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Francia, verso il testa a testa tra Macron e Le Pen

Il ballottaggio tra Macron e Le Pen sarà cruciale per il futuro della Francia e degli equilibri europei. Quali sono i pronostici? Quali potrebbero essere gli scenari? Ne abbiamo parlato con Marguerite Arnoux Bellavitis, giovane ricercatrice italo-francese.


Il primo turno delle elezioni presidenziali francesi di domenica 10 aprile si è chiuso esattamente come i sondaggi avevano previsto. Il ballottaggio del 24 aprile vedrà ancora una volta protagonisti il leader de La République En Marche, Emmanuel Macron, e la candidata del Rassemblement National, il partito di estrema destra, Marine Le Pen

Come nel 2017, Macron e Le Pen si contenderanno la presidenza francese con visioni e programmi contrapposti, a partire dalla politica nazionale fino al ruolo della Francia nella Nato e nell’Unione europea, quanto mai cruciale adesso, alla luce del conflitto in corso tra Russia e Ucraina.

A differenza delle elezioni di cinque anni fa, però, Macron scende in campo come presidente uscente, dovendo perciò rendere conto della guida del Paese in un quinquennio che si è rivelato particolarmente difficile, tra le crisi sociali (dai grandi scioperi alle proteste dei gilet gialli), il Covid-19 e, da ultimo appunto, la guerra ai confini con l’Europa. 

Se Macron si presenta nuovamente come il leader moderato, facendo leva anche sull’immagine di statista europeo che in questi anni ha saputo conquistarsi, Marine Le Pen punta su una fascia relativamente giovane della popolazione francese e sulle classi popolari e operaie, alle quali ha proposto un ampio programma di riforme sociali. Sebbene in questa tornata elettorale abbia voluto mostrare un’immagine ‘più rassicurante’, quasi familiare, provando ad ‘ammorbidire’ – senza ovviamente rinunciarvi – le sue idee sovraniste, Le Pen nulla dovrebbe potere sugli elettori moderati per i quali il Rassemblement National resta comunque il partito di estrema destra. 

A poco meno di una settimana dal voto, le sensazioni dei francesi sono diverse e contrastanti, divise tra due volti della Francia diametralmente opposti, con la preoccupazione comune per quel che in ogni caso potrebbe essere il futuro del Paese, sia sul piano interno che sul fronte estero. 

Ne abbiamo parlato con Marguerite Arnoux Bellavitis, giovane ricercatrice italo-francese in Diritti Umani e Politiche Europee.

«Personalmente sono molto preoccupata, come penso anche tanti francesi», dice la dottoressa Arnoux-Bellavitis. «L’esito del ballottaggio non è così scontato e potrebbe in ogni caso avere delle conseguenze per la Francia, specie nel lungo termine». 

«Nel 2017, i francesi potevano ancora far leva, con un certo grado di certezza, sul cosiddetto ‘Baragge Républicain’ (letteralmente, ‘diga repubblicana’, ndr), cioè l’unione di tutte le forze di opposizione contro l’estrema destra. L’idea comune di partenza è che i partiti come il Rassemblement National non siano in linea con i principi e i valori repubblicani francesi. Per questo, le forze ‘repubblicane’, che rispettano i principi e valori democratici, chiamano il proprio elettorato a votare contro.

Si tratta di una sorta di garanzia contro l’estrema destra cui tutti gli altri partiti politici, non solo quelli di sinistra, hanno ricorso a partire dal 2002, quando per la prima volta il Front National di Jean Marie le Pen, padre di Marine, ha raggiunto il secondo turno delle elezioni presidenziali, contro Jacques Chirac». Tutte le forze politiche di opposizione, allora, chiamarono espressamente a votare per Chirac, contro Le Pen. 

«Cinque anni fa, (l’argine repubblicano, ndr) era ancora ben radicato nella società civile francese, considerando anche il fatto che su Macron, alla sua prima corsa alle presidenziali, in molti avevano riversato le loro speranze. Oggi, la sensazione è che la necessità di far fronte comune contro l’estrema destra sia meno sentito dai francesi. In altri termini, se prima si poteva contare almeno sul ‘barrage républicain’, adesso ci si può solo sperare».

