Quando il Palazzo di Vetro si macchia di sangue

I caschi blu dell’Onu, ovunque abbiano attuato missioni di peacekeeping, hanno commesso una serie di crimini contro la popolazione civile, uccidendo migliaia di civili e praticando persino abusi sessuali su donne e bambini, spesso avvicinati con la banale scusa di offrire loro cibo e soldi. Tra le vittime delle forze di pace troviamo i civili di Bosnia, Ucraina, Rwanda, Haiti, Liberia, Kosovo, Somalia, Repubblica del Sudan del Sud, Costa d’Avorio, ecc. Purtroppo, soltanto per pochi casi accertati sono seguiti un processo e una condanna penale dei responsabili.

Una delle ultime missioni di peacekeeping finite sotto inchiesta è l’operazione “Minusca”, (UN Multidimensional Integrated Stabilisation Mission), iniziata il 15 settembre 2014 , con quasi 12.000 unità tra militari, agenti di polizia e personale civile, col compito di riportare l’ordine nella Repubblica Centrafricana,minacciata da disordini interni di stampo politico-religioso dalla fine del 2012.

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(credit: eastonline.eu)

La diffusione della notizia dello stupro commesso su una bambina di soli 12 anni, violentata durante un’operazione affidata ai peacekeeper inviati dal Rwanda e dal Camerun, ha portato alla scoperta di tanti altri casi di violenza sessuale su minori. Dopo l’accertamento di questo episodio, le Nazioni Unite sono intervenute rimuovendo il capo della Minusca e disponendo il rimpatrio di numerosi militari.

Ad essere accusati di violenze sessuali sono stati anche i militari francesi, che si trovano nel territorio per l’operazione Sangaris (su mandato ONU) dal dicembre 2013: la Francia decise di schierare un contingente numeroso, rivelatosi poi del tutto inadeguato ad affrontare le situazioni di emergenza in cui si trova il Paese.

Vista l’imbarazzante situazione dovuta alle accuse mosse ai suoi militari, pochi giorni fa il ministro della Difesa francese Jean-Yves Le Drian, in visita a Bangui, ha dichiarato conclusa la missione francese e che il ritiro delle truppe inizierà quest’anno.

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Un militare francese impiegato nella missione Sangaris (credit: news.yahoo.com)

Sono 69 i casi di violenza sessuale accertati nel 2015, e a luglio di quello stesso anno, l’italiana Flavia Pansieri, vicecommissario Onu per i diritti umani, ha rassegnato le sue dimissioni dall’incarico ammettendo di aver sottovalutato la questione degli abusi su minori di cui sono accusati i soldati della missione francese. Per mesi, quindi, gli alti funzionari per i diritti umani delle Nazioni Unite sono stati a conoscenza delle accuse di abusi sessuali su minori, ma non hanno approfondito il caso perché presumevano che la competenza dovesse essere delle autorità francesi, nonostante la Francia avesse chiesto con insistenza alle Nazioni Unite ulteriori informazioni sul caso.

Un procedimento in materia era stato aperto a Parigi solo a fine aprile quando era trapelato sulla stampa il contenuto di un rapporto consegnato ai giudici francesi da un altro funzionario Onu, Anders Kompass che aveva rischiato per questo di perdere il suo incarico.

In questa occasione, per la prima volta l’Onu denuncia i Paesi di origine dei caschi blu finiti sotto accusa. Nel suo rapporto, il Segretario Generale Ban ki-moon chiede di creare corti marziali sul posto per giudicare i responsabili e raccogliere campioni di Dna di tutti i peacekeepers per avere una banca dati.

La svolta contro questi crimini, è arrivata l’ 11 marzo 2016 con l’approvazione da parte del Consiglio di Sicurezza della Risoluzione n. 2272, con la quale si dispone nero su bianco la proposta fatta già da Ban Ki-moon, ovvero il rimpatrio di tutte le unità di caschi blu di cui fanno parte i militari accusati di violenze e abusi sessuali. Essa rappresenta la chiara risposta ai fatti avvenuti nella Repubblica Centrafricana, sottolineando che lo sfruttamento sessuale e gli abusi commessi dai caschi blu minano l’attuazione dei mandati di mantenimento della pace ma anche la credibilità del lavoro compiuto dalle Nazioni Unite.

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Il Palazzo di Vetro, sede centrale delle Nazioni Unite (credit: ispionline.it)

Gli Stati hanno ribadito il sostegno alla politica di tolleranza zero delle Nazioni Unite a tutte le forme di sfruttamento e abusi sessuali e su comune accordo affermano che la responsabilità di indagini e processi spettano ai Paesi di origine dei caschi blu. La risoluzione sollecita tutti i paesi contributori di truppe a prendere le misure necessarie per condurre indagini su accuse di sfruttamento sessuale e di abusi da parte del proprio personale, di concludere tali indagini il più rapidamente possibile e di riferire alle Nazioni Unite pienamente e tempestivamente sulle azioni intraprese .

Una volta segnalate le accuse, saranno presi provvedimenti provvisori, come la sospensione dalle missioni delle persone coinvolte nei reati. Inoltre, si chiede al Segretario Generale di sostituire le forze di pace dei paesi che apportano militari se questi non agiscono davanti a denunce di violazioni ed altri delitti da parte degli uomini impiegati nel territorio.

Tra le misure da applicare, accolte favorevolmente dal Consiglio di Sicurezza, la proposta del Segretario Generale di trattenere gli stipendi di coloro che hanno commesso violenze, per poi trasferirli al fondo fiduciario. Ban Ki-moon ha nominato un rappresentante speciale, Jane Holl Lute , che avrà l’arduo compito di coordinare la reazione delle Nazioni Unite alle accuse di sfruttamento e abuso sessuale.

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Il Segretario Generale Ban Ki-moon con Jane Holl Lute, Deputy Secretary for Homeland Security of the United States of America (credit: un.org)

Gli Stati che hanno votato a favore della Risoluzione 2272 sono stati Francia, Giappone, Malesia, Nuova Zelanda, Spagna, Ucraina, Regno Unito, Stati Uniti, Uruguay, Angola, Cina, Federazione russa, Venezuela, Senegal, mentre l’Egitto si è astenuto dal voto. Prima dell’adozione della risoluzione, il Consiglio ha respinto l’emendamento proposto dall’Egitto che prevedeva la sostituzione di un soggetto contingente a tre condizioni: l’esame delle denunce; la punizione dei colpevoli; e l’informare il Segretario Generale delle azioni intraprese contro i trasgressori. Questo emendamento era stato approvato da 5 Stati, ma secondo l’ambasciatore degli Stati Uniti all’Onu, esso avrebbe potuto compromettere la finalità della risoluzione, che era quello di cambiare un sistema che non funzionava. È la prima volta che il Consiglio di Sicurezza affronta il problema delle violenze sessuali compiute dal personale impegnato in missioni di pace.

Ha usato parole come «orrore» e «vergogna» il Segretario Generale dell’Onu, sentimenti espressi per il semplice fatto che i peacekeeper, che dovrebbero essere al servizio della pace, abbiano invece sfruttato la vulnerabilità delle persone in zone distrutte dalla miseria e dalla guerra civile.

Francesca Rao


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