La “trumpeconomics” funziona?

Di Francesco Paolo Marco Leti – Gli Stati Uniti continuano ad essere l’economia più in forma del blocco occidentale e i meriti sembrano spettare tutti all’attuale amministrazione anche se la realtà, come spesso accade, è leggermente più complessa.

Partendo dai dati, la crescita del PIL negli USA raggiungerà, quest’anno, la considerevole soglia del 4,2% e il tasso di disoccupazione si aggira intorno al 4%; tasso, quest’ultimo, che, salvo alcuni importanti settori, può considerarsi di tipo più congiunturale che strutturale.

Alla base della crescita vi è lo straordinario apporto dei consumi interni e, in misura minore, l’aumento dell’export. Il tasso di inflazione si aggira poco sopra al 2% (2,3%) e il debito pubblico, sebbene in crescita in termini assoluti, risulta in calo nel suo rapporto col PIL. Il tasso di sconto applicato dalla Federal Reserve (FED), cresciuto negli ultimi mesi, è del 2,25%, lontano dai bassi tassi di interesse europei e la bilancia commerciale registra un deficit in riduzione, ma bisogna ricordare, in questo caso, come il deficit statunitense non potrà mai azzerarsi del tutto, salvo che il dollaro non smetta di essere la valuta di riserva mondiale (c.d. “Dilemma di Triffin”).

Il quadro dei dati macroeconomici mostra come l’economia americana sia ormai in una fase di crescita matura e abbia superato, quasi del tutto, le difficoltà della recessione del 2008.

Una delle querelle più radicate è quella legata a chi dare il merito di questi risultati. Molti economisti, fra i quali Paul Krugman, sostengono che i risultati economici si debbano solo parzialmente all’attività delle amministrazioni e che, al contrario, siano semplicemente il frutto della ripresa ciclica dell’economia e dell’attività decisa e concertata dei banchieri centrali.

Alcuni economisti attribuiscono gli effetti economici attuali alle riforme messe in campo dall’amministrazione Obama, i cui risultati sarebbero visibili soltanto oggi. Un’ultima fetta, invece, sostiene come alla base della crescita vi sia la cosiddetta “trumpeconomics”, fondata su una politica di deregolamentazione, di sgravi fiscali per le imprese e di politiche internazionali improntate al protezionismo.

Sorvolando sulle dispute circa la “paternità” della crescita, molto più interessante è il dibattito sulla sua solidità e sulle prospettive. In questo campo, i commentatori sembrano essere molto più concordi, sostenendo come il ciclo economico di ripresa stia volgendo al termine e che una recessione sia alle porte.

La letteratura economica ha dimostrato come i cicli economici espansivi abbiano una durata orientativa che oscilla fra gli otto e i dodici anni, seguiti da recessioni. Probabilmente, a causa della gravità della precedente crisi, questo ciclo espansivo durerà qualche anno in più e non verrà seguito da una recessione incisiva.

In effetti, analizzando più in profondità i dati, si può osservare come alcuni sintomi siano già presenti: la diseguaglianza sociale ed economica è nuovamente in crescita proprio a causa delle politiche fiscali dell’amministrazione Trump; i salari reali, al netto dell’inflazione, risultano essere fermi, in linea con quelli degli ultimi quarant’anni; la produttività del lavoro è stazionaria; infine, anche se il Paese sembra essere in una fase di piena occupazione, con una disoccupazione più congiunturale che strutturale (come detto all’inizio), ad analizzare meglio i dati, è presente una piccola parte di lavoratori “perdenti” rappresentata da manodopera scarsamente qualificata e più avanti negli anni.

L’altro timore degli osservatori è che la “trumpeconomics” possa presentare il conto di qui a qualche anno. Infatti, le politiche di deregolamentazione economica potrebbero essere pagate a caro prezzo in futuro, aggravando le recessioni, specialmente in campo azionario e finanziario dove molti dei limiti creati alla luce dell’esperienza della crisi del 2008, sono stati smantellati. La politica commerciale protezionista, inoltre, potrebbe, in un primo momento, aggravare la recessione e, in seguito, rallentare la ripresa.


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