Nave Amistad, un ammutinamento divenuto battaglia per i diritti civili

La storia dell’ammutinamento degli schiavi della nave Amistad ha avuto enormi ripercussioni legali e politiche sul movimento abolizionista della schiavitù.


Una nave colma di uomini, prigionieri destinati a diventare schiavi. Africani deportati dalla Sierra Leone che viaggiavano sulla nave Amistad, un nome che indica amicizia ma che ha ben poco in comune con questo valore. Questa è la storia della loro ribellione, e delle ripercussioni che l’evento ha avuto sul lento e sofferto processo di abolizione della schiavitù.

Due proprietari terrieri americani, dopo avere acquistato cinquantatré schiavi africani, organizzarono il loro trasferimento sulla goletta spagnola Amistad. Questa era un’imbarcazione mercantile, non adatta al trasporto di un alto numero di passeggeri che vennero costretti a condizioni disumane.

La traversata aveva come destinazione Puerto Principe, nello Stato di Cuba. Nella notte del 2 luglio 1839, i prigionieri insorsero ribellandosi ai proprietari. La rivolta vide come protagonista Sengbe Pieh, un uomo mende di venticinque anni, che poi prenderà il nome di Joseph Cinqué. I ribelli uccisero gran parte dell’equipaggio, tranne due marinai che riuscirono a calarsi nelle scialuppe e a raggiungere L’Avana per dare l’allarme. L’obiettivo dei rivoltosi era di fare ritorno in Africa, ma non sapendo pilotare l’imbarcazione chiesero agli ex sequestratori ancora in vita di guidarli; questi, con l’inganno li portarono verso Nord.

Joseph Cinque (nato Sengbe Pieh) ha capeggiato la rivolta degli schiavi della Amistad

La speranza di una nuova libertà venne bloccata dalla marina militare statunitense due mesi dopo, il 24 agosto, che sequestrò la nave a largo di Long Island. I ribelli vennero poi rinchiusi nel carcere di New Haven in Connecticut, Stato in cui la schiavitù era ancora legale, con l’accusa di omicidio e pirateria.

Il processo ai ribelli

Nel frattempo, i gruppi abolizionisti del Paese stavano coinvolgendo l’opinione pubblica tentando di sensibilizzarla per la liberazione dei prigionieri. L’ambasciata spagnola spinse per riavere indietro i prigionieri, e ciò diede il via al processo tenutosi a Hartford, Connecticut, nel 1840.

Il presidente in carica Martin Van Buren si trovò in difficoltà nella scelta della mossa da attuare per non perdere consensi. Infatti, volendo continuare a intrattenere buoni rapporti con la Spagna e non essendo contrario alla schiavitù avrebbe voluto accogliere la richiesta, ma sarebbe stato accusato di intromissione in un processo giudiziario non rispettando la separazione dei poteri prevista dalla Costituzione. 

Dall’altra parte, temeva che la sentenza del tribunale avrebbe potuto rivelarsi a favore dei prigionieri africani concedendo loro la libertà. Questa ipotesi avrebbe scatenato la rabbia degli elettori del Sud, grandi sostenitori della schiavitù, da cui provenivano la maggior parte dei voti di Van Buren. 

Il presidente, che si stava preparando alla successiva tornata elettorale, non poteva assolutamente permettersi di perdere quell’ampia fascia di voti.

Il nodo centrale che teneva tutti sulle spine era la legittimazione della schiavitù. Nel caso dei passeggeri della Amistad, questi erano stati comprati e venduti a Cuba, territorio spagnolo, ma erano stati catturati in Africa. Quindi, pur essendo consentita la schiavitù sul territorio cubano, l’importazione dalla Sierra Leone non lo era, trattandosi di fatto di rapimento.

In tribunale non fu difficile dimostrare che l’ammutinamento avvenne per rivendicare il diritto alla libertà e che di conseguenza non poteva essere considerato reato. Ma l’accusa, non contenta dell’esito, decise di fare ricorso davanti alla Corte Suprema con l’appoggio di Van Buren. 

La difesa, già forte a seguito della decisione della corte minore che aveva valutato la violazione nei confronti degli africani, scese in campo coinvolgendo l’ex presidente John Quincy Adams, convinto abolizionista, avvocato di grande esperienza che aveva discusso nel corso della sua carriera vari interventi davanti alla Corte Suprema.

La storica sentenza e il comitato Amistad

La causa “Stati Uniti vs Amistad” iniziò nel febbraio del 1841 e si concluse con sette voti a favore e uno contrario nei confronti dei prigionieri africani, confermando la decisione del tribunale inferiore.

Dopo questa storica sentenza i ribelli di Amistad vennero aiutati a fare ritorno in patria. Il comitato Amistad, che già aveva provveduto alla difesa giudiziaria, si occupò del viaggio dei trentacinque superstiti che fecero ritorno in Sierra Leone nel gennaio del 1842. Con loro andò anche una rappresentanza di missionari e insegnanti che fondarono una Missione Cristiana nel Paese.

La vicenda della Amistad viene considerata il primo caso di battaglia giudiziale per il riconoscimento di diritti civili. L’esito della sentenza diede rilevanza al problema, ancora diffuso sul territorio americano, e spinse il movimento abolizionista a promuovere i suoi ideali a un pubblico sempre più coinvolto e pronto ad accoglierli.


Immagine in copertina di Nagyfaszu.velociraptor

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