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Sport e Covid-19: fuori dalle bolle

I numerosi casi di positività riscontrati in queste settimane dimostrano quanto sia complicato isolare in una “bolla” i protagonisti dello sport. L’esperimento della NBA americana rappresenta l’eccezione che conferma la regola.


Cristiano Ronaldo nel calcio, Valentino Rossi in MotoGP e Federica Pellegrini nel nuoto: queste le ultime stelle del mondo dello sport risultate positive al Covid-19. I tre campioni sono in realtà in buona compagnia, dato che gli atleti costretti a fermarsi a causa della positività sono numerosi, in tutte le discipline sportive. Dal calcio al tennis, dal ciclismo all’atletica, passando per i motori, non c’è sport le cui competizioni non siano condizionate, direttamente o indirettamente, dagli esiti dei tamponi e dalle conseguenti indisponibilità degli atleti. 

L’unico esempio di “bolla sportiva” perfettamente riuscito è quello che ha riguardato il torneo di basket più famoso al mondo, cioè l’NBA. Per disputare la fase finale della regular season e i play-off, è stato predisposto all’interno di Disney World, a Orlando, un campus isolato dal resto del mondo. Le 22 squadre convocate erano quelle già qualificate o che potevano qualificarsi ai play-off.

Entro metà agosto si sono giocati gli incontri mancanti della regular season, poi ha avuto inizio la fase finale. Ognuna delle squadre ha portato con sé 35 persone, alloggiate in tre diversi hotel di Disney World, organizzati per aree separate con una ferrea regolamentazione degli ingressi; mascherina obbligatoria e braccialetti elettronici per consentire l’accesso in determinati ambienti. 

I giocatori venivano testati ogni giorno e ricevevano i risultati la mattina seguente, grazie a un laboratorio privato dedicato. Erano vietate le uscite tranne quelle per seri motivi familiari, come matrimoni o funerali, e chi trasgrediva tale regola doveva rimanere in isolamento per dieci giorni prima di tornare ad avere contatti con i compagni di squadra. La lega ha organizzato anche il tempo libero dei giocatori, i quali avevano a disposizione svariate attività: dalle proiezioni di film alla pesca nel bacino artificiale, dal golf al ping pong, fino ai videogiochi; nel complesso c’erano poi ristoranti, barbieri e manicure. Le visite dei familiari ai giocatori sono state consentite dopo il primo turno di play-off, fino ad allora soltanto videochiamate.

Durante i cento giorni trascorsi all’interno del campus di Orlando, alcuni giocatori hanno deciso di utilizzare l’attenzione dei media per la loro vita nella bolla, per parlare delle proteste del movimento Black Lives Matter. I circa 20 giornalisti ammessi nel campus non potevano interagire con i giocatori e con lo staff. Chris Mannix, uno dei pochi giornalisti dentro la bolla, ha scritto su Sports illustrated che uno degli aspetti positivi di questa nuova NBA fosse la possibilità di occuparsi di più squadre in poco tempo e spostandosi a piedi, quando normalmente bisognava muoversi in aereo.

Marc Stein, cronista del New York Times, ha raccontato di aver seguito diversi allenamenti al giorno e di aver sofferto particolarmente i sette giorni di isolamento prima di poter uscire. A quanti gli chiedevano come fosse la bolla NBA, ha risposto: «È il 2020. Niente è normale nel 2020, e chissà se tornerà mai com’era prima, ma capisci e ti adatti man mano, come si fa nella vita»

Per la cronaca, il titolo è stato vinto dai Los Angeles Lakers, che hanno avuto la meglio su Miami Heat nella serie finale. Trascinati dal fuoriclasse Lebron James, i Lakers sono tornati così a primeggiare dopo dieci stagioni, dedicando il trionfo al mitico Kobe Bryant, tragicamente scomparso a inizio anno. 

Quella della bolla NBA è stata un’operazione monumentale, sotto ogni profilo: sportivo, sanitario, mediatico. Aver garantito la sicurezza e la salute di tutti per tre mesi, portando avanti la competizione senza riscontrare alcun contagio, è stato un grande successo. Si stima che il costo complessivo della bolla si aggiri sui 180 milioni di dollari, cifra ragguardevole che rende l’idea di quanto un esperimento del genere non sia economicamente sostenibile in altri contesti. Al di là dei costi, l’esempio del basket americano risulterebbe difficilmente replicabile: isolare gli sportivi in una bolla protetta non può considerarsi la regola. 

La stagione calcistica, ripartita a maggio dopo il periodo di lockdown e conclusasi con l’assegnazione delle coppe europee a Bayern e Siviglia, ha inaugurato immediatamente il nuovo corso post Covid-19. Tra le finali delle coppe europee di metà agosto e la ripartenza dei tornei nazionali c’è stato infatti un intervallo durato solo due o tre settimane, a seconda dei vari calendari. Questi ritmi serrati hanno inevitabilmente condizionato la preparazione atletica delle squadre, fondamentale per lo svolgimento dell’intera stagione agonistica.

A ciò si sono aggiunti i protocolli sanitari anti Covid-19, attorno ai quali ogni società sta ridefinendo la propria organizzazione. Sport di contatto per eccellenza, il calcio sta affrontando questa fase con la consapevolezza di non poter isolare del tutto i suoi attori protagonisti. La “bolla calcistica” non è praticabile e quindi la stagione proseguirà con molte incognite e poche certezze: stadi deserti, rose falcidiate dalle assenze e prestazioni dei singoli e di squadra fortemente pregiudicate. Oltre ai vari campionati, è ripartita la Nations League per le nazionali e questa settimana avrà inizio la fase a gironi di Champions League ed Europa League. 

Nessuna “bolla” nemmeno per le competizioni ciclistiche, il cui calendario ha subito una vera e propria rivoluzione, sia per le grandi corse a tappe che per le classiche. Il Tour de France, solitamente disputato a luglio, si è svolto ad agosto e ha visto il trionfo dello sloveno Tadej Pogacar. Il Giro d’Italia, solitamente disputato a maggio, è slittato a ottobre con la carovana rosa giunta adesso alla terza settimana di corsa, quella decisiva. Per quanto attiene ai contagi da coronavirus, se il Tour non è stato intaccato, il Giro invece ha registrato diverse positività tra corridori e membri dello staff, con due squadre (Jumbo-Visma e Mitchelton Scott) costrette ad abbandonare la corsa. 

Le recenti positività del pilota Valentino Rossi, della nuotatrice Federica Pellegrini e del tennista Fabio Fognini confermano che sono a rischio contagio professionisti delle varie discipline sportive, a prescindere dal fatto che si trovino in piena attività agonistica o in fase di preparazione agli eventi. 


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