Greta, i gretini e i cretini

Di Francesco Puleo – Greta Massona. Greta Rettiliana. Greta plasticomane. Greta manipolata. Greta malata. Greta No Tav. La lista delle accuse e delle etichette appiccicate addosso alla giovane attivista svedese Greta Thunberg sembra infinita. Se ne discute da giorni, in particolare dopo lo sciopero globale per il clima del 15 marzo e del fiume di giovani e giovanissimi che hanno attraversato 2600 città di 123 paesi diversi.

Si discute dell’autismo di Greta, di società private che vogliono manipolarla, dei giovani “ambientalisti fricchettoni” (espressione usata da Marco Bentivogli su Il Foglio) che non saprebbero nemmeno perché sono scesi in piazza. Si parla meno del cambiamento climatico e delle sue cause, ovvero delle uniche ragioni per cui dovremmo occuparci di Greta.

I media hanno iniziato a raccontare la sua storia qualche mese dopo il suo primo sciopero del clima nell’agosto del 2018. E sia nella sua Ted Talk di dicembre che nell’ormai celebre discorso tenuto durante l’ultima conferenza mondiale sul clima di Katowice, Greta ha parlato solo ed esclusivamente di cambiamento climatico. In quell’occasione, rivolgendosi alle autorità politiche giunte in Polonia da tutto il mondo, la giovane attivista ha espresso il suo messaggio in modo chiaro e inequivocabile.

«Voi parlate solo di una crescita senza fine in riferimento alla green economy, perché avete paura di diventare impopolari. Parlate solo di andare avanti con le stesse idee sbagliate che ci hanno messo in questo casino».

E ancora: «La civiltà viene sacrificata per dare la possibilità a una piccola cerchia di persone di continuare a fare profitti. La nostra biosfera viene sacrificata per far sì che le persone ricche in Paesi come il mio possano vivere nel lusso. Molti soffrono per garantire a pochi di vivere nel lusso. Noi dobbiamo lasciare i combustibili fossili sotto terra e dobbiamo focalizzarci sull’uguaglianza e se le soluzioni sono impossibili da trovare in questo sistema significa che dobbiamo cambiarlo.»

Poche frasi che puntano dritto al cuore del problema: le lacune insite nell’idea della “crescita verde”, la giustizia climatica, la contraddizione tra ricerca del profitto e tutela dell’ambiente. E al di là del tono politico del discorso, si tratta di una visione che rispecchia le conclusioni di gran parte delle ricerche scientifiche dei climatologi e delle istituzioni internazionali, primo tra tutti il Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico (IPCC) dell’ONU.

Secondo l’ultimo report dell’organizzazione, per evitare esiti catastrofici dovremmo ridurre drasticamente le emissioni di CO2 del 45% entro dieci anni.

E se avessimo dubbi sui soggetti responsabili della crisi ecologica, basti citare un altro studio del 2017 del Climate Accountability Institute, secondo cui 100 aziende sarebbero responsabili del 70% delle emissioni di gas serra degli ultimi trenta anni. Quasi tutte le aziende citate sono colossi del settore energetico: ExxonMobil, Shell, British Petroleum ma anche Saudi Aramco, la russa Gazprom e il gruppo cinese Shenhua.

Di tutto questo si sa e si parla da anni. Tuttavia, in Italia se ne parla poco e male. Le polemiche su Greta rappresentano l’ennesima banalizzazione di un problema e di un movimento d’opinione che hanno assunto dimensioni globali e rispetto al quale la giovane attivista è una semplice testimonial. E non ci riferiamo soltanto alle reazioni del sottobosco complottista presente sul web.

Anche personaggi del mondo dell’informazione e dello spettacolo hanno dato fiato alla bocca per esprimere opinioni al limite della decenza: dalla cantante Rita Pavone che ha definito Greta «un personaggio da film horror» alla giornalista Maria Giovanna Maglie che «l’avrebbe messa sotto con la macchina». Dall’altra parte della barricata, alcuni tra gli editorialisti di punta della stampa italiana hanno preso le difese della ragazza, riducendo però la discussione a una contrapposizione intorno alla sua figura: gretini contro cretini.

Emblematici sono gli interventi di Francesco Costa (Il Post) e di Massimo Gramellini (Corriere della Sera). Costa sostiene che Greta ha ragione ma che sbaglia bersaglio, perché se la prende con i governi, ovvero con quelle elite illuminate e liberali alle quali dobbiamo i pochi progressi fatti nella lotta contro l’inquinamento e il riscaldamento globale.

Gli altri, il popolo, sono il vero problema. «Dalla raccolta differenziata ai sacchetti biodegradabili, dalla chiusura delle miniere di carbone alle detestatissime direttive europee fino a qualsiasi cosa provi a disincentivare l’uso dell’auto – basta buttare un occhio in Francia – le misure ambientaliste sono state portate avanti non a causa della spinta popolare ma nonostante la spinta popolare».

Evidentemente Costa ritiene che basti la raccolta differenziata per impedire ai colossi mondiali del carbone e del petrolio di ridurre le emissioni di CO2. Per non parlare del fatto che il riferimento alla Francia è fuori luogo: i gilet gialli sono tutto tranne che indifferenti al tema dell’ecologia, checché ne dica la stampa italiana.

Secondo Gramellini, invece, Greta ha torto ma non si può stare dalla parte dei “cattivisti” che l’hanno criticata. «Intendiamoci. Greta Thunberg non è il verbo. Personalmente non ne condivido la retorica di stampo populista, che assolve la gente comune per dare tutte le colpe del cambiamento climatico alle élite: in materia ambientale quel poco che si è fatto lo si deve a minoranze illuminate. Però dietro la levata di scudi contro la ragazzina svedese c’è qualcosa che va oltre il dibattito sull’ecologia. C’è la nuova egemonia culturale dei cattivisti, che provano un fastidio quasi fisico per qualunque manifestazione del bene».

Praticamente siamo di fronte alla stessa tesi detta in due modi diversi: Greta ha ragione ma, Greta ha torto ma. Forse il problema è proprio in quel “ma”. La settimana scorsa, il celebre filosofo sloveno Slavoj Žižek lo ha detto chiaramente nel suo intervento ad Agora su Raitre: «Noi sappiamo benissimo quello che sta succedendo. La scienza ce lo dice ma noi diciamo “beh, però non è così semplice, è più complicato di così”. Cerchiamo delle scuse, fondamentalmente, per non fare niente».


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