madre di peppino impastato

“Chistu unn’è me figghiu” la poesia che racconta rabbia e dolore per la morte di Peppino Impastato

Il 9 maggio 1978 Peppino Impastato viene assassinato dalla mafia: ancora oggi il dolore e la rabbia di quel momento risuonano nel testo di “la matri di Pippinu”, la poesia a Felicia Impastato scritta da Umberto Santino.


Era il 9 maggio 1978 quando Peppino Impastato fu assassinato da Cosa Nostra. Il suo corpo fu trovato sui binari della ferrovia, posizionato strategicamente per depistare le indagini e far credere che fosse stato ucciso mentre pianificava un attentato. Ipotesi inizialmente accettata dalle forze dell’ordine e i media, si orientarono poi verso l’ipotesi del suicidio. La sua morte passò quasi inosservata all’ombra del rinvenimento, poche ore dopo, del corpo senza vita di Aldo Moro

La matrice mafiosa nel caso venne identificata grazie alla determinazione madre Felicia e del fratello Giovanni, i quali fin dall’inizio rifiutarono le ipotesi secondo cui Peppino Impastato fosse coinvolto in un attacco esplosivo.

Pubblicamente dissociatisi dalla mafia, si dedicarono alla ricerca della verità. Contribuirono anche Umberto Santino, sua moglie Anna Puglisi e i compagni di militanza di Impastato, insieme al Centro Siciliano di Documentazione di Palermo, fondato nel 1977 e intitolato a Giuseppe Impastato nel 1980.

Grazie alla raccolta di prove e alle denunce presentate, l’indagine giudiziaria fu riaperta. Il 9 maggio 1979, il Centro Siciliano di Documentazione, insieme a Democrazia Proletaria, organizzò la prima manifestazione nazionale contro la mafia nella storia d’Italia, alla quale parteciparono 2.000 persone provenienti da tutto il Paese.

rabbia e dolore per la morte di Peppino Impastato

“Chistu unn’è me figghiu” la poesia di Umberto Santino

Nel 1979 Umberto Santino scrisse una poesia dedicata alla morte di Peppino Impastato: “la matri di Pippinu”. Il testo, conosciuto anche come “chistu unn’è me figghiu” nel corso degli anni è stato erroneamente attribuito direttamente a Felicia Impastato, tanto è scritto con sentimento. 

In pochi versi Umberto Santino raccoglie il dolore e la rabbia non solo di tutte le madri che hanno perso i figli per mano mafiosa, ma di un’intera Sicilia madre di coraggio e senso di giustizia. 

Chistu unn’è me figghiu.
Chisti un su li so manu
chista unn’è la so facci.
Sti quattro pizzudda di carni
un li fici iu.
Me figghiu era la vuci
chi gridava ’nta chiazza
eru lu rasolu ammulatu
di li so paroli
era la rabbia
era l’amuri
chi vulia nasciri
chi vulia crisciri.
Chistu era me figghiu
quannu era vivu,
quannu luttava cu tutti:
mafiusi, fascisti,
omini di panza
ca un vannu mancu un suordu
patri senza figghi
lupi senza pietà.
Parru cu iddu vivu
un sacciu parrari
cu li morti.
L’aspettu iornu e notti,
ora si grapi la porta
trasi, m’abbrazza,
lu chiamu, è nna so stanza
chi studìa, ora nesci,
ora torna, la facci
niura come la notti,
ma si ridi è lu suli
chi spunta pi la prima vota,
lu suli picciriddu.
Chistu unn’è me figghiu.
Stu tabbutu chinu
di pizzudda di carni
unn’è di Pippinu.
Cca dintra ci sunnu
tutti li figghi
chi un puottiru nasciri
di n’autra Sicilia.

Traduzione in italiano della poesia

Questo non è mio figlio.
Queste non sono le sue mani
questa non è la sua faccia.
Questi quattro pezzi di carne
non li ho fatti io.
Mio figlio era la voce
che gridava in piazza
era il rasoio affilato
dalle sue parole,
era la rabbia
era l’amore
che voleva nascere
che voleva crescere.
Questo era mio figlio
quando era vivo,
quando lottava con tutti:
mafiosi, fascisti,
uomini d’onore
che non valgono neanche un soldo,
padri senza figli
lupi senza pietà.
Parlo con quello vivo
Non so parlare
con i morti.
L’aspetto giorno e notte,
ora si apre la porta,
entra, mi abbraccia,
lo chiamo, è nella sua stanza
che studia, ora esce,
ora torna, la faccia
nera come la notte
ma se ride è il sole
che spunta per la prima volta,
il sole bambino.
Questo non è mio figlio.
Questa bara piena
di pezzi di carne
non è Peppino.
Qua dentro ci sono
tutti i figli
che non sono potuti nascere
di un’altra Sicilia.

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