I Mapuche chiedono una Costituzione plurinazionale

A un mese dal referendum che approva la modifica della Costituzione cilena, la popolazione Mapuche continua la lotta per i suoi diritti.


A un mese dallo storico plebiscito attraverso il quale il popolo cileno ha stabilito la propria volontà di cambiare la Costituzione risalente agli oscuri anni della dittatura fascista di Pinochet, c’è ancora una parte della popolazione che continua incessantemente la sua lotta per il riconoscimento dei propri diritti. 

I Mapuche, popolo indigeno che abita da oltre 2000 anni i territori australi del continente Sudamericano, rappresentano quasi il 10 per cento della popolazione cilena, oltre a essere il gruppo nativo più popoloso presente all’interno del territorio cileno

Dopo secoli di prevaricazioni, persecuzioni, territori ancestrali violentemente sottratti, diritti negati e innumerevoli violenze, i Mapuche, grazie al risultato del referendum del 25 ottobre, possono finalmente sperare in un futuro più radioso e in una reale ed equa partecipazione alla vita politica, sociale ed economica del Cile.

I popoli indigeni cileni, leaderati dai Mapuche in prima linea, chiedono a gran voce la creazione di una Costituzione plurinazionale, seguendo il modello che Paesi come Ecuador e Bolivia su tutti, hanno già attuato da alcuni anni attraverso il riconoscimento di numerose lingue e nazionalità entrate a far parte ufficialmente dell’apparato statale. Inoltre, le popolazioni native reclamano una netta rottura con il passato, e un’adeguata rappresentanza politica.

La popolazione Mapuche aspira a un ruolo attivo e importante nel processo di stesura della nuova Costituzione, che, come detto, dovrà essere “plurinazionale, plurilingue e interculturale”, come affermato da Elisa Logkon Antileo, nativa, attivista e docente universitaria, esponente della “Red por los derechos educativos y lingüísticos“. «Siamo molto contenti che i cileni abbiano detto addio al testo di Pinochet», ha proseguito Antileo, raggiunta al telefono dall’agenzia di stampa nazionale Dire. 

L’attivista cilena spiega come, però, la strada da percorrere per un pieno riconoscimento dei diritti fondamentali dei popoli originari sia ancora molto lunga. Molti altri Paesi nel mondo hanno raggiunto risultati molto soddisfacenti, mentre il Cile è rimasto per troppo tempo legato a un passato oscuro, violento e persecutorio, che ha toccato il suo punto più basso durante i venti lunghissimi anni di dittatura fascio-neoliberista imposta da Augusto Pinochet, dopo il golpe del 11 settembre 1973 ai danni del democraticamente eletto governo del socialista Salvador Allende

La proposta dei popoli indigeni, sostenuta da tutta la sinistra cilena, è quella di implementare 25 rappresentanti per le dieci comunità di popoli originari del Cile.

I popoli indigeni in Cile rappresentano circa il 13 per cento della popolazione, e questa scelta sarebbe la più consona e opportuna per un’equa rappresentanza basata su di un principio di proporzione demografica. Su una popolazione totale di 18 milioni, in Cile sono circa due milioni le persone che si definiscono appartenenti a un gruppo nativo, di cui 1,7 milioni Mapuche. Seguendo questi numeri e proporzioni, la comunità Mapuche avrebbe così a disposizione ben 14 seggi sui 24 disponibili

Questa proposta ha trovato naturalmente le resistenze della destra cilena e della parte più conservatrice del Paese, ed è ferma al Senato. I nativi accusano infatti il Presidente Sebastian Piñera di voler deliberatamente rallentare il processo di integrazione dei popoli indigeni sollevando dubbi sul principio di proporzionalità. 

Ancora oggi, infatti, la maggior parte dei cileni è abituata a pensare al proprio Paese come monoculturale e monolingue, e che i popoli indigeni, molto spesso definiti “immaginari”, siano soltanto il 2-3 per cento della popolazione totale, come raccontato al País dal Professore di Diritto presso l’Università del Cile Salvador Millaleo, anch’egli Mapuche. Millaleo aggiunge che «per come è stato costruito lo Stato cileno, i nativi sono visti come cittadini di seconda categoria, e che per essere pienamente integrati dovrebbero smettere di appartenere alle loro comunità». 

La violenza nei confronti dei Mapuche e degli altri gruppi indigeni ha sicuramente aumentato il sentimento di empatia di una enorme fetta dei cileni. Secondo il Professore, infatti, durante le proteste dell’ultimo anno molti cittadini hanno potuto vedere in prima persona e con i propri occhi le sistematiche violazioni dei diritti umani e la repressione ingiustificata da parte dei carabineros

Le persone si sono rese conto che la lotta portata avanti dai gruppi indigeni, in particolare dai Mapuche, è giusta e legittima, e deve essere supportata indistintamente da tutti, esattamente come quella di tutte le parti della società cilena che ingiustamente vengono escluse, emarginate e oppresse dalla vita sociale e politica del Paese.


1 commento

I commenti sono chiusi

... ...