I limiti economici dell’Ue: la divergenza di sviluppo territoriale

Di Ugo Lombardo – Quando il progetto dell’Unione europea fu ideato, la consapevolezza del grande divario economico e sociale tra le varie zone dell’Unione era presente. Per questo motivo, lo scopo dell’Unione Europea era quello di promuovere, al proprio interno, l’armonizzazione tra queste aree attraverso una vera e propria politica di coesione economica e sociale. Il Trattato di Roma è stato il primo step che ha messo in risalto, sebbene solo per le aree rurali ed agricole, questa disparità all’interno di quella che allora si chiamava Comunità Economica Europea.

Ciò che in realtà rende difficile il raggiungimento di tale obiettivo, però, è da sempre la discrasia tra gli obiettivi dichiarati dell’Unione e gli strumenti (correttivi e compensativi), posti in essere per raggiungerli. Inizialmente, fu attuato un approccio di tipo “attendista” con il quale si pensava che il processo di convergenza potesse avvenire automaticamente. Infatti, secondo tale approccio si riteneva che solo, attraverso l’eliminazione degli ostacoli alla libera circolazione si sarebbe riprodotto un naturale allineamento dei livelli di benessere nella comunità raggiungendo quello che è da sempre stato il fine ultimo dell’Unione, cioè la totale integrazione.

In realtà tale approccio, di matrice neoclassica, si dimostrò fallimentare e il processo di convergenza invece che avviarsi è stato sostituito sempre più dal cosiddetto effetto “deriva” o divergenza definita come una crescita del divario delle aree con andamenti inferiori rispetto alla media europea. Si raggiunse, così, una nuova consapevolezza considerando, presupposto dell’integrazione europea, il processo di convergenza europeo. Così facendo, l’approccio di tipo attendista fu abbandonato a favore di quello denominato “costruttivista”, tramite la politica di coesione economica e sociale. Infatti, mentre con l’Atto Unico fu aperta la strada al completamento del mercato comune, attraverso la libera circolazione dei capitali, con la politica di coesione economica e sociale, invece, si sono gettate le basi per una vera e propria politica regionale europea. Infatti, cominciarono ad essere avviati programmi d’investimento al fine di eliminare, nel lungo periodo, le cause strutturali di arretratezza delle aree più povere della comunità.

Lo strumento primario di tale politica è rappresentato dai cosiddetti fondi strutturali. Tutto ciò, però, richiede investimenti costanti che a causa dell’aggravarsi del deficit di capitale umano ed infrastrutturale nelle aree più in difficoltà dell’Europa, ha impedito l’erogazione di tali risorse impiegate, più per fronteggiare gli shock interni ed esterni che per migliorare le capacità economiche e sociali dei singoli paesi membri. Come conseguenza tali paesi, si sono ritrovati nell’incapacità di controllare tali esternalità negative.

Nonostante la consapevolezza di tali divergenze e i tentativi di eliminarle, è in realtà il paradigma su cui si è fondata l’Unione Economica e Monetaria europea (UEM) che ha impedito ed impedisce tutt’ora, la risoluzione di tali problematiche. L’UEM, infatti, è stata costruita su rigidi assunti, che hanno ingessato il sistema europeo impedendogli di reagire adeguatamente agli shock esterni degli ultimi anni. Fra questi ricordiamo l’allargamento ai paesi dell’ex blocco comunista che ha messo in evidenza il gap tra ovest ed est e la recente crisi economica che, invece, ha accentuato il divario nord-sud Europa. Tra i vari postulati su cui si incardina l’Uem quello che secondo l’economista Paul Krugman si può ritenere il “vizio originario di Maastricht”, è la separazione tra la politica fiscale e quella monetaria, argomento che sarà trattato nelle successive uscite.

In questa sede ci limitiamo a dire solamente che i due ambiti d’azione non possono funzionare separatamente e sembra essere proprio questa divergenza fra le due politiche, che più di tutte, ha determinato l’incapacità dell’Unione di affrontare gli shock asimmetrici. Al fine di rendere sostenibile nel lungo periodo il sistema valutario ed economico europeo, è necessario, quindi, rimuovere la divergenza esistente tra politica monetaria e politica fiscale.

Una soluzione, potrebbe essere quella di promuovere un’ulteriore cessione di sovranità verso le istituzioni sovranazionali. In questo modo, si potrebbe pensare alla possibilità di una fiscalità comune europea, gestita quindi a livello centrale, attraverso cui attivare un meccanismo assicurativo e compensativo di trasferimenti automatico, attenuando i disequilibri esistenti.

Tale ipotesi, sarà trattata più approfonditamente nei successivi articoli, tenendo presente la forte resistenza da parte degli Stati, restii a cedere ulteriore sovranità verso un’istituzione, la cui credibilità è ormai, sempre più in bilico.


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