La Festa dei morti, la Sicilia fra tradizioni e leggende

 

In Sicilia la Festa dei morti assume toni celebrativi: tolti gli abiti dismessi della commemorazione si indossano quelli della festa; qui si intrecciano tradizioni vecchie e nuove, fra leggende e sapori.


Il concetto di festa, associato a quello di morte sembra un ossimoro. Affiancare la gaiezza dei festeggiamenti al lutto forse è l’unico modo in cui in Sicilia riusciamo a esorcizzare il dolore, commemorando chi ci ha lasciato attraverso un momento di gioviale convivialità.

L’importanza delle celebrazioni dei defunti ha origini antiche. Dai greci deriva l’importanza della degna sepoltura, in quanto chi ne veniva privato era destinato a vagare in una zona esterna all’Ade e a essere lentamente dimenticato; timore che si ritrova nell’Odissea di Omero, nel personaggio di Elpenore che prega Ulisse di dargli le giuste esequie. Sempre di matrice greca sono i topos di cabasi, ovvero la discesa dell’anima nell’oltretomba, e la necromanzia, l’evocazione dei morti.

La genesi di alcuni rituali che arricchiscono le nostre tradizioni va ricercata nei culti pagani, come nel caso del “cunsulu siciliano”, cioè il pasto offerto dai vicini di casa a chi ha perso un caro: questo tipo di usanza ci è stata tramandata dai popoli indoeuropei dove si è soliti allestire banchetti funebri.

La festa dei morti ha tradizioni assai remote. Bisogna andare indietro negli anni, anzi nei secoli, fino ad arrivare al X secolo, quando si credeva che i defunti nella notte fra l’1 e il 2 novembre visitassero i cari ancora in vita e portassero doni ai bambini. Ancora oggi, i bambini continuano a ricevere in dono giocattoli e dolciumi, questi ultimi simbolo di una tradizione che resiste alle metamorfosi dei tempi.

Come la frutta martorana, vero e proprio capolavoro in pasta di mandorla dipinta a mano le cui sembianze ricordano pesche, castagne, nespole, arance e tanto altro. E ancora, i taralli, ciambelle ricoperte di glassa zuccherata, i tetù, ovvero i biscotti in pasta frolla ricoperti di glassa al cioccolato con la variante del cioccolato bianco; le reginelle, dette anche inciminati per via dei semi di sesamo (in siciliano cimino) che ricoprono interamente il biscotto.

E ancora, i crozzi i mottu, in siciliano le “ossa del morto”, biscotti che ne riprendono la forma, i pupatelli, i nucatoli, ed altri dolci da forno. Tradizione vuole anche la preparazione del cosiddetto cannistu, un cesto adornato di filamenti colorati che fanno da culla a cioccolatini, caramelle, frutta secca, primizie di stagione e dolciumi, tra cui trionfano i pupi ri zuccaru. Si tratta di statuette di zucchero colorate, un tempo rappresentanti ballerine, spadaccini, o contadine. Ancora oggi in molti prediligono pupi di sembianze umane ma ce ne sono altri che incarnano personaggi di cartoni animati, proprio perché questa tradizione pur di mantenersi viva si mette al passo con i tempi.

La genesi dei pupi ri zuccaru è incerta tra diverse leggende tramandate oralmente, una di queste vede un nobile arabo a cena con i suoi ospiti: il cuoco, conscio delle ristrettezze economiche del suo padrone, si appellò a tutta la sua creatività per elaborare un dolce all’altezza delle aspettative. Prese quel poco che era rimasto in dispensa e creò una statuetta con dello zucchero: fu molto apprezzata dai commensali, tanto che gli venne attribuito il nome di pupaccena (da “pupi a cena”).

Secondo la tradizione, inoltre, la sera antecedente la festa si era soliti nascondere le grattugie presenti in casa perché la leggenda narra che queste venissero usate dai morti per grattare i piedi ai bambini che non si erano comportati bene. È proprio di questo periodo l’allestimento delle fiere dei morti, mercatini tipici che trovano casa in diverse città siciliane e dove è possibile comprare giocattoli ai bambini ma anche i dolci propri del periodo.

La festa dei morti è un volgere, in una data in particolare, di un pensiero a chi ci ha lasciato, tenendone viva la memoria. La nostra sembra una tradizione che non passa e, anzi, tende ad adattarsi: il profumo dei sapori passati si mescola a quelli del presente e la ritualità ci permette di tenere viva la memoria di quelle cose che sono parte della nostra storia.


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