Voto ai sedicenni: largo ai giovani

Da alcuni giorni, più o meno da quando l’ex premier Enrico Letta ha affrontato il tema in un’intervista su Repubblica, si è tornati a discutere dell’estensione del diritto di voto ai sedicenni. Una proposta avanzata per primo da Walter Veltroni nel lontano 2007, ripresa da Beppe Grillo e poi dalla Lega nel 2015 e che oggi si inserisce nel contesto degli scioperi per il clima e del voto imminente su una riforma costituzionale che prevede l’abbassamento della soglia per il voto al Senato dai 25 ai 18 anni.

La proposta ha raccolto consensi bipartisan: Zingaretti, Di Maio, Salvini, Meloni, tutti sono d’accordo su un’eventuale estensione del suffragio. Non mancano le voci critiche, su tutte quelle dell’ex premier Mario Monti che in un’intervista su Radio Capital ha definito la proposta “demagogica”: «Il nostro è un Paese che gestisce le proprie politiche contro i giovani, non sono convinto che dando il voto ai sedicenni questo cambierebbe», ha affermato l’ex premier e senatore a vita, ironizzando sulla necessità di «inventarsi una Greta del debito pubblico». Sui social, invece, la contrapposizione tra favorevoli e contrari è netta.

Il primo argomento utilizzato da chi è contro l’abbassamento della soglia anagrafica per il voto è quello secondo cui si tratterebbe di una mossa di marketing politico a uso e consumo dei partiti di sinistra e di centrosinistra: i giovanissimi sono tradizionalmente su posizioni progressiste e radicali, dunque garantirgli il diritto di voto significherebbe portare voti al PD, ai Cinquestelle e più in generale alla sinistra. Sebbene i primi ad avere chiesto e ottenuto l’estensione del suffragio siano stati i protagonisti del movimento studentesco degli anni sessanta e settanta e sebbene questi abbiano votato in massa a sinistra, oggi il quadro sembra cambiato.

Basti pensare che alle ultime elezioni europee di maggio la stragrande maggioranza di coloro che appartengono alla cosiddetta generazione Z (i nati dal 1997 in poi) hanno votato in massa per la Lega di Salvini: il 38% di chi ha votato alle Europee per la prima volta ha barrato il simbolo della Lega, contro il 23% per il PD e il 16% per i Cinquestelle. Il dato ricalca quello dell’elettorato nel suo complesso, il che significa che tra giovani e vecchi non c’è molta differenza. Il quadro non cambia se ci spostiamo in un paese in cui il voto è stato esteso ai maggiori di 16 anni: in Austria, per esempio, le ultime due elezioni sono state vinte dalla destra. I fan di Salvini non hanno nulla di cui preoccuparsi: i giovani non sono tutti “gretini”.

Il secondo argomento ha invece ascendenze filosofiche più antiche: si teme che estendendo il suffragio ai sedicenni si consegnerebbero le sorti del paese a persone inesperte e irresponsabili. Il primo ad avere sostenuto questa tesi è stato Platone nella celebre “Repubblica”. Sorvolando sul fatto che la riforma discussa muterebbe l’elettorato attivo e non quello passivo (nessun sedicenne potrebbe essere eletto in Parlamento), questo argomento non regge per un motivo molto semplice: i numeri. Oggi infatti in Italia (e in generale nel mondo occidentale) i giovani sono una minoranza: ci sono circa 1 milione e 100 mila sedicenni e diciassettenni, mentre dal 2000 a oggi gli over 65 sono aumentati di oltre 3 milioni e l’età media della popolazione è di 45 anni. Il loro voto peserebbe dunque per il 2% del totale: pur ipotizzando un tasso di astensione quasi nullo e la nascita di un partito ambientalista radicale che esprima le stesse posizioni di Greta Thunberg e dei Fridays For Future, non cambierebbe granché.

voto ai sedicenni

Il terzo argomento è probabilmente il più insidioso, oltre che palesemente antidemocratico: quello secondo cui a sedici anni non si ha né la preparazione né l’interesse a votare e in generale a partecipare alla vita pubblica. Il principio è apparentemente semplice e di buon senso: chi vuole decidere per sé stesso e per gli altri deve essere in grado di farlo. Da sempre, almeno dai tempi dei greci, i vecchi si lamentano dei “giovani d’oggi”. E per quanto sia ovvio che certe cose si imparino solo con l’esperienza, la realtà delle democrazie moderne ha dimostrato che l’età non è condizione sufficiente per una deliberazione razionale.

I baby boomers, ovvero tutti quelli che oggi hanno tra i 60 e i 75 anni e che hanno vissuto il periodo di maggiore crescita economica nella storia dell’umanità, non votano e non pensano tutti allo stesso modo. Lo stesso vale per i cinquantenni e i quarantenni: basti pensare che dentro questa categoria potremmo includere sia Marco Travaglio sia gli haters anonimi che riempiono quotidianamente le pagine Facebook di commenti sgrammaticati scritti in capslock. Nessuno ha mai obbligato questi ultimi a informarsi né a studiare la Costituzione prima di andare a votare.

L’aspetto sorprendente (e che paradossalmente tradisce una certa maturità) è che nel dibattito televisivo siano stati i rappresentanti dei “giovani” a dirsi contrari all’estensione del suffragio. E non per apatia ma perché “non abbastanza preparati”. Se chi è d’accordo si riferisce ad una conoscenza approfondita della storia, della politica e del diritto di questo paese, può stare tranquillo: chi, tra quelli che oggi hanno più di 18 anni e ha votato almeno una volta nella propria vita, può dire di avere studiato per come si deve tutte queste discipline a scuola? Conoscete qualcuno che ha finito il programma dell’ultimo anno di storia? Se sì, è più probabile che sia nato negli anni novanta piuttosto che prima del Sessantotto.

È ovvio che, in una democrazia rappresentativa, chiunque abbia a cuore le sorti del proprio paese si preoccupi dell’intelligenza e della preparazione dei suoi vicini. Ma siamo sicuri che a dare lezioni di cultura e di virtù possano essere le generazioni da cui abbiamo ereditato qualunquismo, ignoranza diffusa e abitudini di consumo insostenibili per la prosecuzione della vita sul nostro pianeta? Le stesse che, inevitabilmente, più invecchiano e meno pensano al futuro? E se anche ammettessimo che i millennials e la generazione Z siano in maggioranza altrettanto miopi e menefreghisti, perché la miopia e il menefreghismo dei vecchi dovrebbero valere di più della miopia e del menefreghismo dei giovani?

Nessuno sa dare una spiegazione “scientifica” della ragione per cui la maggiore età oggi sia fissata a 18 anni. Il motivo è semplice: non c’è una ragione. È una convenzione, un indicatore arbitrario (ma non per questo privo di valore) del momento in cui si suppone che un essere umano abbia acquisito la capacità di ragionare e autodeterminarsi. Ciò ovviamente non significa che tutti, una volta raggiunta la maggiore età, sentiamo l’urgenza di informarci né di esercitare i diritti politici ereditati dalle lotte di chi ci ha preceduto. Escludere però qualcuno da questo esercizio solo perché ha uno o due anni in meno di quanto previsto oggi dalla legge è semplicemente sbagliato. Come si suol dire: largo ai giovani.


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