Soul e la bellezza delle piccole cose

In controtendenza con una modernità che ci vuole sempre più pragmatici ed efficienti, gli Oscar hanno celebrato l’importanza del potere dell’anima con il film di animazione Soul, firmato Disney Pixar.


Soul è l’ultimo grande capolavoro della Disney Pixar; uscito a Dicembre, non nelle sale (per ovvi motivi) ma sulla piattaforma streaming Disney+, continua ancora a far parlare di sé, e della sua storia di rinascita e di ritorno alla vita. Il regista Pete Docter, con la vittoria dell’Oscar come Miglior film d’animazione 2021 e con l’Oscar alla Miglior colonna sonora (con Jon Batiste), ha concluso in bellezza la sua trilogia esistenziale iniziata nel 2009 con il celebre lungometraggio Up.

All’indomani della premiazione Docter dichiara infatti: «Nell’ideare Soul, dopo il successo di Up ed Inside Out, ho cominciato a riflettere sul mondo interiore di una persona e sul modo in cui si muovono le nostre emozioni. Siamo così presi dalle nostre faccende da non accorgerci più di quello che ci circonda, delle piccole gioie quotidiane alle quali rinunciamo in nome delle grandi passioni. Volevo allora sottolineare la necessità di rallentare, di fermarsi a guardare quello che ci circonda per riconnetterci con la natura e con noi stessi, chiedendoci innanzitutto se quello che siamo impegnati a fare per vivere, oggi, è davvero ciò che volevamo “fare da grandi”, e che ci rende felici».

Fare ed essere (solo) jazz

Il protagonista del film, Joe Gardner – doppiato in italiano da Neri Marcorè – è un uomo di mezza età, afroamericano, musicista jazz e insegnante di musica alle scuole medie. Joe, in perenne conflitto con la madre che lo vorrebbe impiegato in un lavoro fisso e ben retribuito, è ossessionato dalla musica, sin da bambino; la musica è il suo pensiero costante, il suo unico vero scopo, tutto per lui ruota intorno a essa, non c’è nient’altro, non c’è spazio per nessun altro. 

Un bel giorno Joe ottiene, finalmente, l’occasione tanto desiderata: la possibilità di esibirsi a fianco di una star di fama internazionale, Dorothea Williams. Sfortunatamente la mattina del concerto un vero e proprio passo falso, (scivola, difatti, su una grata fognaria rimasta aperta) gli provoca un incidente che gli costerà la vita.

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Joe Gardner muore, ma la sua anima non lo accetta e prima di entrare nell’aldilà, cerca di sfuggire al destino segnato, fingendosi l’anima di qualcun altro. Finisce quindi nella dimensione opposta all’Altro Mondo, in una sorta di “Ante Mondo”, chiamato «Io seminario», un limbo in cui le anime prima di nascere vengono educate alla vita sulla Terra, sviluppando interessi, passioni e talenti.

L’Ante Mondo in Soul

Nell’Ante Mondo, Joe conosce 22, un’anima errante e senza scopo, a cui dà voce Paola Cortellesi, un «caso perso» come la definiscono i consulenti dell’Io seminario, cinica, ribelle e incapace di trovare la propria “scintilla”, ovvero quel quid in più che le consentirebbe di cominciare a vivere veramente.

Per una serie di equivoci, Joe diventa il suo mentore, dopo Madre Teresa di Calcutta, Carl Gustav Yung e Muhammed Alì, sarà lui a prendersi cura di 22, a motivarla insegnandole a scoprire se stessa e il suo scopo nell’esistenza. I due lasciano allora l’Ante Mondo con l’aiuto dei “Mistici senza frontiere” e approdano sul nostro pianeta.

(S)fortuna vuole che ora sia 22 ad abitare il corpo di Joe e non viceversa: quest’ultimo infatti vestirà i panni del suo gatto. Uno scambio d’identità, quindi, da cui la pellicola, estremamente ricca di dettagli e tecnicismi grafici, prenderà il via, trasportandoci nel mondo interiore dei personaggi, tra comfort zone difficili da abbandonare e nuove prospettive da cui osservarsi e osservare.

Uno scopo che non è uno scopo

“Intrappolata” nel corpo di Joe, 22 si ritrova, senza saperlo, a convincere il suo mentore della bellezza di ogni giorno e incredibilmente trova il suo scopo. Uno scopo, semplice, quanto arduo da perseguire, uno scopo non convenzionale che le permette di accendere la sua scintilla, quella tanto ricercata scintilla. 22 scopre di non aver nessuna predisposizione particolare, nessuna inclinazione caratteriale né tipologia di intelligenza che la definisca, la scintilla di 22 è semplicemente la vita: la sua anima è nata per vivere, questo basta e avanza.

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Ambedue le figure entrano così in contatto con il proprio io e con ciò che li avvicina alla realtà e agli altri, e per la prima volta, in tanti anni di carriera, Joe Gardner riesce a suonare una melodia che non ha nulla a che vedere con spartiti ed esibizioni in pubblico, bensì con la sinfonia della propria anima.

L’inizio della vita vera

«Preparati, la tua vita sta per cominciare!» – dice Joe, con fare incoraggiante a 22, mentre la conduce per mano fuori dall’Ante Mondo; è forse la scena più commuovente del film, 95 minuti su 100 per arrivare all’istante in cui il protagonista si rende davvero conto che la vita ha senso solo se spesa per qualcun altro, che la sua vita oltre al jazz ha senso comunque.

Il linguaggio utilizzato in Soul non potrebbe essere più chiaro e universale: passioni che s’intrecciano tra loro, ambizioni lavorative, amicizie, sentimenti, rapporti umani e incomprensioni familiari. A condire il tutto ci sono le paure quotidiane dell’individuo, spesso convinto di non farcela e di non essere all’altezza, l’ansia da prestazione che ci condanna molto spesso a delle non-vite, la tristezza legata al cambiamento e non ultima la solitudine figlia di una modernità spersonalizzante.

A chi ha polemicamente definito Soul un “film per adulti” e non per bambini, si potrebbe replicare che ognuno di noi prima di diventare adulto è stato bambino, anzi forse lo si resta un po’ per sempre, come sostiene il Piccolo Principe, ed è proprio da bambini che si dovrebbe imparare a dare ascolto alla propria anima, assaporando con gioia ogni momento che ci viene regalato.


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