Marguerite Arnoux Bellavitis
Marguerite Arnoux Bellavitis

Per quanto, negli ultimi sondaggi, Macron avanzi sempre di più su Marine Le Pen, nessuno riesce a ipotizzare una vittoria schiacciante come nel 2017. «I sondaggi ad oggi non riportano un elevato margine di vantaggio di Macron. Siamo passati dal 51% e 49% dell’inizio della scorsa settimana, al 55% e 45% degli ultimi giorni. Con percentuali così vicine il rischio di errore è veramente molto facile».

Dopo cinque anni di governo, gli elettori di sinistra non hanno mancato di esternare la loro delusione per le politiche di Macron. «Pur presentandosi come candidato centrista, né di destra, né di sinistra, e provenendo da un governo socialista, ha portato avanti una politica evidentemente orientata a destra. Molti tra coloro che hanno votato a sinistra, adesso non vogliono più votare per Macron, né intendono votare Le Pen. Per cui, il rischio è che si astengano o votino nullo, favorendo la candidata di estrema destra».

Un rischio reso tanto più concreto dal fatto che gli elettori della sinistra radicale di Jean-Luc Mélenchon, che ha ottenuto quasi 22% alla prima tornata elettorale e che è adesso in grado di spostare un considerevole numero di voti, potrebbero astenersi o votare nullo. 

Se, infatti, gli altri candidati in corsa al primo turno si sono già schierati a favore di Le Pen (che può contare sull’endorsement di Éric Zemmour, il leader dell’altro partito di estrema destra, Reconquête) o di Macron (che sarà appoggiato invece dal partito socialista di Anne Hidalgo, la sindaca di Parigi, dai repubblicani di Valérie Pécresse, e da Fabien Roussel, leader del Partito Comunista Francese), Mélenchon non ha espressamente invitato i suoi elettori a votare Macron, quanto piuttosto a non votare Le Pen. Così come, del resto, aveva fatto anche nel 2017. 

«’Nessun voto per le Pen’ non significa ‘votate Macron’. Gli elettori di Mélenchon sono ‘preoccupanti’, nella misura in cui potrebbero rappresentare davvero l’ago della bilancia. Tra Mélenchon e Le Pen, al primo turno, c’è stata una differenza di 500mila voti. Davvero pochissimo. Quindi, Mélenchon adesso può spostare un bacino di voti notevole. Quando nel 2017, Mélenchon non chiamò la sinistra radicale a votare espressamente per Macron, fu una delusione per molti.

Ma adesso, questo suo modus agendi potrebbe davvero avere un impatto notevole, decisivo, sull’esito del ballottaggio. Sulle reti sociali, sono gli elettori de La France Insoumise, il partito di Mélenchon, a non dirsi disposti a votare Macron e allo stesso tempo contrari a votare Le Pen. In estrema sintesi, potrebbero essere loro, anzitutto, ad astenersi».

I risultati delle consultazioni per il secondo turno delle elezioni presidenziali, tramite le quali Mélenchon, sulla sua piattaforma, ha chiesto ai suoi elettori di scegliere tra il voto a Macron, il voto bianco o nullo, o l’astensione sembrano confermare questa ipotesi, dal momento che i 2/3 dei militanti della sinistra radicale che hanno partecipato al sondaggio voterebbe nullo (37,65%) o si asterrebbe (28,96%).

L’esito del ballottaggio è dunque, in buona parte, legato al rischio di un elevato numero di astensioni e di schede bianche o nulle. Ma molto dipenderà anche dalla campagna elettorale di questa settimana, che sarà decisiva. 

