Lo sfruttamento minorile: il paradosso delle nuove potenze economiche

 

Il fenomeno del lavoro minorile è concentrato soprattutto nelle aree più povere del pianeta, in quanto contribuisce al sostentamento familiare. Da sempre l’UNICEF combatte la piaga del lavoro dei minori, considerando la natura complessa del fenomeno e delle condizioni concrete in cui versa l’infanzia sfruttata

A tal proposito, il Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia fa una distinzione tra due forme di sfruttamento minorile: child labour e children’s work. La prima è riferibile ad uno sfruttamento economico in condizioni nocive per il benessere psico-fisico del bambino. Nella seconda tipologia, invece, è presente un’attività economica più leggera che non pregiudica l’istruzione e la salute del minore.

Sebbene siano i Paesi dell’Africa Subsahariana a detenere il record dello sfruttamento minorile, con il 28 per cento di baby lavoratori sul totale dei bambini di età compresa tra i cinque e i quattordici anni, l’India resta uno dei Paesi dove questo problema è maggiormente avvertito.

Nonostante il governo abbia cercato, negli anni, di arginare il fenomeno, in India sono circa 10 milioni i bambini, di età compresa tra i cinque e i quattordici anni, che svolgono lavori massacranti. Di questi, 8 milioni vivono nelle aree rurali, mentre 2 milioni risiedono nelle grandi città del Paese.

Secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, più della metà è impiegato nel settore agricolo e oltre un quarto in quello industriale. Secondo i dati forniti dall’associazione di Satyarthi, impegnata da anni nella lotta contro il lavoro minorile, i bambini esposti al rischio di essere sfruttati, sia per le condizioni economiche che per l’analfabetismo, sono più di trenta milioni.

Secondo quanto affermato dalla BBA (Bachelor Business Administration), sarebbero migliaia i baby lavoratori costretti a trascorrere ore nelle miniere, nelle fabbriche di mattoni e di bracciali. In queste fabbriche sono proprio i più piccoli a essere selezionati, risultando più abili e veloci nell’incollare le piccole pietre sui monili tanto amati dai turisti.

Povertà, analfabetismo, mancanza di informazione sono alcune tra le cause dello sfruttamento. Le conseguenze per la salute sono molteplici, considerando la pericolosità dei lavori e l’utilizzo di sostanze nocive.

Molti dossier sottolineano trattamenti inumani, paghe misere e abusi sessuali. Le vittime di tutto ciò sono soprattutto i rifugiati, provenienti dalla Siria. Basti pensare che centinaia di migliaia di siriani lavorano illegalmente in Turchia, dati che emergono da un reportage di BHRRC (Business & Human Rights Resource Centre).

H&M e Next sono le uniche aziende ad aver certificato pubblicamente l’uso di minori rifugiati. Ciò che emerge dal quotidiano britannico Independent, è che proprio in Turchia, Cina, Cambogia e Bangladesh si trovano i principali centri di produzione tessile per le grandi catene internazionali. Inoltre, i fornitori turchi producono anche per Burberry, Adidas, Marks & Spencer, Topshop e Asos.

Il reclutamento dei bambini è in aumento dall’inizio del conflitto in Siria, poiché per i rifugiati in Turchia, il misero salario di un centinaio di euro è l’unico mezzo di sostentamento possibile.


 

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