Yemen, un paese stremato dalla guerra

Da due anni lo Yemen è attaccato dall’interno da una delle peggiori crisi umanitarie di sempre, a causa di una guerra civile che dura tuttora dal 2015: 20 milioni di persone – il 77% della popolazione – hanno urgente bisogno di aiuto. La maggior parte dei morti e dei feriti si sono registrati nelle zone di Taiz, Sanaa, Saada, Aden e Hajjah, dove i sanguinari raid della coalizione guidata dall’Arabia Saudita sono stati più pesanti.

Lo Yemen – che è il più povero della penisola arabica – è anche minacciato da un grave rischio di carestia. Circa 7,3 milioni di yemeniti hanno bisogno di un aiuto alimentare. I gruppi estremisti islamici hanno trovato terreno fertile: Isis e Aqap (Al-Qaeda nella Penisola Arabica) lasciano la loro scia di sangue e terrore in quella che ormai è diventata terra di nessuno.

Un mese fa il cimitero cattolico della città portuale di Aden è stato profanato: secondo la testimonianza di Monsignore Paul Hinder raccolta dall’agenzia cattolica Asia News, «durante la notte gli assalitori hanno danneggiato le croci e divelto alcune tombe tra cui quelle delle quattro suore di Madre Teresa trucidate proprio ad Aden insieme ad altre 12 persone il 4 marzo del 2016. In quell’occasione solo una delle religiose presenti riuscì a fuggire nascondendosi dietro una porta mentre le sue consorelle, dopo essere state trascinate nel cortile e legate ad un albero, venivano eliminate con un colpo alla testa da militanti islamisti».

Drammaticamente, ancora, dall’inizio della guerra civile sono stati documentati 300 casi di vendita di organi in Egitto. Secondo una ONG yemenita contro il traffico di esseri umani, gli organi più venduti includono reni, fegato e cornee ed il prezzo pagato al donatore varia: un rene potrebbe valere da 6mila ai 10mila dollari, ma tutto dipende dalla capacità di negoziazione del broker. Le reti del commercio operano anonimamente, attraverso broker che reclutano donatori in bar e coffee shop facendo leva sulla loro condizione economica e sulla svolta che invece potrebbe dare il compenso nella loro vita. I pazienti firmano un contratto in cui i (falsi) medici si liberano da ogni responsabilità riguardanti le conseguenze. Insomma, se stai male o muori, sono solo affari tuoi.

È un popolo, quello yemenita, costretto a dare via ogni parte di sé per sopravvivere a una speranza bruciata. Dallo scorso marzo ad oggi il conflitto in Yemen ha provocato l’annientamento dell’individuo, pezzo a pezzo, compreso il suo futuro: oltre 1,8 milioni di piccoli sotto i 5 anni soffrono di malnutrizione acuta, tra questi 385.000 sono ormai in pericolo di vita e 8 milioni non hanno accesso a cure mediche e acqua potabile.

Secondo un rapporto dell’organizzazione umanitaria americana Human Right Watch, negli ultimi tre mesi sono stati registrati cinque bombardamenti dell’aviazione di Riyad – capitale dell’Arabia Saudita – su obiettivi civili che hanno ucciso 26 bambini, il più grave ha colpito una casa facendo una strage di 14 componenti di un’intera famiglia.

Dallo scorso marzo ad oggi il conflitto in Yemen ha provocato la morte ed il ferimento di sei bambini al giorno, ogni giorno. Ad affermarlo è il rapporto di Unicef “Children on the Brink” che cita più di 1.500 violazioni subite nel paese che hanno come vittime i bambini. Il rapporto denuncia anche che nell’ultimo anno, almeno 63 strutture sanitarie sono state oggetto di bombardamenti o attacchi. Il più drammatico dei commenti è quello di Julien Harneis, rappresentante di Unicef Yemen: «I bambini non sono al sicuro da nessuna parte qui. Anche dormire, giocare, è diventato pericoloso».

Allora dopo una constatazione così, che fa accapponare la pelle, ci si chiede, automaticamente, perché tutto ciò non sia mediaticamente il fulcro di un’emergenza che urla all’umanità. Ed il 10 dicembre, Giornata mondiale dei diritti umani, sembra un giorno come un altro in cui ci si chiede perché si trovi ancora la dicitura “guerra in corso” in qualche parte del mondo. Una guerra civile così assordante da rendere tutti muti. 

Gaia Garofalo

 

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