«Macron dovrà essere capace di cercare (e convincere) gli ‘électeurs de gauche’, dimostrando che adotterà anche misure orientate a sinistra». Al primo turno, il Presidente uscente ha ottenuto quasi il 28% dei voti, senza una grande campagna elettorale, puntando di fatto sul suo ruolo di leader moderato e di statista europeo. 

A votare Macron è stata essenzialmente la fetta di popolazione over 60, mentre il partito di estrema destra è risultato il più votato dai francesi tra i 35 e i 59 anni. I giovani tra i 24 e i 35 hanno votato principalmente la sinistra di Mélenchon, mentre tra i giovani al di sotto dei 24 anni è stata altissima l’astensione. Su questi ultimi entrambi i candidati potrebbero adesso far leva.

«Quel che è certo è che Macron gode del sostegno europeo. E sul fronte interno, ha gestito bene la crisi del Covid-19, adottando una serie di misure sociali e assistenziali, nei riguardi ad esempio alle piccole imprese, che potremmo definire di sinistra, se confrontate quanto meno alla linea politica di destra che ha caratterizzato il suo intero mandato. In generale, Macron è capace di gestire abbastanza bene le situazioni di crisi, anche a livello internazionale, dove non si presenta affatto come un cattivo leader, anzi. Il presidente uscente gode certamente della fama di statista europeo e internazionale, ma ai francesi questo, in realtà, importa poco».

A prova di ciò, basti considerare che, se sommati, sono più del 50% i voti che i francesi hanno espresso a favore di leader filorussi o molto focalizzati sulla politica nazionale (il 30% in totale dell’estrema destra, con il 23% a Marine Le Pen e il 7% a Zemmour, leader della Reconquête, e il 21,95% della sinistra radicale di Mélenchon). 

Sembra dunque rilevare poco, o comunque meno di quel che ci si potrebbe aspettare, il fatto che con Macron la Francia sia al centro della politica europea, e che il Presidente uscente sia stato in questi mesi in prima linea nella ricerca del dialogo europeo con Putin, al fine di gestire la crisi ucraina. 

«Il punto è che, sul fronte interno, le politiche di Macron sono state discutibili e hanno ingenerato malcontento tra gli elettori moderati di sinistra. A livello nazionale, in questi anni, Macron ha adottato poche politiche sociali e anche le misure volte a migliorare l’impatto climatico sono state ritenute al di sotto delle aspettative da parte degli elettori di sinistra».

Nel 2017, Macron aveva soffiato tutti i voti del partito socialista. «Si è presentato come il candidato delle misure sociali incisive ed è riuscito ad adombrare il partito socialista. Invece nel 2022, è riuscito ad accaparrarsi i voti dei Républicains, occupando uno spazio politico molto ampio a destra». 

L’elettorato di Macron è cambiato, ma è comunque molto vasto e variegato, inglobando quelli che un tempo sarebbero stati gli elettori dei due grandi partiti francesi, il partito socialista e quello di centrodestra Les Républicains, oggi definitivamente al collasso.

Le elezioni del 10 aprile hanno sancito, infatti, il flop di due partiti storici, protagonisti delle tornate elettorali francesi degli ultimi sessant’anni. La candidata socialista Anne Hidalgo ha ottenuto un imbarazzante 1,7%, mentre la candidata dei Républicains, il partito di centrodestra, il 4,7%. Entrambe meno del 5% necessario a ottenere il rimborso per le spese elettorali.

Dal primo turno, sono emersi essenzialmente tre grandi poli: l’estrema destra di Marine Le Pen, la sinistra radicale di Mélenchon, e il bacino ‘centrista’ di Macron, che adesso «deve fare di tutto per accaparrarsi i voti dei moderati di sinistra, con una campagna di sinistra».

Con queste premesse, dice la dottoressa Arnoux-Bellavitis, «lo scenario più ottimista è che Macron faccia delle concessioni sulle politiche giovanili e soprattutto sulle politiche climatiche e ambientali, riuscendo a convincere l’elettorato di sinistra su cui punta, a votarlo. Sebbene la sua sia stata una politica di destra, deludente per i moderati di sinistra, quello di Macron è pur sempre un partito repubblicano, che rispetta i valori democratici francesi». Cosa che invece non può dirsi dell’estrema destra.

