La TAV della discordia

Di Antinea Pasta – Sabato 12 gennaio il fronte Sì Tav, guidato dalle cosiddette Madamin, le sette imprenditrici favorevoli alle Grandi opere, è tornato in Piazza Castello a Torino per ribadire il sostegno alla linea ad alta velocità tra Francia e Italia. In piazza erano presenti imprenditori, associazioni di categoria, sindacati, società civile e molti amministratori e sindaci non solo piemontesi ma giunti dal Veneto, Lombardia e Liguria.

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Presente anche la politica: i governatori di Piemonte e Liguria, Sergio Chiamparino e Giovanni Toti, il Pd con Maurizio Martina, esponenti di Forza Italia e Fratelli d’Italia, ma soprattutto la Lega. «La Tav va fatta. Se ai Cinque stelle non va bene ci saranno delle modifiche, ma comunque va fatta». Queste sono le parole di Riccardo Molinari, capogruppo del Carroccio alla Camera.

Sì, perché sull’argomento in questi mesi di governo la Lega ha tentato di mantenere un profilo basso per non mettere in difficoltà l’alleato 5 Stelle da sempre contrario alla Torino-Lione, ma adesso è tempo di prendere posizione: le elezioni europee si avvicinano e Salvini non può mostrarsi riottoso nell’affrontare un tema molto caro al suo elettorato.

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Il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli

La famosa analisi costi-benefici sul quale il governo si era cullato fino ad ora è arrivata sul tavolo del ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli e dalle indiscrezioni pare venga confermata la valutazione negativa dell’opera. Una bocciatura, dunque, contenuta nella relazione consegnata dalla commissione, guidata dal professor Marco Ponti, al Governo, definita però ancora una bozza preliminare. E così può prendere ancora tempo il vicepremier Luigi Di Maio: «Aspettiamo il dato ufficiale e poi commenteremo, non si fanno dichiarazioni con i se».

Ma dal momento che né il Movimento 5 Stelle né la Lega possono permettersi di fare marcia indietro dalle rispettive e opposte posizioni, per superare l’empasse la Lega ha già deciso che la parola passerà ai cittadini sposando la proposta del governatore Chiamparino di indire un referendum consultivo.

«Se non c’è una sintesi all’interno del governo decidono gli italiani come è giusto che sia. Nel contratto di governo ci sono i referendum propositivi come in Svizzera, giustamente. Quindi se sulla Tav non c’è un accordo politico; la parola passa agli italiani», ribadisce Salvini, sperando salvare capra e cavoli, caldeggiando il sì ma evitando lo scontro diretto con l’alleato di governo.

Ipotesi quella consultazione popolare che non entusiasma certo i pentastellati, visto che le possibilità di una vittoria del sì alla Tav sembrano essere superiori rispetto a una vittoria del no, ma a cui non possono certo sottrarsi, del resto sono loro i grandi sostenitori della democrazia diretta.

Insomma, tempi duri soprattutto per il Movimento 5 Stelle che dopo l’Ilva e la Tap, rischia di dover cedere su un altro dei suoi principali cavalli di battaglia e a poco servirà nascondersi dietro la famosa analisi costi-benefici.

Il cantiere Tav apre i cancelli ai sindaci della Valle di Susa

Del resto il punto è sempre lo stesso, la realizzazione della Tav è da sempre un’opera controversa basata su posizioni inconciliabili: chi sostiene l’inutilità, i rischi ambientali e gli scarsi benefici che ne deriveranno e chi invece vorrebbe un proseguimento dei lavori, realizzati al 15% (ovvero 25 chilometri scavati sui 162 previsti), perché considera la creazione della tratta transfrontaliera strategica per lo sviluppo del nostro paese e troppo dispendiosa un’interruzione dei lavori.

Probabilmente c’è un aspetto su cui tutti possono essere d’accordo: è giunto il momento in cui si ammetta che al di là di analisi tecniche, referendum e demagogia spalmata su tutti i fronti, la decisione sulla Tav deve rimanere politica e il governo, se del cambiamento vuole essere, dovrebbe assumersene la responsabilità, in un senso o nell’altro.


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