Chi è Loujain Al-Hathloul, l’attivista che lotta per i diritti delle donne saudite

Loujain Al-Hathloul, attivista saudita che mira a garantire il diritto alla guida alle donne, è stata finalmente scarcerata. Ma la lotta non è ancora finita.


Dopo mille giorni di prigionia, il 10 febbraio l’attivista per i diritti per le donne saudite, Loujain Al-Hathloul, è stata scarcerata. A diffondere la notizia sono stati i familiari della ragazza, che informano con un semplice tweet le associazioni e gli attivisti che hanno appoggiato la causa di Loujain Al-Hathloul: «Loujain is at home!!!!!!».

Purtroppo, come gli stessi familiari spiegano, Loujain è a casa, ma le è stata concessa la libertà vigilata, dunque dovrà sottostare a una serie di restrizioni, tra cui il divieto di uscire per i prossimi cinque anni dall’Arabia Saudita.

Chi è Loujain Al-Hathloul

Loujain Al-Hathloul, 31 anni, è una delle leader del movimento Women to drive che da più di 20 anni si batte per garantire il diritto di guidare le auto alle donne saudite. L’Arabia Saudita, infatti, è stato l’unico Paese al mondo in cui alle donne veniva proibito di guidare veicoli a motore, fino al 2017. Dopo diverse manifestazioni organizzate dalle attiviste del movimento, che consistevano nel mettersi alla guida tentando di superare il confine dello Stato, il re Salman ha concesso con decreto reale questo diritto. Tuttavia, questa concessione è stata meramente formale, poiché sostanzialmente è stato mantenuto il divieto e le donne colte in flagranza alla guida di un veicolo sono state arrestate fino a giugno del 2018, quando sono state rese note le linee guida per rendere il decreto reale attuabile.

Loujain Al-Hathloul è stata arrestata più volte perché colta alla guida di un veicolo, ma questo non l’ha mai fermata, divenendo ben presto un simbolo di protesta e contro le oppressioni del regno saudita. L’ultimo arresto, dal quale è scaturita la lunga detenzione e il processo, risale a qualche settimana prima della concessione effettiva del diritto alla guida, quando Loujain Al-Hathloul, insieme ad altre attiviste, è stata fermata alla guida di un’auto.

La detenzione e il processo

Dopo il suo arresto, avvenuto nel maggio del 2018, Loujain Al-Hathloul è stata tenuta in isolamento per tre mesi durante i quali è stata torturata; la sua famiglia ha dichiarato che Loujain è stata sottoposta all’elettroshock e ha subito abusi sessuali, violenze corporali e il waterboarding; eppure se lei avesse accettato di nascondere questi abusi sarebbe stata liberata.

Loujain Al-Hathloul, però, ha deciso di non tacere e, secondo i suoi familiari, è proprio per questa ragione che le accuse a suo carico sono state modificate. Dopo essere stata processata al Tribunale penale di Riyadh per aver guidato un veicolo a motore, il caso dell’attivista è stato trasferito alla Corte criminale speciale, che si occupa di terrorismo, con l’accusa di essere in contatto con «organizzazioni di Stati esteri “non amici” del regno» violando la legge antiterrorismo. L’attivista si è difesa sostenendo che le “organizzazioni nemiche” a cui si fa riferimento nelle accuse sono solamente organizzazioni, ONG per i diritti umani e organi di stampa internazionale con cui ha avuto contatti grazie al movimento Women to drive. Inoltre, è stata accusata di aver incitato al cambio di regime e cercato di stravolgere l’ordine pubblico.

Dopo diversi rinvii, il processo si concluso il 28 dicembre 2020, con una condanna a cinque anni e otto mesi di carcere con l’accusa di tentata sovversione dello Stato e danneggiamento della sicurezza nazionale. Il Tribunale ha sospeso due anni e 10 mesi della condanna, il cui inizio è stato retrodatato al giorno dell’arresto: dunque le rimanevano da scontare in carcere altri tre mesi.

L’eco del caso di Loujain

Grazie alla sua famiglia e l’appoggio delle organizzazioni internazionali, il caso di Loujain Al-Hathloul è rimasto continuamente sotto i riflettori nazionali e internazionali, evitando così che la sua detenzione rimanesse nel silenzio come spesso è accaduto (e continua ad accadere) con detenute e detenuti delle carceri in Arabia Saudita. Il governo saudita, in particolare negli ultimi anni, tende maggiormente a nascondere tutte le azioni definibili “non democratiche” che possano far storcere il naso agli alleati, soprattutto al presidente degli Stati Uniti John Biden appena insediato. Inoltre, ciò che preoccupa maggiormente la famiglia reale saudita è che un caso di sovversione al regno si sia trasformato in un caso mediatico internazionale oscurando, di conseguenza, il suo millantato pacchetto di riforme economiche e sociali che porterebbero a quello che è stato definito da Matteo Renzi, durante l’ormai famoso colloquio con il principe bin Salman, come «il Rinascimento dell’Arabia».

Tra le organizzazioni che si sono mosse a livello internazionale per dar voce a Loujain Al-Hathloul e alla sua famiglia vi sono Amnesty International e Human Rights Watch. In particolare, la direttrice per il Medio Oriente e l’Africa del Nord di Amnesty International, Heba Morayef, ha condannato le irregolarità di un processo, esplicitamente iniquo, e le repressioni che gli attivisti e i difensori dei diritti umani continuano a subire in Arabia Saudita, Paese considerato civile solo quando vi sono in ballo accordi economici. Morayef, inoltre, ha affermato: «Loujain è una coraggiosa sostenitrice dei diritti umani, il cui attivismo pacifico insieme a quello di altre sue colleghe ha provocato un profondo cambiamento sociale in Arabia Saudita. Questa condanna, sebbene parzialmente sospesa, mostra ancora una volta la crudeltà delle autorità saudite nei confronti di una delle più coraggiose tra le donne che hanno osato cercare di rendere concreto il loro sogno di un’Arabia Saudita migliore».

Il ritorno di Loujain

Il ritorno a casa di Loujain Al-Hathloul è un sollievo, ma non una vittoria. Altre attiviste sono ancora in carcere con l’accusa di avere intenzione di sovvertire il regno saudita, arrestate insieme a Loujain Al-Hathloul; poco dopo la sospensione della sua condanna, Heba Morayef ha lanciato un appello: «chiediamo […] che siano rilasciate tutte le altre attiviste per i diritti umani ancora in carcere – tra cui Samar Badawi, Nassima al-Sada, Nouf Abdulaziz e Maya’a al-Zahrani – e che siano annullate le accuse nei confronti di tutti e 13 gli imputati arrestati nel 2018 e sotto processo per aver promosso i diritti delle donne».

La famiglia di Loujain Al-Hathloul, dunque, non ha ancora smesso di far sentire la sua voce e, come sottolinea Lina al-Hathloul, sorella di Loujain, «la lotta non è finita».


Disegno in copertina di Carlos Latuff