«Un futuro con Le Pen sarebbe preoccupante anzitutto per la sua politica neoliberale e antieuropeista». Nel suo programma, la leader dell’estrema destra ha presentato diverse misure sociali volte a ottenere i voti della classe operaia ma che, in realtà, di sociale potrebbero avere ben poco. «Quelle presentate da Marine Le Pen sono delle misure ‘pseudo’ sociali. Si tratta di politiche neoliberali, discriminatorie e razziste, dal momento che prevederebbero di togliere gli aiuti sociali ad una fetta della popolazione che non è francese».

Lo scenario a guida di Le Pen spaventa anche per le sue alleanze e perché, stando alle odierne esperienze di governo di estrema destra, come gli altri leader sovranisti anche lei, una volta ottenuto il potere, troverebbe il modo per tenerselo stretto.

«Non occorre dimenticare che il modello di Marine Le Pen è notoriamente Viktor Orban. Il leader ungherese è stato il primo congratularsi con la leader del RN per i risultati ottenuti al primo turno. Molti dei francesi che pensano di astenersi o di votare nullo, nel caso di vittoria di Le Pen sono certi di poter comunque confidare sulle legislative del prossimo giugno, all’esito delle quali sarebbe prospettabile una maggioranza parlamentare di sinistra, con una eventuale coabitazione di governo.

Il problema è che l’idea di Marine Le Pen, una volta al potere, è quella di cambiare il sistema elettorale, e andare a nuove elezioni con un sistema proporzionale, che prevederebbe però un ingente premio di maggioranza (per cui il partito che ha la maggioranza ottiene una notevole percentuale in più dei seggi, circa il 20%). Si tratta di un punto specifico del programma elettorale di Le Pen. E, se ci si pensa bene, è esattamente quello che ha fatto Orban non appena salito al potere».

Quanto ai rapporti con Putin, è noto che in questi anni Le Pen ha sostenuto e sia stata sostenuta, con ingenti finanziamenti, da Mosca. «Contraria sin da subito alle sanzioni contro la Russia, Marine Le Pen ha dichiarato di continuare a volere la Russia come sua alleata, quando le tensioni si saranno calmate. Posto che la Francia è uno dei Paesi centrali in Europa (fa la politica europea, per dirla in altri termini), avere Marine Le Pen al potere significherebbe portare al centro dell’UE un’alleanza tra la Francia, l’Ungheria di Orban e la Polonia di Morawiecki».

E cioè un’alleanza tra democrazie illiberali che, a maggior ragione adesso che gli Stati sono impegnati nella definizione di un’azione comune per affrontare il conflitto tra Russia e Ucraina, potrebbe rappresentare una seria minaccia per gli equilibri dell’Europa.

Una vittoria di Marine Le Pen avrebbe ripercussioni, insomma, sia sul fronte nazionale che su quello internazionale ed europeo. Ma anche nel caso in cui dovesse realizzarsi, come al momento più probabile, anche secondo i sondaggi, lo scenario più ottimista, le preoccupazioni non sarebbero da meno. Soprattutto se si ragiona a ‘lungo termine’.

«Lo scenario che potrebbe prospettarsi nel 2027, al termine eventualmente del secondo mandato di Macron, personalmente, mi preoccupa molto», conclude Arnoux-Bellavitis. «Dal 2017, sotto il governo di Macron, l’estrema destra ha guadagnato più di dieci punti. Tra cinque anni, Macron non potrà più ricandidarsi e la sinistra potrebbe non avere un leader, dato che anche per Mélenchon questa è stata probabilmente l’ultima campagna». In assenza di alternative valide, l’estrema destra avrebbe a quel punto gioco facile: è questo che le forze politiche francesi dovrebbero adesso iniziare a considerare.

(Foto di Copertina: © EPA-EFE/SALVATORE DI NOLFI)


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