Armi italiane all’Egitto: stop vendite a chi viola i diritti umani

Le forniture e gli accordi attuali armano un regime che viola i diritti umani e si pongono in contrasto con la legge 185 del 1990.


L’Italia: terra di santi, poeti e navigatori. Patria di chi condona, perdona e dimentica, di chi nasconde la polvere sotto il tappeto sperando che non si alzi il vento. Metaforicamente, la polvere di cui si parla potrebbe essere quella da sparo degli armamenti predisposti per la vendita – da parte dell’Italia – e destinati all’Egitto. Una decisione che si è, prevedibilmente, scontrata con il disappunto espresso dall’opinione pubblica e da alcune organizzazioni del settore: Rete Italiana per il Disarmo e Rete della Pace.

La transazione con Il Cairo è parte di una commessa ingente il cui valore oscilla tra i 9 e gli 11 miliardi di dollari per l’approvvigionamento di forniture militari – a detta di molti analisti, uno dei contratti più ricchi in questo settore dal secondo dopoguerra – e si iscrive nella cornice di un rapporto di lunga data con il governo italiano.

Nello specifico, l’Italia ha dato il via libera per la concessione di due fregate FREMM (Fregate Europee Multi-Missione) destinate alla Marina Militare nostrana. La Spartaco Schergat e la Emilio Bianchi sono solo due delle quattro fregate previste dalla commessa italo-egiziana, oltre a venti pattugliatori polivalenti d’altura (PPA) di Fincantieri, 24 caccia Eurofighter Typhoon e 20 velivoli da addestramento M346 della Leonardo Company. Strumenti di precisione per cui sono previste differenti configurazioni di sistemi di combattimento: da una versione leggera, relativa al pattugliamento, fino a una completa, equipaggiata con il massimo della capacità di difesa.

Non è certo una novità che il paese – formalmente una repubblica – guidato da al-Sisi sia uno dei migliori clienti dell’industria bellica italiana, con un volume d’affari pari a 871 milioni di euro registrato nell’arco del 2019. Inoltre, per quanto riguarda la concessione di licenze che comportano acquisti di armamenti italiani negli anni a venire, Il Cairo si trova tra i dieci partners cui è stato rilasciato il maggior numero di autorizzazioni. 

Le forniture e gli accordi attuali, così come quelli passati e quelli previsti per l’immediato futuro, non solo armano un regime riconosciuto come autoritario, fortemente instabile, che viola apertamente i diritti umani, ma si pongono in contrasto con la legge 185 del 1990, che regola i movimenti dei materiali di armamento sul suolo italiano, secondo cui «l’esportazione, il transito, il trasferimento intracomunitario e l’intermediazione di materiali di armamento sono altresì vietati verso i Paesi i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani, accertate dai competenti organi delle Nazioni Unite, dell’UE o del Consiglio d’Europa».

Sembra, quindi, che Roma abbia chiuso un occhio sui casi che hanno coinvolto il ricercatore italiano Giulio Regeni e lo studente e attivista egiziano Patrick George Zaki, dimenticando la scarsa collaborazione e i crimini di cui tutt’ora Il Cairo si rende responsabile, tra cui si annoverano la detenzione arbitraria e la tortura.

Cosa dire poi del ruolo che l’esecutivo egiziano gioca nel conflitto libico? La Libia costituisce un’area geopoliticamente rilevante per il regime di al-Sisi, in particolare per ciò che riguarda la gestione dei flussi migratori. Sostenendo economicamente e militarmente il regime del generale Khalifa Haftar, Il Cairo si sta rendendo complice dei continui attacchi e delle operazioni militari condotti nel sud della capitale Tripoli, così come in altre regioni libiche. 

Inoltre, data la vicinanza geografica e culturale, le pretese avanzate sul Nord Africa e gli interessi che la posizione egiziana mira a difendere, esiste il forte sospetto che l’Egitto abbia violato più e più volte l’embargo ONU imposto a partire dal 2011 sulle armi in Libia. Questa condizione, riprendendo la legge 185/1990, si porrebbe in forte contrasto con l’articolo 6 sopracitato, rendendo la posizione dell’esecutivo italiano ancor meno chiara e legittima. 

Pur risultando ancora difficile l’aggregazione di grandi masse negli spazi pubblici, la reazione della società civile non si è fatta attendere. Amnesty International Italia – in collaborazione con Rete della Pace e Rete Italiana per il Disarmo – ha dato il via ad un flashmob online, lanciato dall’hashtag #StopArmiEgitto. Ciò che si chiede è di manifestare il proprio dissenso attraverso la condivisione di foto, video e infografiche accompagnate dallo slogan della campagna per far sì che si giunga ad un dibattito aperto e chiaro in Parlamento.

La stessa organizzazione definisce l’accordo un “contratto armato” e, attraverso lo strumento di pressione sull’esecutivo, mira a interrompere non solo le forniture attuali ma qualsiasi altra forma di compravendita che possa impegnare i governi futuri.

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