La vita di Benazir Bhutto tra partenze e ritorni per amore del Pakistan

Benazir Bhutto nacque a Karachi, in Pakistan, il 21 giugno 1953. La politica le scorre nelle vene: suo padre fu Presidente e primo Ministro del Pakistan, e il nonno paterno fu uno dei principali esponenti del movimento indipendentista pakistano.

Dopo la laurea in scienze politiche conseguita ad Harvard, proseguì gli studi ad Oxford, dove strinse amicizia con l’attuale premier britannica Theresa May. Ritornata in patria, affiancò il padre nell’attività di Premier. In questi anni Benazir visse i drammatici eventi che si susseguirono all’interno del Pakistan, infatti, dopo avere stretto una buona amicizia con gli Stati Uniti guidati dal Presidente John Kennedy e riscosso un grande successo popolare per le sue politiche di matrice socialista, il padre di Benazir venne deposto dalla carica politica in seguito a un colpo di stato militare.

Il 1979 fu un anno triste per la sua famiglia: il padre venne giustiziato dopo esser stato condannato a morte e lei stessa venne costretta agli arresti domiciliari. Dopo aver avuto il permesso dal regime dittatoriale pakistano, ritornò nel Regno Unito per impegnarsi in politica con il Partito del Popolo Pakistano (PPP) che operava al di fuori dei confini nazionali. Dopo la morte del generale pakistano che guidò il colpo di Stato, il 16 novembre 1988 si tennero le elezioni in Pakistan che decretarono la vittoria del PPP con la maggioranza relativa dei voti presso l’Assemblea Nazionale.

Benazir entrò in carica come Primo Ministro il 2 dicembre, diventando, a trentacinque anni, la persona più giovane ma anche la prima donna a ricoprire l’incarico in un paese musulmano contemporaneo. Fu destituita nel 1990 dall’allora presidente della Repubblica dietro accuse di corruzione e, nello stesso anno il PPP perse le elezioni.

Restò a capo dell’opposizione al governo fino al 1993, quando una nuova consultazione decretò la vittoria del suo partito e l’inizio del suo secondo mandato da Premier. Tale mandato fu nuovamente segnato da accuse di corruzione, rivolte anche al marito, e che condussero a una seconda destituzione nel 1996. Dopo questa data e fino alla modifica della Costituzione  avvenuta nel 2002, la Bhutto non poté ricandidarsi, essendo esclusa per legge la possibilità di un terzo mandato.

Dal 1999 visse in esilio volontario tra Dubai e Londra per 8 anni.

Il 18 ottobre 2007, dopo aver raggiunto un accordo col capo del governo e dell’esercito Pervez Musharraf per la spartizione del potere (voluto da Washington), rientrò in Pakistan per partecipare alle elezioni. Mentre si dirigeva nel luogo del suo comizio pre-elettorale, due forti esplosioni colpirono il suo corteo, uccidendo quasi 140 persone, molte delle quali del servizio d’ordine del PPP, che avevano fatto una sorta di catena umana intorno a lei per proteggerla. Il 27 dicembre, subito dopo aver concluso l’ultimo comizio a Rawalpindi, mentre stava salutando le decine di migliaia di suoi sostenitori sporgendosi dal tettuccio di una jeep bianca blindata, fu raggiunta da diversi colpi d’arma da fuoco. Poi un attentatore suicida si fece esplodere a fianco della sua auto. Trasportata d’urgenza in ospedale, morì poco tempo dopo.

L’ icona anti-islamista e filo-americana aveva spesso preso posizione contro il fondamentalismo religioso. Un’indagine delle Nazioni Unite, voluta dal marito e conclusasi nel 2010, ha confermato che le misure di sicurezza predisposte dal governo erano gravemente insufficienti e che la cosa era probabilmente voluta.

La famiglia Bhutto e il PPP mantengono la posizione che sia stata uccisa da esponenti delle famiglie talebane che vivono in Pakistan, mentre il figlio di Benazir ha detto che la responsabilità dell’omicidio è del regime di Musharraf.

Nel 2013 una corte pakistana ha incriminato Musharraf per l’assassinio della Bhutto. Egli oggi vive a Dubai ed il processo ancora non si è chiuso.

Fonti pakistane sostengono che ad uccidere la leader del PPP in realtà sia stato Asif Ali Zardari, il marito, megalomane ossessionato dal potere. Soprannominato “mister 10%” per via della quota che richiedeva per gestire gli appalti pubblici durante il governo della moglie, e con alle spalle diverse indagini e condanne per corruzione, venne eletto Presidente con una grande maggioranza nel 2008, ed accusato di  aver sfruttato l’immagine della moglie per raggiungere il suo scopo.

Poco prima di essere uccisa, la Bhutto aveva parlato dei rischi che sapeva di correre:“Metto la mia vita in pericolo e sono qui perché credo che questo Paese sia in pericolo”. Parole che suonano come un testamento e che preannunciavano la fine del sogno di tornare alla guida del suo complicato Paese. Probabilmente non avrà mai giustizia e nessuno ci dirà chi ci sia realmente dietro la sua uccisione. Una cosa è certa: il suo Pakistan non la dimenticherà mai.

Francesca Rao