Educare all’inclusione: il caso dei Rom a Palermo

Quella dei Rom a Palermo è una vicenda complessa, costellata di ostacoli, disagi, operazioni inconcludenti ma anche tanta buona volontà e impegno sul territorio.


Come rilevato dall’indagine condotta dalla Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani nel maggio del 2011, le prime comunità Rom, appartenenti ai Paesi dell’ex-Jugoslavia, sono giunte in Italia a partire dagli anni ‘60, e tale flusso migratorio si è ulteriormente intensificato all’inizio degli anni ‘90 con lo scoppio della guerra civile (1991 – 1995). 

Si trattava, nello specifico, di famiglie legate a differenti gruppi etnico-religiosi: dalle regioni meridionali e centrali provenivano i khorahané di religione islamica, dalla Serbia i dasikané, cristiano-ortodossi, dalla Bosnia i zergarja, anch’essi musulmani e, infine, dal Montenegro i rundasha. A questi si aggiunsero successivamente, con la caduta dei regimi comunisti nei Paesi dell’Est europeo, i romeni e i bulgari. 

I Rom presenti in Italia

In base ad un censimento effettuato dalla Croce Rossa, i Rom aventi cittadinanza italiana sarebbero oggi circa il 50% di quelli presenti sul territorio. Per quanto riguarda la restante parte invece – mentre le popolazioni provenienti da Romania, Bulgaria e Polonia non pongono grandi problemi, trattandosi di cittadini di Stati membri dell’Unione Europea – coloro i quali provengono dai Paesi dell’ex-Jugoslavia presentano una situazione molto più complicata, essendo extracomunitari: una quota di essi è infatti presente sul territorio nazionale con regolare permesso di soggiorno, un’altra è rappresentata da richiedenti asilo, e un’altra ancora è invece irregolare, cioè senza permesso di soggiorno. 

Tra i richiedenti asilo e gli irregolari poi è rilevante la quota degli apolidi, cioè di Rom provenienti dalla ex-Jugoslavia e spesso cittadini di uno Stato non più esistente, e quindi che hanno un’oggettiva difficoltà ad acquisire documenti validi di identità. 

Un’altra situazione particolare riguarda i minori, figli di Rom, provenienti da quella che fu la Jugoslavia: si può stimare si tratti di circa 15 mila giovani. Nati e cresciuti nel nostro Paese, non ne hanno ottenuto la cittadinanza e si trovano in uno status giuridico molto particolare. Molti possedevano documenti di identità rilasciati dalla Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia-RSFJ (passaporto rosso per i maggiorenni, bianco per i minorenni, carte di identità). Il problema è che i nuovi Stati nati dalla dissoluzione della Jugoslavia non sempre hanno riconosciuto i Rom come loro cittadini.

In sostanza, «moltissimi dei Rom dell’ex-Jugoslavia sono generalmente inespellibili (perché regolari, perché privi di cittadinanza, perché “socialmente inseriti”, perché genitori di minori privi della cittadinanza, perché coniugati con persone regolari, ecc.), ma perennemente irregolari». 

La situazione palermitana

Le prime famiglie Rom giunte a Palermo si erano inizialmente stabilite tra la spiaggia di Romagnolo e il quartiere Zen. Quest’ultimo, in particolare, nei primi mesi del 1991 divenne teatro di scontri con i residenti, con una vera e propria guerra tra poveri che convinse il Comune di Palermo a trasferirli in una delle poche aree al momento prive di palazzi: quella adiacente al Parco della Favorita. Doveva trattarsi soltanto di una sistemazione temporanea, ma la loro permanenza si è prolungata per oltre vent’anni, dando luogo al cosiddetto “campo nomadi” di Palermo, che ben presto raggiunse le 800 unità.

rom a palermo

Il 10 marzo 1992 un’ordinanza comunale dispose un programma essenziale per munire l’insediamento dei servizi fondamentali: servizi igienici autopulenti, box doccia e lavabi; allacciamento di questi alla fognatura dinamica più vicina, erogazione di acqua calda e fredda; pulizia straordinaria del campo e delle zone adiacenti, nonché ritiro giornaliero dei rifiuti solidi urbani da parte dell’Amia

Il programma predisposto, però, è stato realizzato solo in parte: l’allacciamento alla rete fognaria non è mai stato effettuato, così come la pulizia periodica; inoltre lo smaltimento dei rifiuti non avveniva in maniera regolare, cosicché i cassonetti diventavano ricettacolo di topi e insetti; infine l’acqua calda non è mai arrivata poiché l’approvvigionamento idrico avveniva esclusivamente tramite autobotti comunali, che rifornivano i cinque silos collocati nel campo.

Si trattava pur sempre di una sistemazione non autorizzata, un insediamento di fatto abusivo da un punto di vista legale e, quindi, passibile di sgombero: un’area soggetta a vincoli ambientali ben precisi, che nel tempo hanno impedito alle autorità competenti qualunque intervento di tipo strutturale.

