Mirko Dalle Mulle, sul Monte Rosa per gridare: “la donazione è vita”

Mirko Dalle Mulle e altri quattro escursionisti, che hanno subito trapianti o sono affetti da fibrosi cistica, hanno raggiunto la vetta del Monte Rosa per lanciare un messaggio a favore della donazione.


Domenica scorsa, in occasione della prima puntata della nuova stagione del programma televisivo Che tempo che fa, condotto da Fabio Fazio, è stata intervistata la giornalista Lilli Gruber. Il celebre volto del giornalismo italiano ha affermato che il vero compito di un giornalista è di ricercare la verità e non quello di regalare emozioni. Eppure ci sono storie impregnate di emozioni a prescindere dall’intento di chi riporta il fatto, come quella dell’escursionista Mirko Dalle Mulle

Nato nel 1978 a Feltre, un paesino di montagna in provincia di Belluno, Mirko – come riportato nella sua biografia presente sul sito emodializzati2.0 (da lui stesso curato) – all’età di diciassette anni subisce un peggioramento repentino della glomerulonefrite. Quest’ultima consiste in una patologia di origine infiammatoria che colpisce i glomeruli renali, ossia la «fitta rete sferoidale di capillari arteriosi, deputata alla filtrazione del sangue».

A differenza della dialisi peritoneale, l’emodialisi «comporta la totale estrazione del sangue dal paziente, il suo filtraggio attraverso una membrana esterna artificiale e la sua rinfusione nel sistema circolatorio. Ecco perché è detta anche dialisi extracorporea, svolgendosi “fuori” dal corpo del paziente. Il macchinario utilizzato, inoltre, è comunemente definito “rene artificiale”.

Da quando, nel 1998, ha ricevuto il rene, Mirko Dalle Mulle sostiene che la sua vita sia cambiata. Alla domanda “Chi sono?”, sempre nella sua biografia, oggi risponde: «Vivo di montagna, di cammini e cerco di stare il più possibile all’aria aperta a contatto con la natura. Ho potuto scalare alcune montagne della mia bella provincia e dintorni, in solitaria o in compagnia. Grazie a questo portale, ho conosciuto amici particolari con cui condivido avventure e viaggi, tra cui il cammino di Santiago e delle uscite in barca a vela. Volontario attivo e fervente, sono entrato a far parte di AIDO nel 2010 e ne sono diventato presidente della sezione Provinciale, collaboro con la sezione provinciale di ADMO e di ANED, cui cerco di dare il mio contributo affinché la nostra situazione di dializzati e trapiantati migliori negli ambienti sanitari, oltre che dare importanza al significato della parola “dono”».

A marzo 2017 Mirko è costretto a rientrare in emodialisi, a causa di problemi anche al suo secondo rene, per poi subire il trapianto a Padova il 19 giugno 2020. Nel corso del 2021, nonostante il nuovo rene fosse ripartito, come lui stesso afferma, come un “motore a Diesel”, diverse infezioni alle vie urinarie lo hanno costretto a sottoporsi a ulteriori interventi chirurgici.

Mirko sostiene che chi riceve un organo in donazione, erediti in qualche modo i geni del precedente possessore. Una parte di quella persona continua infatti a vivere in lui, poiché prima dei trapianti la passione per la musica, per le passeggiate e per il movimento erano quasi assenti nella sua vita.

Tra il 16 e il 17 luglio scorso, dopo sei mesi di preparazione monitorati dal Cerism di Rovereto, Mirko è riuscito a raggiungere la cima del Monte Rosa. Assieme al suo compagno di cordata Gabriel Zeni, affetto da fibrosi cistica, a Valeria LusztigAntonella Tegoni e Samantha Ciurluini, tutte in lotta con la stessa malattia e vive grazie al trapianto di polmoni, hanno potuto gridare al mondo che “la donazione è vita”. 

mirko dalle mulle
Foto: Corriere del Veneto

Al Corriere della Sera, Mirko ha recentemente dichiarato: «La dialisi mi portava via una fetta della mia vita. Io sono sposato, sono vice presidente dell’Aido di Belluno e membro del direttivo regionale, ho la passione per la musica, ho insegnato a lungo ai bambini e adesso ho deciso di riscrivermi al Conservatorio. Voglio andare oltre. In ogni cosa che faccio penso ai miei donatori, perché non potrei essere vivo senza di loro. Per ogni cosa ringrazio loro e le loro famiglie, persone che non conoscerò mai».

Mirko racconta, nella stessa intervista, come sia venuta l’idea dell’impresa sul Monte Rosa: «Qui a Belluno c’era un ragazzo che aveva subito un trapianto di polmoni, Marco Menegusso. Era un alpinista e nonostante la fibrosi cistica continuava a camminare tra i 2.500 e i 3000 metri sulle Dolomiti. Dopo il trapianto decise di andare ancora più su. Marco è arrivato a duecento metri dalla cima del Monte Rosa, l’ha vista, ma si è dovuto fermare. Un anno dopo la malattia è ritornata e non ha più potuto mantenere la promessa di tornare: è morto nel 2019. Io e Valeria, un’altra sua amica, abbiamo deciso di arrivare in cima anche per lui. Grazie all’alpinista Luca Colli abbiamo preparato la spedizione. Sono stati sei mesi impegnativi, tra riunioni in videochiamata, allenamenti in solitaria a causa del Covid. A gennaio ci siamo visti la prima volta per il primo test sul campo a Cervinia dove siamo arrivati a 3000 metri, poi per i test da sforzo a quota zero e a quota 4.200 al Cerism di Rovereto, che ci ha dato il via libera a partire».

Proseguendo col suo racconto, Mirko entra nei dettagli della scalata: «Il 16 luglio siamo partiti dai 3.200 metri. Alle due del mattino eravamo già svegli, alle quattro ci siamo sganciati dai 3.650 metri del Rifugio Gnifetti, divisi in cinque cordate. Verso le cinque di mattina, a quasi quota 4 mila, le ragazze hanno avuto problemi di ipotermia e hanno abbandonato. Quando il medico ci ha avvisato, tra le raffiche di vento a 60 chilometri orari, abbiamo vissuto un grosso momento di sconforto. Ma io e Gabriel abbiamo deciso di proseguire. In quattro ore, con meno diciassette gradi percepiti e la mia barba completamente cristallizzata, siamo arrivati in cima». Una volta raggiunta la vetta, la soddisfazione è stata enorme, così come la gratitudine nei confronti dei suoi donatori.

Ci sono storie, come quella di Mirko Dalle Mulle, che indubbiamente fanno emozionare gli animi più sensibili. Il pensiero che un nostro caro possa continuare in qualche modo a vivere in qualcun altro non può che farci sperare e dare in parte un senso alla nostra esistenza.


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