto di vista istituzionale. In più di 200 anni di vita repubblicana, il Paese ha vissuto solo un breve periodo di reale instabilità politica, con l’intervento dell’esercito negli affari pubblici tra il 1953 e il 1958.  

In effetti, se l’esercito interferì negli affari civili fu per porre fine alla crisi politica e di sicurezza che il Paese stava vivendo dopo l’assassinio del leader liberale Jorge Eliécer Gaitán Ayala il 9 aprile 1948. 

Inoltre, la Costituzione Colombiana precedente alla presente Carta Magna è rimasta in vigore durante più di un secolo (1886-1991), in un continente circondato da regimi autoritari. Lo stesso Gustavo Petro si è confrontato più volte nelle sue numerose funzioni politiche, in particolare come sindaco della capitale Bogotà, con la “resistenza” delle istituzioni colombiane.

Dunque, se Gustavo Petro vuole governare il Paese e raggiungere i suoi molteplici obiettivi (sociali, economici, ecologici) dovrà fare i conti con l’ala moderata dell’oligarchia politica tradizionale, che peraltro ha accompagnato il regime dell’ex Presidente della Repubblica Juan Manuel Santos Calderón (2010-2018), ex-uribista e disertore del “partido liberal colombiano”. 

Dal punto di vista finanziario, per rimpinguare le casse dello Stato e finanziare la sua politica sociale, Petro dovrà soprattutto riprendere la riforma fiscale voluta dal presidente Ivan Duque nei primi mesi del suo mandato. Se la riforma fiscale di Petro dovesse consistere nell’indicizzare, o meglio soprattassare, la borghesia colombiana, porterebbe anche a un massiccio espatrio dei più ricchi all’estero e scoraggerebbe gli investimenti stranieri nel Paese, con un effetto opposto sulle finanze del Paese. È quindi chiaro che, da un punto di vista fiscale, Petro cercherà di mantenere un certo equilibrio, stabilendo un sistema di entrate fiscali a cui tutti i colombiani, chiunque essi siano, devono contribuire. 

La riforma agraria prevista da Petro e Marquez, pur consentendo a molti colombiani di accedere alla proprietà privata, non andrà a scapito dei grandi proprietari terrieri tradizionali. 

Infine, in termini di politica internazionale, Gustavo Petro seguirà visibilmente lo stesso percorso dell’attuale presidente messicano Andrés Manuel López Obrador (2018-2024), socialista e alterglobalista, mantenendo comunque un dialogo permanente con gli Stati Uniti d’America, particolarmente sulla lotta al narcotraffico.

Nel complesso, ogni aspetto della futura politica che la coalizione progressista “Pacto Historico – Colombia Puede” di Petro e Marquez intende perseguire, dovrà essere analizzato passo dopo passo. Tuttavia, se ci sarà un’evoluzione, sarà più dal punto di vista delle riforme legislative, che cercheranno di importare in Colombia il modello socialdemocratico dello Stato sociale europeo. 

La concretizzazione di tale progetto sarà piuttosto difficile a causa di molti fattori: tra gli altri, disuguaglianze territoriali, disparità economiche tra le regioni, declino dei risultati fiscali dello Stato, blocco sistematico di un’opposizione politica agli obiettivi sostenuti da Petro e Marquez.

Si nos aislamos, nos tumban

Un’ulteriore considerazione, non meno importante, è che il governo di Petro/Marquez non farà guerra politica e giudiziaria ai suoi avversari e nemici politici. Piuttosto, per sopravvivere in un ambiente politicamente esplosivo, dovrà riunire sia la classe politica tradizionale sia gli elettori colombiani che hanno votato a destra e contro di lui. Questo elettorato conta ben oltre 10,5 milioni, contro gli 11.3 milioni dei sostenitori di Petro e Marquez (cioè il 50,44%). 

Infine, la nazionalizzazione – o meglio il ritorno al portafoglio dello Stato di alcune aziende parastatali come Ecopetrol – potrebbe essere uno degli strumenti del governo di Petro/Marquez per cercare di finanziare la sua politica sociale. Le possibili ricadute politiche a livello nazionale e internazionale rischiano però di indebolire gravemente il movimento politico colombiano progressista. Non bisogna infatti dimenticare che, come la maggior parte dei paesi del Sudamerica, la Costituzione colombiana 1991 vieta la rielezione del Presidente della Repubblica.

Christopher Jivot Bitouloulou


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