D’altra parte non sembrava neppure praticabile una soluzione alternativa, sia perché non vi erano altri spazi disponibili e vicini alla città, sia perché il trasferimento di queste persone in un contesto urbano e sociale già strutturato si sarebbe scontrato di certo con il pregiudizio ancora diffuso tra i palermitani, i quali non avrebbero acconsentito a vivere vicino a un campo nomadi

rom a palermo

In qualche modo, dunque, sia la collocazione spaziale, che manteneva il problema nascosto agli occhi della comunità civile, sia le condizioni abitative disagiate e precarie, che spingevano i Rom a partire in cerca di un luogo migliore in cui vivere, sembravano salvare le apparenze e rimuovere forzosamente il problema.

L’impegno per l’integrazione

Di fronte a questa situazione di grande solitudine sociale e degrado, tuttavia, alcune coscienze sono rimaste ben salde e si sono adoperate, sin dal primo insediamento dei Rom negli anni ‘90, per favorirne l’integrazione nel tessuto sociale palermitano, chiedendo a gran voce la chiusura del campo e il contestuale trasloco delle famiglie in strutture (anche confiscate alla mafia), preventivamente individuate. 

Da tenere presente, in tal senso, è l’impegno dimostrato dall’Ufficio Scolastico Regionale (USR) per la Sicilia che, nella persona di Carla Mazzola, referente per l’inserimento e l’integrazione scolastica della comunità Rom dal 2006 al 2020, si è costantemente battuto per la scolarizzazione dei minori, guardando all’istruzione come ad un potente strumento di conquista della dignità personale e di autodeterminazione. 

L’USR, in particolare, ha promosso una serie di riunioni periodiche organizzate in collaborazione con l’Ufficio Nomadi e Immigrati (oggi “Casa dei diritti”)del Comune di Palermo e l’Osservatorio di Area “Distretto 13”, finalizzate a garantire un’equa distribuzione degli alunni Rom tra le diverse strutture scolastiche per mettere in rete tutti gli attori coinvolti nella presa in carico della comunità nonché per monitorare la frequenza e l’andamento scolastico onde evitare/combattere  fenomeni di abbandono e dispersione.

Dal 2006, sono state così realizzate numerose iniziative e manifestazioni, tra le quali il reperimento di fondi per l’assegnazione di borse di studio, attività di doposcuola con il coinvolgimento di volontari, raccolte alimentari e di beni di prima necessità, progettualità volte alla promozione della cultura Rom

Gradualmente, il muro di diffidenza, cresciuto intorno alla Comunità Rom di Palermo è stato così scalfito, aprendo gli occhi di molti su una realtà ricca di umanità ma anche di estrema sofferenza. Una volta varcata la soglia di quel mondo sconosciuto, ben presto limitarsi a iscrivere i ragazzi a scuola è sembrato un gesto quasi superficiale e Carla, senza rendersene conto, si è trovata ad accompagnare i genitori presso gli istituti, parlare con i docenti, rassicurare i bambini il primo giorno di scuola, amare ancora più profondamente la propria città.

Quando poi, il 5 aprile 2019, è finalmente giunto il momento della dismissione definitiva del campo nomadi, tra la rete di volontari, che negli anni è cresciuta e si è arricchita di nuove consapevolezze, Carla si è adoperata senza sosta per assicurare il trasferimento di tutte le famiglie in abitazioni popolari o case affitto: nessuno doveva essere più lasciato solo.

Un nuovo progetto

All’indomani della dismissione, l’impegno di docenti, Dirigenti Scolastici e volontari, costituiti nel Gruppo di coordinamento per la scolarizzazione degli alunni e alunne Rom, si è riconfermato più saldo che mai. Tra di essi, in particolare, Tiziana Stefanizzi, referente per la dispersione scolastica presso la scuola media “Virgilio Marone”, e Maria Giovanna Granata, ex DS presso la Scuola “Alcide De Gasperi”. I loro istituti, insieme alla “Florio”, alla “Cascino” e alla “Libero Grassi”, hanno opsitato rinnovati incontri di doposcuola e potenziamento rivolti ai minori della comunità Rom

Si è potuto così proseguire anche nelle iniziative di raccolta fondi finalizzate a supportare le famiglie nelle più piccole necessità quotidiane; consulenze di tipo burocratico e legale; progetti che miravano, nella sostanza, a mantenere intatto il legame con le famiglie a prescindere dall’orario scolastico. 

È stato allora che, su iniziativa dei ragazzi dell’Associazione “In Medias Res”, che prestavano aiuto al Gruppo come volontari, si iniziò a pensare a un progetto più strutturato, in modo tale da assicurarne quanto più possibile la continuità nel tempo. 

L’occasione giunse l’anno successivo, grazie al finanziamento dell’Otto per mille della Chiesa Valdese. Furono così individuati sei tutor che, con il sostegno di una rete di volontari, tra cui anche le stesse Carla Mazzola, Tiziana Stefanizzi e Maria Giovanna Granata, avviarono un’attività di doposcuola e potenziamento scolastico, aperta principalmente ai ragazzi delle terze medie e delle superiori, essendo queste considerate le fasce più a rischio di abbandono.

