Soumayla Sacko, la morte si colora di nero

Di Martina Costa – Nella notte del 3 giugno, quattro spari rompono il silenzio di San Calogero, in Calabria: Soumayla Sacko viene colpito alla testa da un proiettile che lo lascia senza vita.

Soumayla, era un giovane ventinovenne, proveniente dal Mali e residente in Italia dal 2010. Lavorava come bracciante nelle campagne calabresi, da tanti stimato ed apprezzato per il suo lavoro nel sociale. Attivista sindacale, si batteva in difesa dei diritti dei braccianti agricoli, sfruttati nel mondo del caporalato.

Cosa in questa vicenda dovrebbe sconvolgerci di più? Il fatto che sia un maliano, che sia un bracciante nero, che fosse un sindacalista, o che sia stato ucciso come una bestia nella nostra civilissima terra?

Nella notte del 3 giugno Soumayla è stato ucciso da un proiettile, arrivato da una distanza di circa sessanta metri. Insieme a due suoi connazionali, stavano raccogliendo delle lamiere in un vecchio stabilimento abbandonato nella zona dell’ex fornace, a San Calogero, a pochi chilometri dal loro accampamento. Le lamiere, resistenti al fuoco che spesso divampa nei campi, servivano proprio per sistemare le baracche dei suoi compagni appena arrivati alla tendopoli.

Non sono ancora chiare le ragioni della sparatoria. Al momento un solo indagato, un 43enne calabrese, la cui identità rimane riservata. Gli inquirenti ipotizzano un omicidio legato alla criminalità organizzata. La fabbrica, in cui Soumayla e i compagni si erano recati per recuperare le lamiere, sarebbe sotto sequestro ormai da dieci anni, per cui nessuno potrebbe denunciare il furto del materiale abbandonato.

Sebbene al momento il movente razziale sia stato escluso, il fatto di cronaca mette in evidente risalto le condizioni a cui Soumayla, i suoi compagni e in generale numerosi migranti residenti nel nostro Paese, sono sottoposti: abitazioni fatiscenti, scarse condizioni igieniche, condizioni di vita che a ben guardare poco hanno a che fare con condizioni di vita dignitose, lavoro sottopagato nei campi, assenza di qualsiasi assicurazione, nella logica del caporalato e della ‘ndrangheta.

E sì caro Soumayla, per te «la pacchia» è veramente finita.

Soumayla viveva nella nuova tendopoli, ma questo non gli impediva di prestare aiuto a chi ne aveva bisogno. Impegnato in prima linea, lottava per più diritti e garanzie, in difesa dei migranti sfruttati dalle mafie agricole locali.

Mentre alla Camera, il Premier Conte ricorda Soumayla, resta ancora silente il nuovo ministro dell’Interno, Matteo Salvini, che proprio in Calabria è stato eletto senatore alle scorse elezioni. La campagna di odio portata avanti attraverso slogan facili e veloci ha evidentemente dato i suoi frutti. 

Perché in fondo si sa, i neri ci rubano il lavoro, campano sulle nostre spalle, e in fondo in fondo, uno in più uno in meno… I neri ci rubano il lavoro, e sono così distratti che si fanno pure ammazzare. Ah questi neri! Non sanno proprio rispettare la cultura e la terra che dà loro asilo. Pensano di venire qui a fare lotte sociali perché vengono sfruttati, sottopagati, sottoposti a sevizie e ingiustizie.

844e3b2815ad219fb191e2287b405c73_LDiverse le proteste e i movimenti in ricordo di Soumayla per dare un senso alle sue lotte, vigore alla sua storia, giustizia alla sua morte. Verità e giustizia per Soumayla vuol dire portare la luce sullo sfruttamento, sul caporalato, sulle condizioni di vita fatiscenti e sulle scarse condizioni igieniche in cui sono costretti a vivere i migranti. “Verità e giustizia per Soumayla” vuol dire ricordarsi dei morti e lottare per i vivi, dei tanti, migliaia, che ancora oggi sono soggetti a gravi violazioni dei diritti umani.