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Brandon Lee, il suo ricordo sarà «per sempre»

Tanti anni sono passati da quel maledetto mercoledì di marzo in cui, durante le riprese del film cult Il Corvo – tratto dall’omonimo fumetto di James O’BarrBrandon Lee, primogenito della leggenda delle arti marziali Bruce Lee, perse la vita. La vicenda ancora oggi rimane avvolta in un alone di mistero, nonostante le sentenze e le dichiarazioni ufficiali abbiano dimostrato si sia trattato di un incidente.

Brandon Bruce Lee nasce ad Oakland il primo febbraio 1965 e trascorre la sua infanzia tra Los Angeles ed Hong Kong; nel 1973, a seguito della morte del padre, si trasferisce, insieme alla madre e alla sorella, prima a Seattle poi a Los Angeles. Qui frequenta la Chadwik School, dalla quale viene espulso per insubordinazione tre mesi prima del diploma; diploma che conseguirà, qualche tempo dopo, alla Miralesti High School.

Il giovane Brandon Lee, che sin da piccolo nutre un forte interesse per la recitazione, nel 1983 si sposta a Boston per studiare recitazione all’Emerson College; nel contempo, per tenere vivo il ricordo del padre, studia Jeet Kune Do alla Inosanto Academy of Martial Arts a Marina del Rey. Qui viene seguito da due prestigiosi allievi del padre Bruce: Dan Inosanto e Ted Wong.

Nel 1985 ottiene una piccola parte nel film Crime Killer di George Pan Andreas e l’anno successivo un ruolo in La legge del Kung Fu, film TV di Richard Lang; inoltre, quello stesso anno, ricopre le vesti di protagonista in Legacy of Rage di Ronny Yu: il giovane Lee corona così il suo sogno. Nel 1991 arriva il debutto in Showdown in Little Tokyo, pellicola americana.

La tragedia si abbatte sul giovane Brandon Lee

Era il trentuno di marzo del 1993 quando a Los Angeles, negli studi di Wilmington in Nord Carolina, venne battuto il ciak fatale. La scena quel pomeriggio seguì perfettamente il copione: Michael Massee, l’attore che impersonava Funboy, dopo aver mirato al torace di Brandon, sparò; una volta caduto per terra, Lee, nel ruolo di Eric Draven, avrebbe dovuto azionare il dispositivo che portava sotto la camicia per simulare il sanguinamento. Qualcosa però andò storto. 

Nessuno capì immediatamente che i lamenti di Lee non avevano più a che fare con la finzione. Alex Proyas, regista del film, raccontò di essere rimasto colpito dal fatto che quella scena fosse riuscita alla perfezione: «Lo vidi crollare a terra, con un lamento, il foro del proiettile mi parve perfettamente simulato e il sangue era forse fin troppo abbondante, ma nel complesso la scena era riuscita a meraviglia e dopo aver gridato “stop” dissi che ne avremmo girata un’altra, più che altro per sicurezza».

La realtà delle cose fu chiara solamente dopo qualche minuto, quando tutti si mossero per ripetere la scena da girare; tutti eccetto Brandon, che rimase lì per terra immobile. Seguì un’inutile corsa in ospedale. Ad uccidere Lee fu l’ogiva di una pallottola rimasta dentro il tamburo della calibro 44 impiegata quello stesso giorno in una delle sequenze precedenti. Di lì a breve il caso fu archiviato come morte accidentale: non vennero identificati diretti responsabili in quanto l’imputabilità dell’accaduto fu attribuita alla negligenza generale della troupe.

La scena inclusa nel film

Ovviamente la scena che vediamo nel film, non è quella originale. Si dice che la pellicola con quella scena fu distrutta o data alla polizia per le indagini. La scena, che vede Eric Draven colpito prima con un coltello e poi ucciso da due colpi di pistola, è stata completata senza Brandon Lee, del quale venne adottata l’elaborazione digitale per ricostruire la sua faccia sulla sua controfigura.

Allora non stupì che in un set cinematografico ci fossero delle pistole vere; ciò del resto non sorprende neanche adesso: in un film in cui è previsto un conflitto a fuoco è quasi scontato sia così. L’unica sottile differenza è che, al posto di proiettili veri, di norma vengono impiegati quelli detti in gergo dummies, proiettili finti.

Vi sono tuttavia delle scene che ammettono l’uso di pallottole autentiche, ad esempio quelle che non prevedono il confronto diretto tra attori, alle quali si fa ricorso per rendere la finzione scenica il più possibile vicina alla realtà: ecco così giustificata la presenza di quel frammento di pallottola dentro l’arma che tolse la vita a Lee e la conseguente facile archiviazione del caso come accidentally killing.

Teorie stravaganti sulla morte

Le circostanze poco chiare riguardo la morte di Bruce e Brandon Lee hanno spinto i loro fans a creare svariate, e talvolta fantasiose, ipotesi sul coinvolgimento della Triade, organizzazione cinese di stampo mafioso. I possibili coinvolgimenti di Lee con quest’ultima sono molteplici: alcuni sostengono che fu lo stesso Bruce a chiedere sostegno alla Triade per il futuro cinematografico del piccolo Brandon.

Altri collegano la presenza della Triade nella vita dei Lee come conseguenza di una rissa in cui Brandon, appena diciottenne, avrebbe picchiato il figlio di uno dei membri dell’organizzazione cinese; altri ipotizzano l’interesse della Triade a gestire e “proteggere” le carriere dei due attori; fino a teorizzare a danno di Bruce Lee una maledizione per aver svelato al mondo occidentale i “segreti nascosti” delle arti marziali che per i puristi della disciplina non dovevano essere esportati.

Quest’ultima sembra essere la teoria più diffusa tra i fan per via del ruolo, ai tempi rilevante, che la Triade occupava nel mercato del cinema. Ed ancora oggi, sebbene le circostanze in cui persero la vita padre e figlio siano state chiarite, i fan non accettano che sia stato il destino a volere la morte di entrambi intorno ai trent’anni.

Ciò che è certo è che alla fine Brandon Lee, una volta terminate le riprese, avrebbe dovuto sposare Eliza Hutton – presente quel giorno sul set come assistente di produzione. Venne invece sepolto a Seattle all’interno del cimitero di Lake View, vicino alla tomba del padre, anche lui scomparso misteriosamente mentre girava un film. Brandon, nonostante tutto, continua a vivere nei ricordi di diverse generazioni che hanno amato Il Corvo, reso forse ancor più celebre da quel suo incontro col destino.


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