Le lezioni, inizialmente, si sono svolte presso la Scuola media “Cascino”, coinvolgendo ben 12 studenti per un totale di 448 ore di studio. Il progetto è oggi al suo secondo anno di vita e può contare, già, su alcuni record personali. Infatti, oltre all’aumento dei minori coinvolti e delle ore dedicate, si è innanzitutto, registrata una significativa partecipazione femminile. Le ragazze Rom, solitamente destinate a matrimoni precoci, e dunque all’abbandono degli studi, scelgono adesso di continuare la loro istruzione e di darsi la possibilità di perseguire le proprie inclinazioni e passioni. 

È da sottolineare l’incremento dei ragazzi che frequentano classi al di fuori della scuola dell’obbligo, nonché quello di quanti hanno ottenuto la promozione con successo e senza debiti, o hanno superato l’esame di terza media. 

A scuola di dignità. A scuola di libertà. Ma soprattutto a scuola di relazioni. Lo dimostra, tra l’altro, il dato rilevante che questi risultati giungono alla fine di un anno particolarmente difficile, quello attraversato da una pandemia, tutt’ora in corso, che mette in crisi qualunque forma di socialità e contatto umano. 

Nonostante ciò, non tutti i mali giungono per nuocere e proprio nel momento di crisi maggiore, la rinascita è giunta nella forma di un’intensificazione degli aiuti alle famiglie e di un accrescimento della fiducia e dell’empatia tra studente e tutor. 

Questi ultimi, costretti all’utilizzo iniziale di cellulari e mezzi di fortuna, hanno successivamente potuto contare su tablet e la connessione internet fornita dal finanziamento dei Valdesi ritrovando, seppure in forma necessariamente più blanda, il contatto con il tessuto sociale esterno e scoprendo un valore tutto nuovo da attribuire alle ore passate su un testo di letteratura o di calcolo insieme a chi, un po’ amico, un po’ insegnante, un po’ mentore, riesce così a guidarli anche nel periodo all’apparenza più buio. Un progetto che restituisce alla scuola la sua essenza più vera e promette per il futuro di raccogliere ulteriori esperienze di vita aprendosi a tutti coloro che, appartenenti alla Comunità Rom o meno, hanno comunque diritto a studiare serenamente e ad inseguire i propri desideri.

Un vuoto di tutela: il caso di Denis

Tra gli studenti coinvolti nel progetto di supporto scolastico alla Comunità Rom di Palermo c’è anche Denis Mehmeti. Denis ha vent’anni ed è iscritto al quinto anno dell’Istituto Tecnico Economico per il Turismo Marco Polo. È nato a Rovereto, in provincia di Trento, ma nonostante ciò lo Stato non lo considera cittadino italiano. La sua è una storia segnata dalla cattiva legislazione e dalla lentezza di una burocrazia, spesso poco attenta alle concrete necessità del singolo. 

Dopo aver trascorso i suoi primi anni di vita al Nord Italia, Denis si è trasferito a Palermo insieme al padre, trovando una sistemazione all’interno del campo nomadi della Favorita. Con la dismissione di quest’ultimo, grazie al supporto degli operatori del Comune e dei volontari, ha ottenuto un nuovo domicilio all’interno del Centro Don Orione di Palermo, dove vive tutt’ora insieme alla famiglia.

Nel luglio del 2018 Denis ha compiuto diciotto anni e (in base all’art. 4 comma 2 della l. n. 91 del 1992) avrebbe potuto ottenere la cittadinanza italiana facendone domanda entro un anno da tale data. A tal fine, requisito necessario è la regolare iscrizione anagrafica presso il Comune di Palermo, la quale è stata tuttavia più volte negata dagli uffici competenti poiché il ragazzo era sprovvisto di passaporto. 

Nonostante Denis abbia fatto domanda di rilascio del suddetto documento all’Ambasciata della Repubblica di Serbia a Roma, si è visto rispondere un fermo diniego. Infatti, perché la procedura andasse a buon fine (in base all’art. 30 della legge sui titoli di viaggio della Serbia) era necessario presentare idoneo documento d’identità; documento del quale Denis era privo essendo figlio di genitori kosovari. 

Pertanto, sebbene il Comune di Palermo abbia sollecitato l’Ambasciata per una semplificazione della procedura, facendo presente che dal rilascio del passaporto dipendeva tra l’altro anche il rinnovo del permesso di soggiorno, Denis di fatto ha perso la facoltà di esercitare quello che era un suo diritto garantito per legge, andando incontro ad un gravissimo pregiudizio, data la scadenza dei termini imposti dalla legge del 1992.

Il ragazzo, seguito al momento da un avvocato, potrà adesso fare riferimento esclusivamente all’art. 9 comma 1 dello stesso testo legislativo: «lo straniero nato in Italia potrà acquistare la cittadinanza italiana dopo tre anni di residenza legale». In tal caso, però, la concessione della cittadinanza non è un più un diritto ma si basa su di una valutazione complessiva del cittadino che tiene conto di una serie di elementi ulteriori, quali ad esempio l’autosufficienza economica o l’assenza di precedenti penali. Insomma, un nuovo calvario.

In copertina foto di Associazione “In Medias Res


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