Il coronavirus non ferma il terrorismo jihadista

 

In questa fase di emergenza sanitaria, come sappiamo, ci sono situazioni di crisi che non sono risolte ma unicamente sospese. Tra le più preoccupanti c’è sicuramente la questione del terrorismo jihadista, che sembra essere momentaneamente dimenticata da tutti.

In effetti, il pericolo Covid-19 sembrerebbe aver creato scompiglio anche nelle varie organizzazioni di stampo terroristico, con reazioni diverse tra i vari gruppi. Notevoli, per esempio, le differenze di reazione tra i due gruppi più noti, ovvero Al-Qaeda e l’ISIS. La prima, seguendo la sua predisposizione più teorica, si è mantenuta molto sul vago in merito al virus, indicandolo come un castigo divino inflitto agli infedeli, quindi giusta risposta alle azioni contro i fedeli portate avanti dai nemici.

Diversa e più peculiare invece la reazione dell’ISIS, almeno in un primo momento. Il movimento, molto più militarizzato e diretto nella propria azione, avrebbe infatti pubblicato una serie di linee guida di comportamento, non dissimile da quella valida per altri paesi. Un punto in particolare, ovvero l’invito a rispettare il distanziamento sociale, ha suscitato molte domande; è stato subito interpretato come un invito a sospendere le attività del gruppo durante l’emergenza Covid-19 e ciò avrebbe portato a una correzione da parte dell’organizzazione. Con il nuovo appello, modificato, si invita infatti ad approfittare della debolezza dell’Occidente per organizzare attacchi durante il caos della pandemia. Vengono anche smontate le voci secondo cui il virus sarebbe stato creato dagli Stati Uniti, concordando con la linea di Al-Qaeda secondo cui il virus sarebbe un castigo divino e non un’arma degli americani.

Gli obiettivi sensibili, al momento, sono necessariamente ridotti; il divieto di aggregazione riduce di molto il raggio di azione per colpire e, di conseguenza, il rischio di un attacco. Al momento, i luoghi più affollati sono ospedali e caserme e accanirsi contro questi obiettivi potrebbe causare reazioni contrarie piuttosto forti; d’altronde, gli obiettivi finora colpiti sarebbero stati tutti potenzialmente avversi a molti potenziali seguaci.

Il rischio maggiore, al momento, sembra essere il potenziale afflusso di nuove leve nel medio e lungo termine; la lunga quarantena vissuta in molti stati potrebbe benissimo portare a un aumento dei flussi verso i punti di reclutamento e propagandistici di cui dispone l’ISIS in rete, attirando soggetti a rischio conversione nelle maglie dell’organizzazione. Rischio che peraltro potrebbe essere aggravato dagli inevitabili danni economici dovuti al lockdown nei vari Stati europei e che potrebbe colpire ed emarginare ulteriormente tutte quelle fasce già tenute sotto controllo.

Ci sono poi altri gruppi “secondari” le cui attività non sono state minimamente interrotte dalla pandemia: un esempio sono le milizie armate di Boko Haram e del Sahel, che nonostante la pandemia continuano i loro attacchi, specie nella zona del lago Ciad, che ora ospiterebbe una cospicua parte della milizia Boko Haram. Da lì i terroristi avrebbero attaccato svariati squadroni di polizia e basi militari, approfittando della copertura delle paludi e del loro impegno contro il virus. Una nuova e pericolosa situazione, che potrebbe presto verificarsi anche in altri territori. Viene da pensare che, nonostante il dramma mondiale, i terroristi non si fermano per lavarsi le mani.


 
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